Fiorire è il fine - chi passa un fiore con uno sguardo distratto stenterà a sospettare le circostanze coinvolte in quel luminoso fenomeno costruito in modo così intricato e poi offerto, come una farfalla al mezzogiorno
domenica 27 dicembre 2015
Povera et nuda vai philosophia
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Francesco Petrarca
...non amerò mai se non ho amato Voi
- S. Giuliano d’Albaro, 9 dicembre 1907
(...) Ritornando qui, nel luogo stesso dove avevo ricevute le vostre prime lettere, il mio spirito si è ricongiunto al tempo nel quale ancora Voi eravate per me "Amalia Guglielminetti". E tutto quanto il Destino volle fare di noi, mi pare lo spasimo d’un febbricitante; e della cosa cattiva più nulla resta fuor che una dolcezza un po' acre sulle labbra e sulle gengive, come quando si è troppo a lungo masticato la corolla di certe violette... Il mare è pur sempre il grande purificatore: io mi sento l’anima leggera e monda, nata da ieri! C’è un tepore, una gaiezza nell'aria! Tutto l’orizzonte che traspare dalla mia finestra non è che l’armonia di due fascie azzurre: una più cupa: il mare; una più chiara: il cielo - Vi scrivo come posso, amica mia! Sono quasi ginocchioni su di una seggiola col foglio sopra un libro e il libro sopra il canterano: non ho ancora una scrivania! Ma c’è il mare di fuori... Rabbrividisco al pensiero che Voi potreste vedermi così, Voi che soffrite tanto delle cose volgari! Sono spettinato, barbuto, vestito d’una maglia rozza e di una giubba logora: mi sono spezzata l’unghia del mignolo nell’aprire una valigia e ho il dito ripugnantemente ingrommato di sangue... Ma c’è il mare di fuori! (...) Lasciando Torino ho avuto come un senso di liberazione. Per tante cose. E principalmente per Voi. Era tempo! Era tempo di frapporre tra noi due molti mesi e molti chilometri! Non già che io fossi per commettere qualche pazzia, (non ho amato pur troppo fin ora e forse non amerò più; non amerò mai se non ho amato Voi!) ma il desiderio della vostra persona cominciava ad accendermi il sangue con una crudeltà spaventosa; ora l’idea di accoppiare una voluttà acre e disperata alla bellezza spirituale di una intelligenza superiore come la vostra mi riusciva umiliante, mostruosa, intollerabile... Quando l’altro giorno uscii dal vostro salotto con la prima impronta della vostra bocca sulla mia bocca mi parve d’aver profanato qualche cosa in noi, qualche cosa di ben più alto valore che quel breve spasimo dei nostri nervi giovanili, mi parve di veder disperso per un istante d’oblio un tesoro accumulato da entrambi, per tanto tempo, a fatica. E ieri, l’altro, quando scendeste disfatta nel vestito nel cappello nei capelli, e mi lasciaste solo in quella volgare vettura di piazza, io mi abbandonai estenuatissimo contro la spalliera, dove alla finezza del vostro profumo andava succedendo l’acredine del cuoio logoro... E nel ritorno (orribile!) verso la mia casa, sentivo il sangue irrompermi nelle vene e percuotermi alla nuca come un maglio, e, col ritmo fragoroso dei vetri, risentivo sulla mia bocca, la crudeltà dei vostri canini. Sono rientrato in casa con un desiderio solo: partire, lasciare Torino subito. E quest’oggi ho il mare d’innanzi! Sono libero e sono felice. V’ho scritto giorni fa che in questa pace l’imagine vostra sarebbe risorta nella mia memoria, "come la fronda nell’acqua che s’acqueta" - È vero! Già siete ritornata per me la buona sorella che - vicina - "non vi sentivate di essere". - Vado a vedere il mare prima di salutarvi. Il mare è furibondo: s’accartoccia sotto la mia finestra ribollendo con voce sorda... Non m’ha salutato e non mi lascia di salutarvi. Io penso, guardandolo ed ascoltandolo, a un giudice iroso che ci ammonisca entrambi. È così!
