mercoledì 17 gennaio 2018

Participation mystique

Anch'io posseggo questa natura arcaica, e in me si combina col dono - non sempre piacevole - di vedere la gente e le cose come sono realmente. Posso farmi ingannare per un pezzo, quando non voglio riconoscere qualcosa, eppure in fondo so benissimo come le cose stiano realmente. A tal riguardo sono un po' come un cane: gli si possono giocare dei tiri, ma alla fine il suo fiuto non l'inganna. Questo "intuito" dipende dall'istinto o da una "participation mystique" con gli altri, come se l' "occhio interiore" vedesse con un atto di percezione impersonale.
 
 
(Carl Gustav Jung; " Ricordi, sogni, riflessioni")

martedì 16 gennaio 2018

È stato molto tempo fa

È stato molto tempo fa, e ora
non so più nulla di lei che una volta
era tutto.
Ma tutto
passa.
 
 
(Bertolt Brecht, 1920)

Le Poesie

Son simili a finestre istoriate
le Poesie: finestre che, guardate
da la piazza a la chiesa, apron sui muri
una fila di buchi nudi e scuri.
E le guarda così la buona gente,
e dice poi che non ci vede niente.
Ma su, una volta alfine, penetrate
per la porta nel tempio, e là guardate!
Ecco, figure e scene, e cielo e mare,
tutto nei vetri luminoso appare.
Creature di Dio, semplici e liete,
gli occhi allegrate e l'anima pascete!
 
 
(Wolfgang Goethe)

sabato 13 gennaio 2018

...involontariamente chiamai questa visione preghiera

Là mi penetrarono l'anima gli occhi della Regina celeste che scendeva dal cielo con il Bambino eterno. C'era in essi la smisurata forza della purezza e del sacrificio accettato con preveggenza, la conoscenza della sofferenza e la disponibilità ad offrirsi volontariamente, e quella reale disposizione al sacrificio si vedeva negli occhi, non infantili, del Bambino.
(...) Non era un'emozione estetica, era un incontro, una nuova conoscenza, un miracolo. Io (allora marxista) involontariamente chiamai questa visione preghiera.
 
 
(Michail Bulgakov)

Ma che cos'è essere uomo?

La mia vita è la storia di un'autorealizzazione dell'inconscio. Tutto ciò che si trova nel profondo dell'inconscio tende a manifestarsi al di fuori, e la personalità, a sua volta, desidera evolversi oltre i suoi fattori inconsci, che la condizionano, e sperimentano se stessa come totalità. Non posso usare un linguaggio scientifico per delineare il procedere di questo sviluppo in me stesso, perché non posso sperimentare me stesso come un problema scientifico. Che cosa noi siamo per la nostra visione interiore, e che cosa l'uomo sembra essere sub specie aeternitatis, può essere espresso solo con un mito. Il mito è più individuale, rappresenta la vita con più precisione della scienza. La scienza si serve di concetti troppo generali per poter soddisfare alla ricchezza soggettiva della vita singola. Ecco perché, a ottantatré anni, mi sono accinto a narrare il mio mito personale. Posso fare solo dichiarazioni immediate, soltanto "raccontare delle storie"; e il problema non è quello di stabilire se esse siano o no vere, poiché l'unica domanda da porre è se ciò che racconto è la mia favola, la mia verità.

