lunedì 30 dicembre 2019

Coltivare l'interiorità

I colori accecano gli occhi degli uomini, i suoni assordano i loro orecchi, i sapori guastano i loro palati, la corsa e la caccia travolgono le loro menti. I beni difficili da ottenere rendono dannose le azioni degli uomini. Perciò i saggi lavorano per l'interiorità, e non per gli occhi; rifiutano i secondi e scelgono la prima.


(Lao-tzu)

Cercare di curare i rami senza prendersi cura della radice

Quando l'acqua è inquinata, i pesci boccheggiano; quando il governo è crudele, il popolo si ribella. Quando coloro che stanno in alto hanno molti desideri, quelli che stanno in basso usano molti inganni. Quando coloro che stanno in alto sono agitati, quelli che stanno in basso soffrono. Quando coloro che stanno in alto hanno molte esigenze, quelli che stanno in basso entrano in conflitto. Cercare di curare i rami senza prendersi cura della radice è come rompere una diga per fermare un'alluvione o come spegnere un incendio con un fascio di legna in braccio. I saggi minimizzano i loro affari, che così sono ordinati. Essi cercano di aver poco, e così hanno il necessario; sono benvoluti senza sforzi, sono creduti senza parlare. Ottengono senza cercare, riescono senza lottare. Conservano un cuore spontaneo, si attengono alla realtà ultima, abbracciano la Via e promuovono la sincerità; così tutti li seguono come gli echi rispondono ai suoni, come le ombre imitano le forme. Essi lavorano alla radice.


(Lao-tzu)

martedì 27 agosto 2019

...realizzare la volontà divina che è in me

(…) Ciò che conta e dà senso alla mia vita è che io viva nel modo più pieno possibile per realizzare la volontà divina che è in me. Questo compito mi occupa a tal punto che non mi resta tempo per nient'altro. Vorrei farvi notare che, se tutti vivessimo in questo modo, non avremmo più bisogno di eserciti, né di polizia, né di diplomazia, di politica, di banche. Avremmo una vita ricca di senso e non, come ora, pura follia. Ciò che la natura richiede al melo è che produca mele e al pero che produca pere. Da me la natura vuole che io sia semplicemente un uomo, ma un uomo cosciente di ciò che è e di ciò che fa.
 
 
(Carl Gustav Jung; "Jung parla - interviste e incontri")

lunedì 26 agosto 2019

...e non sappiamo più chi siamo e dove andiamo

(…) Poi abbiamo parlato delle tre realtà che compongono lo stato di individuazione: Dio; il Sé; e il senso di connessione. Ovvero, in termini cristiani: Dio, Padre e Figlio; lo Spirito, o Sé; e il Regno dei Cieli. E così come è impossibile raggiungere l'individuazione senza il senso di connessione, allo stesso modo è impossibile avere rapporti veri senza aver raggiunto l'individuazione. Perché altrimenti si frappone continuamente l'illusione, e non sappiamo più chi siamo e dove andiamo.


(Esther Harding; "Jung parla - interviste e incontri")

mercoledì 24 luglio 2019

Perciò chiedo ai miei pazienti di trascrivere i loro sogni

Infine, il paziente e io ci rivolgiamo all'uomo di due milioni di anni che si cela in ciascuno di noi. In ultima analisi, la maggior parte delle nostre difficoltà deriva dall'aver perduto il contatto con i nostri istinti, con l'antichissima ma non dimenticata saggezza che conserviamo dentro di noi. Ma dove possiamo entrare in contatto con l'antico uomo che è in noi? Nei sogni. I sogni sono chiare manifestazioni dell'inconscio. Rappresentano il punto d'incontro della storia della razza e dei nostri attuali problemi esterni. Nel sonno noi consultiamo l'uomo di due milioni di anni di cui ciascuno di noi è il portavoce. Con lui ci scontriamo anche in altre espressioni della fantasia. Perciò chiedo ai miei pazienti di trascrivere i loro sogni. E di solito i sogni indicano al paziente qual è la sua strada come individuo.
 