GUIDO vostro
(Guido Gozzano, Lettera ad Amalia Guglielminetti)
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sabato 26 dicembre 2015
Lasceremo solo le nostre anime un poco vicine
- Lunedì sera, 2 dicembre 1907
Mio caro Guido,
io ho fatto molto male ad amareggiarvi con la mia amarezza. Sono io che mi devo accusare, non Voi. Ieri non v’ho atteso: ho passato la giornata in una sospensione vaga, non ansiosa, pensando che certo vi tratteneva una causa indipendente dalla vostra volontà. Ma non è possibile che partiate così. Verrete mercoledì: non mi chiederete perdono, non ci daremo delle spiegazioni, non ci diremo niente. Lasceremo solo le nostre anime un poco vicine e le nostre mani un poco congiunte prima di lasciarci per tanto tempo. Sarà una piccola tregua di sogno per Voi e per me. Dimenticheremo che ci sono le cose e gli uomini e le donne. Ci parrà d’essere soli nel mondo, o d’essere fuori del mondo. Se vorrete vegliare ci guarderemo in silenzio, se vorrete dormire poserete la testa sulla mia spalla. E poi ci diremo addio.
Venite.
A.
(Amalia Guglielminetti, Lettera a Guido Gozzano)
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Come un piccolo nulla di cui nessuno si cura
- Sabato sera, 30 novembre 1907
Il vostro telegramma color di fiamma è giunto troppo tardi. Alle due e cinque minuti io guardavo intensamente senza vederli i soldati i marinai le donne di pietra che ricordano non so perché la Crimea. E tremano un poco d’un tremore interno forse di irritazione, forse di pena. Pena di me stessa; sapete, mi facevo pena d’essere là come un piccolo nulla di cui nessuno si cura. Cioè no: c’erano alcuni scalpellini che sogghignavano alle mie spalle tra due colpi di martello ed io sentivo quella trivialità su di me come una cosa nauseante. Mio caro Guido, credo di non aver passato nella mia vita molte mezz’ore più cattive. Devo aver fatto due o tre volte lentamente il giro di quel mausoleo, devo aver percorso due o tre volte quel pezzetto di viale che lo fronteggia. Una serva da una finestra spolverando un gatto di marmo le contava forse meglio di me. Quel gatto doveva avere molta molta polvere. Sentivo la gola chiusa e la lingua arida come se avessi gridato tanto, e mi toccavo le dita nel manicotto sotto un mazzo di viole fresche che avrei volentieri calpestato. Erano le due e mezza, me ne andai, giunsi fino alla metà del ponte nuovo e mi fermai a guardare l’acqua senza pensiero, senza volontà come se il fiume si portasse via con sé la mia anima. Rialzando gli occhi fui ripresa dal mio affanno, tornai sui miei passi in fretta, quasi con incoscienza voluta seguendo con lo sguardo qualche rara figura maschile che subito riconoscevo sconosciuta. Non sostai più presso il mausoleo, nemmeno lo accostai tanto m’era divenuto odioso. Passò un ragazzo con un carretto cantando: "E aspetta il fidanzato"... Allora fuggii davvero umiliata, avvilita, annientata dinanzi a me stessa, pensando di voi tutto il male possibile, soffrendo in me tutto il male possibile. Non osai rincasare subito per non lasciar sospettare alle mie sorelle la mia disdetta. Ho errato quasi un’ora per il Valentino mordendomi le labbra per trattenere in me qualche cosa d’amaro che mi saliva dal cuore, una pietà ironica e aspra per me stessa, per il mio orgoglio, per tutti i piccoli e i grandi colpi già ricevuti in silenzio sussultando, a cui s’aggiungeva ancora questo, inatteso. Sono folle, Guido, a scrivervi queste cose, lo so che voi lo pensate. Vorrei che mi vedeste piangere ancora, mentre scrivo, tanto. Neppure il foglietto rosso che mi portava le vostre scuse ha potuto consolarmi. Ho dovuto lasciar sgorgare tutta quell’amarezza accumulata goccia a goccia, minuto per minuto in umiliazione e in tristezza. Ora sto un poco meglio, ma bisogna ch’io non vi pensi, ch’io non mi ricordi per non soffrirne ancora. Domani sarò in casa tutto il giorno, ma non oserò aspettarvi. Potreste non venire e mi dorrebbe troppo. Perché m’avete detto che non mi volete bene?
Ho pensato molto oggi a quelle parole.
Addio.
(Amalia Guglielminetti, Lettera a Guido Gozzano)
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sabato 12 dicembre 2015
...così il tempo presente
giovedì 10 dicembre 2015
Mondo splendido
Sempre e poi sempre, o vecchio o giovane torno a
avvertire:
una montagna notturna e al balcone una donna
silenziosa,
bianca una strada al chiaro di luna in lieve pendio
e ciò mi lacera il cuore nel petto atterrito di
struggimento.
O mondo ardente, o tu chiara donna al balcone,
cane che abbai nella valle, treno lontano che passi,
come mentite, come atroci ingannate me ancora,
e pur tuttavia voi siete sempre il mio sogno e
delirio più dolce.