Un'autobiografia è tanto difficile a scriversi per il fatto che non abbiamo misure oggettive, né fondamenti oggettivi, per giudicare noi stessi. Non vi sono termini di confronto veramente adatti. So di non essere simile agli altri in molte cose, ma non so veramente a che cosa somiglio. L'uomo non può paragonarsi con alcun'altra creatura: non è una scimmia, né una mucca, né un albero. Io sono un uomo. Ma che cos'è essere uomo? Come ogni altro essere anch'io sono un frammento dell'infinita divinità, ma non posso paragonarmi con nessun animale, nessuna pianta, nessuna pietra. Forse che solo un essere mitico ha una posizione più elevata di quella dell'uomo? Dal momento che l'uomo non ha una base di sostegno per osservarsi, come può allora formarsi un'opinione definitiva di se stesso? Noi siamo un processo psichico che non controlliamo, o che dirigiamo solo parzialmente. Di conseguenza, non possiamo pronunciare alcun giudizio conclusivo su noi stessi o sulla nostra vita. Se lo facessimo, conosceremmo tutto, ma gli uomini non conoscono tutto, al più credono solamente di conoscerlo. In fondo, noi non sappiamo mai come le cose siano avvenute. La storia di una vita comincia da un punto qualsiasi, da qualche particolare che per caso ci capita di ricordare; e quando essa era a quel punto, era già molto complessa. Noi non sappiamo dove tende la vita: perciò la sua storia non ha principio, e se ne può arguire la meta solo vagamente. La vita umana è un esperimento di esito incerto. È un fenomeno grandioso solo in termini quantitativi. Individualmente, è così fugace, così insufficiente, da doversi letteralmente considerare un miracolo che qualcosa possa esistere e svilupparsi. Fui colpito da questo fatto tanto tempo fa, quando ero un giovane studente di medicina, e mi sembra sempre miracoloso di non venir annientato prematuramente. La vita mi ha sempre fatto pensare a una pianta che vive del suo rizoma: la sua vera vita è invisibile, nascosta nel rizoma. Ciò che appare alla superficie della terra dura solo un'estate, e poi appassisce, apparizione effimera. Quando riflettiamo sull'incessante sorgere e decadere della vita e delle civiltà, non possiamo sottrarci a un'impressione di assoluta nullità: ma io non ho mai perduto il senso che qualcosa vive e dura oltre questo eterno fluire. Quello che noi vediamo è il fiore, che passa: ma il rizoma perdura. In fondo, le sole vicende della mia vita che mi sembrano degne di essere riferite sono quelle nelle quali il mondo  imperituro ha fatto irruzione in questo mondo transeunte. Ecco perché parlo principalmente di esperienze interiori, nelle quali comprendo i miei sogni e le mie immaginazioni. Questi costituiscono parimenti la materia prima della mia attività scientifica: sono stati per me il magma incandescente dal quale nasce, cristallizzandosi, la pietra che deve essere scolpita. Tutti gli altri ricordi di viaggi, di persone, di ambienti che ho frequentati sono impalliditi di fronte a queste vicende interiori. Molti hanno preso parte alla storia del nostro tempo o ne hanno scritto: e se il lettore se ne interessa, farà meglio a rivolgersi a queste fonti. Il ricordo dei fatti esteriori della mia vita si è in gran parte sbiadito, o è svanito del tutto: ma i miei incontri con l'"altra" realtà, gli incontri con l'inconscio, si sono impressi in modo indelebile nella mia memoria. In questo campo vi è stata sempre esuberanza e ricchezza, e ogni altra cosa al confronto ha perduto importanza. In modo analogo, altre persone si sono stabilite permanentemente tra i miei ricordi, solo però in quanto i loro nomi sono stati scritti nel libro del mio destino da tempo immemorabile, e imbattermi in essi fu al tempo stesso una sorta di ricordo. Anche le cose che mi venivano incontro, dall'esterno, nella mia giovinezza, o più tardi, portavano l'impronta dell'esperienza interiore. Presto sono giunto alla convinzione che, senza una risposta e una soluzione dall'interno, le vicende e le complicazioni della vita, alla fin fine significano poco. Le circostanze esterne non possono sostituire le esperienze interiori: perciò la mia vita è stata particolarmente povera di eventi esteriori. Di questi non posso dire molto e, se lo facessi, avrei l'impressione di fare una cosa vana e inconsistente. Posso comprendere me  stesso solo nei termini delle vicende interiori: sono queste che hanno caratterizzato la mia vita, e di queste tratta la mia "autobiografia".
 
 
(Carl Gustav Jung; "Ricordi, sogni, riflessioni")