 
(Carl Gustav Jung; "Jung parla - interviste e incontri")

Sibylla Palmifera


...vorrei esser soltanto come tutti gli altri, nulla di più

- Monte Ilice, 3 Settembre 1854
 
Mia cara Marianna.
Avevo promesso di scriverti ed ecco come tengo la mia promessa! In venti giorni che son qui, a correr pei campi, sola! tutta sola! intendi? dallo spuntar del sole insino a sera, a sedermi sull'erba sotto questi immensi castagni, ad ascoltare il canto degli uccelletti che sono allegri, saltellano come me e ringraziano il buon Dio, non ho trovato un minuto, un piccolo minuto, per dirti che ti voglio bene cento volte dippiù adesso che son lontana da te e che non ti ho più accanto ad ogni ora del giorno come laggiù, al convento. Quanto sarei felice se tu fossi qui, con me, a raccogliere i fiorellini, ad inseguire le farfalle, a fantasticare all'ombra di questi alberi, allorché il sole è più cocente, a passeggiare abbracciate in queste belle sere, al lume di luna, senz'altro rumore che il ronzìo degli insetti, che mi sembra melodioso perché mi dice che sono in campagna, in piena aria libera, e il canto di quell'uccello malinconico di cui non so il nome, ma che mi fa venire agli occhi lagrime dolcissime quando la sera sto ad ascoltarlo dalla mia finestra.
(…) Tutto qui è bello, l'aria, la luce, il cielo, gli alberi, i monti, le valli, il mare! Allorché ringrazio il Signore di tutte queste belle cose, io lo faccio con una parola, con una lagrima, con uno sguardo, sola in mezzo ai campi, inginocchiata sul musco dei boschi o seduta sull'erba. Ma mi pare che il buon Dio debba esserne più contento perché lo ringrazio con tutta l'anima, e il mio pensiero non è imprigionato sotto le oscure volte del coro, ma si stende per le ombre maestose di questi boschi, e per tutta l'immensità di questo cielo e di quest'orizzonte.
(…) Adesso sono allegra, felice, e mi stupisco come tutta quella gente abbia paura e maledica il coléra… Benedetto coléra che mi fa star qui, in campagna! Se durasse tutto l'anno! No, io ho torto! Perdonami, Marianna. Chi sa quanta povera gente piange mentre io rido e mi diverto!... Mio Dio! bisogna che io sia ben disgraziata se non devo esser felice che allorquando tutti gli altri soffrono! Non mi dire che son cattiva; vorrei esser soltanto come tutti gli altri, nulla di più, e godere coteste benedizioni che il Signore ha date a tutti: l'aria, la luce, la libertà!...
 
 
(Giovanni Verga; "Storia di una capinera")

lunedì 22 luglio 2019

...identità e unione pervadente l'universo

(…) Ferecide diceva che Zeus, quando stava per creare, si era trasformato in Eros, appunto perché, foggiando il mondo dai contrari, lo condusse alla concordia e all'amicizia, e in tutte le cose seminò identità e unione pervadente l'universo.
 
 
(Proclo; "Commento al Timeo di Platone")

Avevo visto una povera capinera chiusa in gabbia

Avevo visto una povera capinera chiusa in gabbia: era timida, triste, malaticcia ci guardava con occhio spaventato; si rifuggiva in un angolo della sua gabbia, e allorché udiva il canto allegro degli altri uccelletti che cinguettavano sul verde del prato o nell'azzurro del cielo, li seguiva con uno sguardo che avrebbe potuto dirsi pieno di lagrime. Ma non osava ribellarsi, non osava tentare di rompere il fil di ferro che la teneva carcerata, la povera prigioniera. Eppure i suoi custodi, le volevano bene, cari bambini che si trastullavano col suo dolore e le pagavano la sua malinconia con miche di pane e con parole gentili. La povera capinera cercava rassegnarsi, la meschinella; non era cattiva; non voleva rimproverarli neanche col suo dolore, poiché tentava di beccare tristamente quel miglio e quelle miche di pane; ma non poteva inghiottirle. Dopo due giorni chinò la testa sotto l'ala e l'indomani fu trovata stecchita nella sua prigione. Era morta, povera capinera! Eppure il suo scodellino era pieno. Era morta perché in quel corpicino c'era qualche cosa che non si nutriva soltanto di miglio, e che soffriva qualche cosa oltre la fame e la sete. Allorché la madre dei due bimbi, innocenti e spietati carnefici del povero uccelletto, mi narrò la storia di un'infelice di cui le mura del chiostro avevano imprigionato il corpo, e la superstizione e l'amore avevano torturato lo spirito: una di quelle intime storie, che passano inosservate tutti i giorni, storia di un cuore tenero, timido, che aveva amato e pianto e pregato senza osare di far scorgere le sue lagrime o di far sentire la sua preghiera, che infine si era chiuso nel suo dolore ed era morto; io pensai alla povera capinera che guardava il cielo attraverso le gretole della sua prigione, che non cantava, che beccava tristamente il suo miglio, che aveva piegato la testolina sotto l'ala ed era morta.