Spesso ho tentato la strada per la tremenda
"realtà"
dove hanno valore mode, assessori, leggi, e denaro,
ma solitario mi sono involato, deluso e liberato,
verso là dove sogno e beata follia zampilla.
Afoso vento notturno negli alberi, scura zigana,
mondo ricolmo di nostalgia pazza e profumo di poesia,
mondo splendente, di cui sono schiavo eternamente,
dove a me guizzano i tuoi bagliori, dove riecheggia
per me la tua voce.
(Hermann Hesse)
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Hermann Hesse
martedì 8 dicembre 2015
Il cacciatore
venerdì 4 dicembre 2015
Chi sono?
Son forse un poeta?
No, certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell’anima mia:
"follia".
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non ha che un colore
la tavolozza dell’anima mia:
"malinconia".
Un musico, allora?
Nemmeno.
Non c’è che una nota
nella tastiera dell’anima mia:
"nostalgia".
Son dunque... che cosa?
Io metto una lente
davanti al mio cuore
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell’anima mia.
(Aldo Palazzeschi)
giovedì 3 dicembre 2015
Quadro
a quest’acqua bambina
che corre a passettini d’argento
dietro tutte le barche.
L’ombra del promontorio,
sul bianco mare,
- bassa nota rauca
in questa sviolinata crepuscolare -
ha il colore abbrunato di un rimorso;
ma, sulla punta,
- nitido come uno squillo battagliero -
l'ansito del faro palpita,
anelando al largo.
(Antonia Pozzi - 12 giugno 1929)
Nevai
Io fui nel giorno alto che vive
oltre gli abeti,
io camminai su campi e monti
di luce -
Traversai laghi morti - ed un segreto
canto mi sussurravano le onde
prigioniere -
passai su bianche rive, chiamando
a nome le genziane
sopite -
Io sognai nella neve di un’immensa
città di fiori
sepolta -
io fui sui monti
come un irto fiore -
e guardavo le rocce,
gli alti scogli
per i mari del vento -
e cantavo fra me di una remota
estate, che coi suoi amari
rododendri
m’avvampava nel sangue -
(Antonia Pozzi - 1 febbraio 1934)
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George Frederick Watts
lunedì 30 novembre 2015
Troppa anima!
domenica 29 novembre 2015
Vagando nella sera
Sulla strada polverosa, a tarda sera me ne vado,
ombre di muri cadono oblique,
e tra i sarmenti vedo la luce
della luna su sentiero e ruscello.
Canzoni che un tempo ho cantato
riprendo a intonare sommessamente,
di innumerevoli viaggi errabondi
ombre si incrociano sulla mia via.
Vento e neve e vampa assolata
di molti anni risuonano a me,
notti d'estate e azzurri bagliori,
tempesta e di viaggi asperità.
Cotto dal sole ed imbevuto
dalla pienezza di questo mondo
più oltre ancora mi sento attratto
finché il mio cammino sprofondi nel buio.
(Hermann Hesse)
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William-Adolphe Bouguereau
sabato 28 novembre 2015
E vogliatemi bene, così
-Torino, 14 novembre 1907
Mio caro Guido,
la vostra telepatia che credete così fine s’inganna e vi inganna. Io non ho forse mai pensato tanto a Voi come in questi giorni che per analogia di date mi facevano rivivere le ore del nostro primo incontro. Io piuttosto dubitavo di Voi così a lungo taciturno, sognante in solitudine e in oblio. Che buona cosa è la solitudine che godete Voi fra la natura e il sogno: l’uno che tortura l’altra che blandisce, dolci entrambi alla vostra anima pensosa. È triste invece la mia, la solitudine fra la gente così vicina e così lontana da me, e fra cui è necessario ch'io sia, sempre e dovunque, "quella che va sola". C’è pure, è vero, un’altera dolcezza in questa malinconia ma è una dolcezza amara che fa piangere un poco quando non c’è nessuno che vede. (...) Io sono già al ventiduesimo capitoletto delle mie Seduzioni che mi sembrano ogni giorno meno seducenti. Beato Voi che possedete il dono dell’autocritica! Io mi smarrisco così facilmente tra le perplessità e i dubbi da soffrirne persino incubi notturni. Qualche volta un verso mi tortura durante il sonno in modo da togliermi ogni beneficio di riposo. Mi sveglio affaticata come se avessi ascoltato una conferenza dantesca di Isidoro del Lungo. Le terzine - otto, per due endecasillabi - che mandai a Francesco Chiesa furono da lui giudicate "versi bellissimi, così ben martellati, saldi e snelli"; ma ciò malgrado sono tentata di non lasciarglieli più pubblicare. Mi sembra troppo presto e troppo pretensioso per un lavoro ancora incompiuto. Che ne dite? Una curiosità: la vetrina dell’orafo dinanzi alla quale io rimasi mezz'ora incantata e le cui gemme volli incastonare in quelle mie terzine, fu la stessa sera assalita e svaligiata dai ladri. Vi prego di non denunziarmi all'autorità. Ma è strano: le cose belle attirano i poeti e i ladri. (...) Vedete che anch'io vi parlo di letteratura (passatemi il francesismo) e letterati con uno zelo commovente. Forse tutto questo non vi interessa che ben poco, pure non vorrei parlarvi d’altro perché sono in collera con Voi "calcolatore freddissimo". Cinque giorni, Amico mio, sono ben pochi e ben brevi, e una visita sola è quasi nulla per la nostra amicizia. L’autunno è bello anche a Torino e in certi viali gialli e rossi e verdi si passeggia su le foglie secche e fruscianti come in un sentiero di campagna. Io me li godo, sapete, tutta sola in qualche crepuscolo pallido che infiltra fra la ramaglia un po’ d’oro scolorito e un po’ di rosa vecchio, e penso talvolta con desiderio a un compagno ideale, come Voi, col quale scambiare qualche parola rara fra i passi lenti. E vi rivolgo idealmente una domanda qualsiasi su una pianta, su una nube, su gli occhi di un bimbo che passa per il piacere sottile d'imaginare la vostra risposta, d’indovinarla fra le molte che mi si presentano al pensiero. (...) Non mi sfuggite, Guido, non abbiate paura di me, io non voglio farvi del male. Sarete qui il venticinque? Venite da me il ventisei, senza indugio, portandomi ancora un poco della pura grazia del vostro tiglio verde, e della sua viva freschezza dentro gli occhi e dentro il cuore. Addio, scrivetemi che verrete, non ancora per il viatico della partenza, ma per una comunione d’anime unite in desiderio di serenità e di bene.
E vogliatemi bene, così.
(Amalia Guglielminetti, Lettera a Guido Gozzano)
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martedì 24 novembre 2015
Pasturo, estate 1938
(...) di queste montagne consuete, il sole abbagliante di lassù mi appare come specchiato in un lago placido, piano. Le cose si fanno ricordi, l'amore delle cose nostalgia. Ma è una nostalgia che ha in sé tanta pace: proprio la pace che è nel cuore di chi sta su di una riva e vede il cielo riflesso nell'acqua mite. Sto tanto bene qui: è la casa della mia prima infanzia. E in questa casa ho cominciato a meditare e soffrire. Qui, in questa solitudine di ogni ora, vengono le anime chiare, dei vivi e dei Morti, e la popolano di presenze silenziose. E forse è proprio l'essere qui, in questo raccoglimento di cella che mi riconduce alla più vera me stessa, che ha fatto risalire sulle mie labbra il Suo nome e mi ha dato la forza di spezzare il greve silenzio per tornare a Lei. Tante immagini risorgono, con la dolcezza suasiva del sogno: rivivo una lontana sera, l'assorto silenzio Suo e mio nel vocìo confuso di tante persone ignote; rivedo le sue mani, nel gesto rapido con cui mi donarono alcuni dei Suoi versi più belli - si rammenta? -
"ed esser vorrei - di un grand'albero -
in una oscura sera - la più profonda - radice..."
Come una radice profonda, su dalla terra segreta dell'anima, risale fino ai miei occhi la luce pensosa dei Suoi occhi. E domandarle perdono del mio silenzio cattivo, non oso più, Tullio. Ma ecco, vorrei stringerLe con tanta devozione, le mani e chiederLe (se Lei ancora si ricorda di me, se non le sembra di dover cancellare dalla Sua memoria il mio nome) chiederLe, umilmente, fervidamente, di non ricambiare il mio silenzio, con un altro silenzio, di non togliermi la Sua amicizia e la Sua parola. Posso sperare, posso sognare, Tullio, di averLa ritrovata?
Con tanto affetto, con tanta devozione fedele.