Ecco perché l'ho intitolata: Storia di una capinera.
 
 
(Giovanni Verga; "Storia di una capinera")

giovedì 18 luglio 2019

...e il momento presente è pari all'eterno

In diverse occasioni il dottor Jung parlò di fenomeni parapsicologici. Disse che secondo lui i dati osservati si potevano spiegare solo con l'ipotesi che il tempo sia un fenomeno psichico, cioè un condizionamento della psiche o della coscienza. Una volta che ci si riesca a porre al di fuori di questo condizionamento dell'Io, il tempo diventa del tutto relativo e il momento presente è pari all'eterno.
 
 
(Esther Harding; "Jung parla - interviste e incontri")

...miele di rose, il più adorato, il più prezioso!

Dunque, pare che alle anime viventi possano toccare due sorti: c'è chi nasce ape, e chi nasce rosa. Che fa lo sciame delle api, con la sua regina? Va, e ruba a tutte le rose un poco di miele, per portarselo nell'arnia, nelle sue stanzette. E la rosa? La rosa l'ha in se stessa il proprio miele: miele di rose, il più adorato, il più prezioso! La cosa più dolce che innamora essa l'ha già in se stessa: non le serve cercarla altrove. Ma qualche volta sospirano di solitudine, le rose, questi esseri divini! Le rose ignoranti non capiscono i propri misteri. La prima di tutte le rose è Dio. Fra le due: la rosa e l'ape, secondo me, la più fortunata è l'ape. E l'Ape Regina, poi, ha una fortuna sovrana! Io, per esempio, sono nato Ape Regina. E tu Wilhelm? Secondo me tu, Wilhelm mio, sei nato col destino più dolce e col destino più amaro: tu sei l'ape e sei la rosa.
 
 
(Elsa Morante; "L'isola di Arturo")

martedì 9 aprile 2019

Chi invece guarda da dentro sa che tutto è nuovo

Profondità e superficie devono mescolarsi, al fine di generare nuova vita. La nuova vita però non nasce al di fuori di noi, ma in noi stessi. Gli eventi che in questi giorni si verificano fuori di noi sono l'immagine che i popoli vivono nella realtà concreta per lasciarla in eredità imperitura a epoche future, affinché esse ne traggano insegnamenti per il proprio cammino, allo stesso modo in cui noi abbiamo tratto insegnamento dalle immagini che in precedenza gli antichi hanno vissuto concretamente per noi. La vita non viene dalle cose, ma da noi. Tutto ciò che accade fuori è già accaduto. Perciò chi osserva l'evento da fuori vede sempre soltanto ciò che è già stato e che è sempre uguale. Chi invece guarda da dentro sa che tutto è nuovo. Le cose che accadono sono sempre le stesse. Non è sempre uguale invece la profondità creativa dell'essere umano. Le cose di per sé non significano nulla, assumono un significato soltanto dentro di noi. Siamo noi a dare significato alle cose. Il significato è ed è sempre stato artificiale. Siamo noi a crearlo. Cerchiamo dunque in noi stessi il significato delle cose affinché la via di quel che ha da venire possa palesarsi e la nostra vita continui a scorrere. Ciò di cui avete bisogno proviene da voi stessi, ed è il significato delle cose. Il significato delle cose non è il senso che è loro proprio. Questo senso si trova nei libri dotti. Le cose sono prive di senso. Il significato delle cose è la via della redenzione che vi create voi stessi. Il significato delle cose è la possibilità - creata da voi stessi - di vivere in questo mondo. Questo significato delle cose è il senso superiore che non si trova nelle cose stesse e neppure nell'anima, è piuttosto il Dio che sta tra le cose e l'anima, il mediatore della vita, la via, il ponte, il passaggio. Non avrei potuto vedere ciò che doveva venire, se non avessi potuto scorgerlo in me stesso.
 