La sua Antonia Pozzi
(Antonia Pozzi, lettera a Tullio Gadenz)
Sono andata a guardare le stelle
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Virginia Woolf
domenica 22 novembre 2015
Il Cervello - è più esteso del Cielo -
Il Cervello - è più esteso del Cielo -
Perché - mettili fianco a fianco -
L'uno l'altro conterrà
Con facilità - e Te - in aggiunta -
Il Cervello è più profondo del mare -
Perché - tienili - Azzurro contro Azzurro -
L'uno l'altro assorbirà -
Come le Spugne - i Secchi - assorbono -
Il Cervello ha giusto il peso di Dio -
Perché - Soppesali - Libbra per Libbra -
Ed essi differiranno - se differiranno -
Come la Sillaba dal Suono -
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The Brain - is wider than the Sky -
For - put them side by side -
The one the other will contain
With ease - and You - beside -
The Brain is deeper than the sea -
For - hold them - Blue to Blue -
The one the other will absorb -
As Sponges - Buckets - do -
The Brain is just the weight of God -
For - Heft them - Pound for Pound -
And they will differ - if they do -
As Syllable from Sound -
(Emily Dickinson)
venerdì 20 novembre 2015
Pensando, mi sono creato eco e abisso
Pensando, mi sono creato eco e abisso. Approfondendomi, mi sono moltiplicato. Il più piccolo episodio - un'alterazione della luce, il cadere contorto di una foglia secca, il petalo che si stacca ingiallito, la voce dall'altra parte del muro o i passi di chi pronuncia quella voce insieme ai passi di chi la deve ascoltare, il portone socchiuso della vecchia tenuta, il patio che si apre con un arco sulle case strette sotto il chiarore della luna - tutte queste cose, che non mi appartengono, imprigionano con corde di risonanza e di nostalgia la mia meditazione sensitiva. In ognuna di codeste sensazioni sono altro, mi rinnovo dolorosamente in ogni impressione indefinita. Vivo di impressioni che non mi appartengono, dissipatore di rinunce, altro nel mio essere io.
(Fernando Pessoa; "Il libro dell'inquietudine")
giovedì 19 novembre 2015
Canonica
(...) Mi sono appoggiato alla fontana ed ho disegnato la casa, con la porta verde, che è la cosa che mi piace maggiormente, e con il campanile dietro. È possibile che abbia fatto la porta più verde di com'è ed abbia allungato il campanile. L'importante è che in questa casa ho trovato, per un quarto d'ora, patria. Per questa casa parrocchiale che ho visto solo da fuori e nella quale non conosco nessuno, un giorno proverò nostalgia come per un vero e proprio paese natale, come per i luoghi nei quali sono stato fanciullo e felice. Perché anche qui, per un quarto d'ora, sono stato fanciullo e sono stato felice.
(Hermann Hesse)
martedì 10 novembre 2015
L'avidità dei miei occhi
Chi sono io, cosa sono, e così via
Non credo di annoiarmi mai. A volte sono un po' spenta; ma ho una capacità di recupero - che ho sperimentata; che sto sperimentando ora per la cinquantesima volta. Devo ancora stare molto attenta alla mia testa: ma d'altra parte, come ho detto oggi a Leonard, mi piace un certo epicureismo sociale; sorseggio e poi chiudo gli occhi per assaporare. Mi godo quasi tutto. Eppure c'è in me qualcuno indefessamente alla ricerca. Perché la vita non offre una scoperta? Qualcosa su cui mettere le mani e dire "Eccolo, l'ho trovato?". La mia depressione è un sentimento opprimente di ansia. Guardo; ma non è quello - non è quello. Cos'è? E morirò prima di poterlo trovare? Poi (mentre camminavo per Russel Square ieri sera) vedo le montagne nel cielo: le grandi nubi; e quella stessa luna che sorge sulla Persia; ho una grande stupefatta sensazione di qualcosa laggiù, che è "quello" - Non è esattamente la bellezza quel che intendo. È che la cosa basta a se stessa: è pacificante, compiuta. C'è anche la sensazione della stranezza del mio camminare sulla terra: della infinita bizzarria della condizione umana; trotterellare per Russel Square con la luna lassù, e quelle nubi come montagne. Chi sono io, cosa sono, e così via: queste domande mi aleggiano sempre intorno; e poi mi scontro con qualche fatto preciso - una lettera, una persona, e vado loro incontro e ritorno a esse con una grande sensazione di freschezza. E così via. Ma nel corso di questo manifestarsi, che è vero, credo, lo incontro spesso, "quello"; e allora mi sento in pace.
(Virginia Woolf - 27 Febbraio 1926)
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lunedì 9 novembre 2015
...e tenerla così, un giorno dopo l'altro
Così passano i giorni, e talvolta mi chiedo se non si resti ipnotizzati dalla vita, come un bambino da una sfera d'argento; e se questo sia vivere. È molto intenso, luminoso, eccitante. Ma superficiale forse. Mi piacerebbe prendere quella sfera tra le mani e sentirla con calma: tonda, liscia, pesante. E tenerla così, un giorno dopo l'altro.
(Virginia Woolf - 28 Novembre 1928)
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venerdì 6 novembre 2015
Non so perché sento che mi andate dimenticando...
-Il Meleto, 12 novembre 1907
Amalia, mia cara Amica,
Non so perché sento che mi andate dimenticando, nonostante l’offerta recente dei tre pensieri. In questi giorni dovete aver pensato poco a me: sento questo per quella telepatia psichica che si acutizza morbosamente nella solitudine. Perché sono solo, unico superstite del Meleto. Mio fratello è in collegio, mia Madre è via da più settimane ed io sono qui con l’ultime foglie. Le voglio vedere cadere tutte prima d’"inurbarmi": e ce ne sono ancora tante! sul frutteto, sul pergolato a zone di porpora e d’oro... D’innanzi a me, nel quadrato della finestra c’è un tiglio che quest’anno non vuole ingiallire: è ancora intatto, tutto verde, come la Speranza; credo che la prima neve lo troverà con tutte le sue foglie... Io e quel tiglio ci somigliamo un poco. (...) E Voi? Che fate? "fare bisogna, fare bisogna". Dov'è che lessi questo? Ah! Sì! Nella "Fiaccola" d’annunziana. Siete l’unica donna dalla quale la Poesia (parlo d’Arte) attende un nuovo ornamento e dovete pensare ad ogni risveglio, non senza panico, alla responsabilità intellettuale che grava sulla vostra piccola mano. Io mi sento ogni giorno più borghese e primitivo. Forse è il metodo di vita e l’ambiente al quale sono condannato da tanti mesi (e sarò per tanti ancora) forse è un naturale fenomeno inesplicabile della mia sostanza psichica, il fatto si è che mi sento diventare piccolo come l’ideale d’un ricevitore del registro in un borgo di montagna. E sia pure se "questo deve essere". (...) Ma che lettera savia, nevvero? Sono al quarto cartoncino e non v’ho parlato che di letteratura. È un buon sintomo, sapete, per la mia pace; è segno che risorge in Voi il buon compagno d’arte, il buon fratello di sogni, e che la bellissima creatura è già un poco annebbiata agli occhi miei, già innocua, confinata nel rettangolo della fotografia. Così non sarebbe stato se fossi rimasto a Torino. Ma io sono un grande egoista e un freddissimo calcolatore e a Torino non mi fermerò quasi. Mi fermerò il tempo necessario per rifornirmi dal sarto e dal libraio e per baciarvi una volta le mani, se me lo permetterete. Sarò in riviera al 1° di Dicembre (ho già fissata ogni cosa) e ne ritornerò a Giugno, per la montagna. Dimodoché noi non saremo concittadini che fra un anno e più. È bene, sapete, è molto bene. Vi siete mai domandata ciò che succederebbe se io non dovessi esiliarmi? Io sì. Succederebbe più o meno questo. Un giorno, un bel giorno, io sarei a casa vostra, nel vostro salotto, con Voi. Sarebbe un crepuscolo, un crepuscolo della prima primavera, in febbraio, mettiamo. Da molte ore io sarei con Voi; avremmo parlato molto, avremmo esaurito ogni pretesto non volgare di conversazione. Da qualche istante si tacerebbe. L’ombra si farebbe più densa. Voi vi alzereste per accendere il lume. Io vi pregherei di no, vi tratterrei seduta col gesto. Si farebbe notte, più notte, nel quadrato della finestra, rabescato dalle cortine, il vostro profilo apparirebbe appena... Solo a tratti, l’asta scintillante d’un carrozzone elettrico illuminerebbe la penombra per un secondo. E in quel secondo il vostro volto apparirebbe e scomparirebbe come una visione non sostenibile. Allora io - che avrei le vostre mani nelle mie mani - crederei di sognare, e inconscio irresponsabile come in un sogno, mi chinerei sulle vostre dita, salirei lungo le falangi con le labbra, fino a mordervi le vene del polso. Voi mi sollevereste la fronte, dicendomi con rampogna indulgente: "Stiamo savi!" Ma, per un evento sciagurato, il mio volto sollevandosi si troverebbe all'altezza della vostra spalla; io, nell'ombra, non me ne accorgerei: e credendo di abbandonare la guancia contro la spalliera del divano, incontrerei invece la mollezza d’una trina o il gelo d’una catenella. Istintivamente, sempre come in sogno, la mia bocca si troverebbe dietro il vostro orecchio; alla radice dei capelli fini, e vi morderei alla nuca (il morso è il mio vizio preferito)... Allora Voi vi alzereste di scatto, accendereste il lume: e due cose potrebbero accadere. O mi fareste accomiatare dalla vostra donna, come nelle commedie, col tradizionale "accompagna il Signore". E resterei male. O mi perdonereste dopo lunghe condizioni. E resterei male, ugualmente. Al 1° di Dicembre v’ho detto, sono a Genova, ai 25 c.m. sono a Torino. Nell’intervallo mi concedete di venire a prendere il viatico dalle vostre mani sotto le specie di una tazza di the?