 
(Carl Gustav Jung; "Il libro rosso")

sabato 30 marzo 2019

Quanto a me, ho cercato la libertà più che la potenza

C'è un punto solo nel quale mi sento superiore alla generalità degli uomini: io sono più libero e, al tempo stesso, più sottomesso di quel che non osino esserlo gli altri. Quasi tutti ignorano del pari in che cosa consista la loro autentica libertà e il loro vero servaggio. Imprecano alle loro catene; a volte, si direbbe che se ne vantino. D'altro canto, trascorrono il tempo in trasgressioni vane; non sanno imporre a se stessi il giogo più lieve. Quanto a me, ho cercato la libertà più che la potenza, e quest'ultima soltanto perché, in parte, secondava la libertà. Quel che m'interessava non era una filosofia dell'uomo libero - mi hanno sempre tediato tutti, quelli che vi si provano - ma bensì una tecnica: volevo trovare la cerniera ove la nostra volontà s'articola al destino; ove la disciplina, anziché frenarla, asseconda la natura. Comprendimi bene: qui non si tratta della dura volontà degli stoici, di cui tu ti esageri il potere, e neppure di una qualsiasi accettazione, o di astratto diniego, che offende le condizioni reali del nostro mondo che è pieno, continuo, formato di sostanze e di corpi. Io ho aspirato a una acquiescenza, a un consenso più segreto, più duttile. La vita, per me, era un destriero, di cui si sposano i movimenti, ma dopo averlo addestrato quanto meglio ci riesce. Dato che in fin dei conti tutto consiste in un atto volitivo interiore - lento, insensibile, tale da implicare l'adesione del corpo - mi studiavo di raggiungere gradualmente questa condizione di libertà, o di sottomissione, quasi allo stato puro.


(Marguerite Yourcenar; "Memorie di Adriano")


sabato 23 marzo 2019

...da chi? come? quando?

- Garmisch Partenkirchen, 12 giugno 1926
 
(…) ma è meglio che io non pensi al tempo futuro - altrimenti mi rabbuio, non vedo che angustie, e mi viene una voglia matta di piantar tutto, ambizione e il resto e prendere un treno qualunque per paesi molto lontani… non sono naturalmente che vaghi sentimenti, neppure desideri, ma sono indizi di questa noia che ogni giorno sopporto e ogni giorno cresce - certamente se fossi sano, e non avessi questa mia gamba che mi impedisce tutto, e dopo 500 metri di cammino mi fa desiderare un letto nero e profondo come un precipizio, se non avessi, dico, questa infermità (e ora che viene il caldo la sento ancor di più) tutto sarebbe stato diverso e io non avrei pensato neppure a scrivere romanzi - ad ogni modo quel che è stato è stato - meglio ora andare avanti per questa via che ho scelta - dopo la partenza di mamma ebbi per altre ragioni dei giorni molto peggiori: il fatto è che quando non si vive ci si annoia e quando si vive si soffre - questo è tutto - (…) da chi? come? quando? non so - per ora mi trovo più isolato nel mondo che non un selvaggio in un'isola del Pacifico…


(Alberto Moravia, Lettera ad Amelia Rosselli)

Suzanne Valadon


venerdì 1 marzo 2019

Risveglio

Ci si risveglia un giorno e le cose sembrano le stesse
mentre invece dietro a noi si è aperto un vuoto
dopo che tutto è stato fatto per trattenere la vita
in mezzo a un panorama di pietre sparse e tegole rotte.
Allora uno mette il dentifricio sullo spazzolino
mescola lo zucchero al caffè
con l'attenzione che aveva da scolaro
quando ritagliava dalla carta
file di bambini che si tengono per mano,
piccoli pesci che baciano l'aria.
 