Addio.
Guido vostro affezionatissimo
(Guido Gozzano, Lettera ad Amalia Guglielminetti)
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mercoledì 4 novembre 2015
Nietzsche
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lunedì 2 novembre 2015
Inno alla Bellezza
Vieni, o Bellezza, dal profondo cielo
o sbuchi dall'abisso? Infernale e divino
versa insieme, confusi, carità e delitto
il tuo sguardo: assomigli, in questo, al vino.
versa insieme, confusi, carità e delitto
il tuo sguardo: assomigli, in questo, al vino.
Racchiudi nei tuoi occhi alba e tramonto. Esali
profumi come un temporale a sera.
Sono un filtro i tuoi baci, la tua bocca un'ampolla
che l’eroe fanno vile e il fanciullo ardito.
Sono un filtro i tuoi baci, la tua bocca un'ampolla
che l’eroe fanno vile e il fanciullo ardito.
Esci dal gorgo nero o discendi dagli astri?
Il Destino, innamorato, ti segue come un cane;
sémini capricciosa felicità e disastri,
disponi di tutto, non rispondi di niente.
sémini capricciosa felicità e disastri,
disponi di tutto, non rispondi di niente.
Cammini, Bellezza, su morti, e di loro sorridi;
fra i tuoi gioielli l’Orrore non è il meno attraente
e, in mezzo ai tuoi gingilli preferiti, l’Assassinio
danza amorosamente sul tuo ventre orgoglioso.
e, in mezzo ai tuoi gingilli preferiti, l’Assassinio
danza amorosamente sul tuo ventre orgoglioso.
Abbagliata l’effimera s’abbatte in te candela
e crepita bruciando e la tua fiamma benedice.
Così, chino fremente sul suo amore, chi ama
sembra un moribondo che accarezza la sua tomba.
Così, chino fremente sul suo amore, chi ama
sembra un moribondo che accarezza la sua tomba.
Che importa che tu venga dall'inferno o dal cielo,
o mostro enorme, ingenuo, spaventoso!
se grazie al tuo sorriso, al tuo sguardo, al tuo piede
penetro un Infinito che ignoravo e che adoro?
se grazie al tuo sorriso, al tuo sguardo, al tuo piede
penetro un Infinito che ignoravo e che adoro?
Che importa se da Satana o da Dio? se Sirena
o Angelo, che importa? se si fanno per te
- fata occhi-di-velluto, ritmo, luce, profumo, mia regina -
meno orrendo l’universo, meno grevi gli istanti?
meno orrendo l’universo, meno grevi gli istanti?
(Charles Baudelaire)
sabato 31 ottobre 2015
Invocare gli "altri" e ritenersene l'interprete
Ho sempre amato le cose tristi
Ho sempre amato le cose tristi, la musica girovaga, i canti d’amore cantati dai vecchi nelle osterie, le preghiere delle suore, i mendichi pittorescamente stracciati e malati, i convalescenti, gli autunni melanconici pieni di addii, le primavere nei collegi quasi timorose, le campane magnetiche, le chiese dove piangono indifferentemente i ceri, le rose che si sfogliano sugli altarini nei canti delle vie deserte in cui cresce l’erba; tutte le cose tristi della religione, le cose tristi dell’amore, le cose tristi del lavoro, le cose tristi delle miserie.
(Corrado Govoni)
domenica 25 ottobre 2015
Il povero poeta
Il primo movimento è il canto,
libera voce che riempie le valli e le montagne.
Il primo movimento è la gioia,
che però viene sottratta.
E dopo che il sangue si mutò negli anni,
e mille sistemi planetari nacquero e si estinsero nel corpo,
siedo, poeta capzioso e iroso,
con occhi malignamente socchiusi,
e soppesando la penna nella mano
medito vendetta.
Drizzo la penna, e butta gemme e foglie, si ricopre di fiori,
spudorato è il profumo di quest'albero, perché là
nel mondo reale
alberi così non crescono, ed è come un affronto
fatto alla gente che soffre il profumo di quest'albero.
C'è chi trova rifugio nella disperazione, dolce
come un tabacco forte, un bicchiere di vodka
bevuto nell'ora della perdita.
Per altri c'è la speranza degli stupidi
rosea come un sogno erotico.
Altri ancora trovano pace idolatrando la patria,
e può durare a lungo, ma non più di quanto
ancora dura l'Ottocento.