 
(Pierluigi Cappello)

giovedì 28 febbraio 2019

L'Età dell'Oro dell'umanità

Di fronte a un mondo ormai privo di bellezza, gli uomini ritornarono a tempi lontani, all'antica Roma, quando il pensiero era aderente alla natura e in ogni boschetto si celava un tempio e gli dèi, meravigliose creazioni della fantasia umana, altro non erano che esseri umani perfetti. Dopo quest'epoca, il Rinascimento, l'umanità rimandò ai greci, Rousseau predicò il ritorno alla natura e i classicisti (come Schiller) il ritorno al grande astro di Omero. Oggi noi vogliamo risalire ancora più indietro; in quest'epoca affannata, ai nostri occhi inquieti si rivelano età in cui l'uomo si sentiva in comunione con le nuvole e il sole, con il vento e la tempesta: l'Età dell'Oro dell'umanità, che ancora sporadicamente vediamo riflessa nei popoli primitivi e il cui splendore aumenta quanto più ci avviciniamo alle radici dell'albero genealogico delle razze attuali, alle più antiche civiltà della storia: gli egizi e i babilonesi e le tribù bibliche e più indietro ancora. (…) io rintraccio l'origine dei sogni in influenze mitologiche antichissime. In tutti noi giacciono assopiti ricordi subconsci riconducibili ai nostri più remoti antenati; e questi la notte si ridestano e cercano di compensare l'atteggiamento falsato che noi uomini moderni abbiamo nei confronti della natura. (…) Ciò che durante il giorno precipita sotto la soglia della coscienza, in noi come nei nostri progenitori, si ridesta nei sogni a una postuma realtà.
(…) Del bisogno di religiosità e del fatto che essa sia un istinto umano primario esistono numerose prove fin dagli albori dell'umanità. Un tempo la sua soddisfazione faceva parte della dieta psichica inconscia di ogni uomo; oggi deve passare allo stato conscio. Al sentimento religioso deve fare appello il medico, quando cerca di riavvicinare il paziente a se stesso, per liberarlo da tutta la spazzatura psichica che gli è stata messa dentro, per fare spazio al libero gioco della fantasia, per coltivare le sue doti, palesi e nascoste, per ridargli equilibrio, per guidarlo alla meta indicata dalla alte parole del poeta greco: diventa ciò che sei.
 
 
(Carl Gustav Jung; "Jung parla - interviste e incontri")

sabato 12 gennaio 2019

Dovete credermi, dunque, quando dico che non voglio criticare

Dovete credermi, dunque, quando dico che non voglio criticare, che sto cercando di capire. Molte cose che potrebbero dispiacermi cessano di farlo quando ne comprendo la causa. (…) La malattia è la dolorosa testimonianza di qualche conflitto in atto nel corpo e nell'anima. Io cerco di scoprire che cosa i miei pazienti stiano nascondendo a se stessi; perciò, quando si rivolgono a me, mi limito al ruolo dell'ascoltatore. Faccio il vuoto nella mia mente, la rendo cioè ricettiva. Devo liberarmi di ogni preconcetto, evitare di dare giudizi sullo stato morale o spirituale che essi mi svelano. A un certo punto del colloquio, i pazienti incominciano a parlare di qualcosa che riesce loro difficile dire, e allora diventa evidente dove sta il conflitto. A volte si tratta di qualcosa di molto semplice e diretto, un'idea sbagliata sulla vita, che li tiene prigionieri e impedisce loro di vivere appieno, e che ha persino dato origine a un disturbo nervoso per segnalare la sua esistenza. Se il paziente arriva a capire che il conflitto è reale, e drammatico, e che tutti i suoi sforzi per eluderlo sono vani, oltre che indegni di lui, allora io posso essergli di aiuto. Allora la mia esperienza può essere posta al suo servizio.
 
 
(Carl Gustav Jung; "Jung parla - interviste e incontri")