Ed a me è data una speranza cinica,
perché da quando ho aperto gli occhi ho visto solo
bagliori sinistri e stragi,
svilimento, ingiustizia, e la ridicola
infamia dei boriosi.
Data mi è una speranza di vendetta
sugli altri e su me stesso,
perché ero colui che sapeva
e da questo non trasse alcun vantaggio.
(Czeslaw Milosz)
Scilla e Cariddi
giovedì 22 ottobre 2015
Sereno
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Il sonno innocente
Il sonno innocente... Il sonno che pèttina e ravvìa il filaticcio di seta arruffato delle cure di quaggiù, morte della vita d'ogni giorno, bagno ristoratore del faticoso affanno, balsamo alla dolente anima stanca, piatto forte alla mensa della grande Natura, nutrimento principale nel banchetto della vita...
(William Shakespeare; "Macbeth")
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domenica 18 ottobre 2015
O vita, o vita ancor mi tieni, indarno
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Mi ci vuole ogni giorno la mia razione di dubbio
Mi ci vuole ogni giorno la mia razione di dubbio. Non c’è mai stato uno scetticismo più organico. (...) Datemi dubbi e ancora dubbi. Più che il mio cibo, sono la mia droga. Non posso farne a meno. Ne sono intossicato a vita. Perciò, quando ne trovo uno, uno qualsiasi, mi ci avvento sopra, lo divoro, lo incorporo nella mia sostanza. Perché la mia capacità di assimilare dubbi è sconfinata; li digerisco tutti, sono ciò che mi tiene in vita e la mia ragione d’essere. Non riesco a immaginarmi senza di loro. Datemi dubbi, ancora e sempre dubbi.
(Emil Cioran)
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...una tentazione che mi duole ora d'aver vinto
-Torino, 26 ottobre 1907
Caro Amico
(...) La vanità dei nostri colloqui è dovuta a me, sapete, perché io so dire così poco e così male quello che penso. Per questo forse, solo per questo io scrivo e m'illudo d'esprimermi meglio. E poi certe cose pérdono o si travisano o si falsano ad essere dette, altre assolutamente non si possono dire; mancano nel discorso parlato le sfumature e le imagini della poesia, che dette sembrerebbero affettazioni e pose. Solo una lunga intimità fra due persone d'uguali aspirazioni come noi siamo, potrebbe dissipare questa reticenza e inchinare poco a poco a una concorde e piena manifestazione d'ogni più sottile moto del pensiero. Noi non dovremmo parlare che di noi stessi quando siamo insieme, e invece perché popoliamo il nostro discorso di persone intruse e di cose estranee? La colpa è mia, lo so. Mi sento tanto più comune di quella che mi credete agitata da tanti desideri piccoli, da avversioni e da ambizioni inferiori. Credete voi proprio al mio fascino spirituale? Temo una lusinga perché io vi credo così poco. Vi posso dire sinceramente che mai io sono stata amata nel senso un poco elevato di questa parola. Sono stata desiderata qualche volta, ho destato qualche ardore della più pura, o meglio della più impura sensualità. Forse - chi sa? - non merito altro.
(...) Voi ricordate i miei silenzi perché le mie parole vacue non vi sono certo ricordi piacevoli. Mi pento un poco - sapete? - d’avervi fatto quella lettura malgrado le parole buone con cui mi incoraggiaste. Temo d’aver preso in quel lavoro una strada falsa, d'aver commesso un'ingenuità, o peggio una sciocchezza. Ho avuto, in quel momento che precedette la mia lettura quella sera, una tentazione che mi duole ora d'aver vinto. C'era una delle vostre belle mani appoggiata al bracciuolo della sedia che occupavate, e con l’altra vi sostenevate la fronte nascondendovi gli occhi. La mano inerte era vicinissima al mio volto così che con un breve movimento avrei potuto mettervi sopra la gota e lasciarvela un poco, senza parlare, senza leggere così, come in un sogno. Invece - dopo un indugio che credeste di trepidazione - ho incominciato a sgranarvi il mio rosario di terzine. Ho negli occhi la vostra attitudine di quel momento, ed anche una speciale inclinazione del capo che prendete quando guardate a lungo qualcosa o qualcuno.
(...) Addio Guido - mi piace chiamarvi così perché quelli che viaggiano in comitiva vi chiamano diversamente - e Voi chiamatemi Amalia - con un m solo, ahimé! - ma forse amica è più dolce. Parlatemi presto in molte pagine e prendetevi le mie mani che vorrei medicina più efficace per Voi.
(Amalia Guglielminetti, Lettera a Guido Gozzano)
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