sabato 23 agosto 2014

Non dormire significa domandare

E il medico? Vedi spesso il collezionista di francobolli? Non è una domanda perfida, per quanto sembri così. Quando uno dorme male domanda e non sa che cosa. Vorrebbe domandare eternamente, non dormire significa domandare; se uno avesse la risposta, dormirebbe.


(Franz Kafka; "Lettere a Milena")

Buona notte

Buona notte? ah no, cattiva è la notte
che stacca quelli che dovrebbe unire;
restiamo ancora insieme, e allora sì,
allora sì sarà una buona notte.

Come chiamare buona la notte solitaria,
benché il tuo dolce augurio accelleri il suo volo?
Non dirlo, no! non lo pensare proprio;
allora sì, sarà una buona notte.

Per cuori che vicino l’uno all’altro
si muovono da sera fino all’alba,
la notte è buona, amore mio, perchè
loro non dicono buona notte mai.


(Percy Bysshe Shelley)

giovedì 21 agosto 2014

Lady Lazarus

L'ho rifatto
Un anno ogni dieci
Ci riesco

Una specie di miracolo ambulante, la mia pelle
Splendente come un paralume nazi,
Il mio Piede destro,

Un fermacarte
La mia faccia un anonimo, pefetto
Lino ebraico.
Il drappo,
O mio nemico!
Faccio forse paura?

Il naso, le occhiaie, la chiostra dei denti?
Il fiato puzzolente
In un giorno svanirà.

Presto, ben presto la carne
Che il sepolcro ha mangiato si sarà
Abituata a me

E io sarò una donna che sorride.
Non ho che trent'anni.
E come il gatto ho nove vite da morire.

Questa è la Numero Tre.
Quale ciarpame
Da far fuori a ogni decennio.

Che miriade di filamenti.
La folla sgranocchiante noccioline
Si accalca per vedere
Che mi sbendano mano e piede
Il grande spogliarello.
Signori e signore, ecco qui

Queste sono le mie mani,
I miei ginocchi.
Sarò anche pelle e ossa,
Ma pure sono la stessa, identica donna.
La prima volta successe che avevo dieci anni.
Fu un incidente.

Ma la seconda volta ero decisa
A insistere, a non recedere assolutamente.
Mi dondolavo chiusa

Come una conchiglia.
Dovettero chiamare e chiamare
E staccarmi via i vermi come perle appiccicose.
Morire
É un'arte, come ogni altra cosa.
Io lo faccio in un modo eccezionale.

Io lo faccio che sembra come inferno.
Io lo faccio che sembra reale.
Ammetterete che ho la vocazione.

È facile abbastanza da farlo in una cella.
È facile abbastanza da farlo e starsene lì.
È il teatrale

Ritorno in pieno giorno
A un posto uguale, uguale viso, uguale animale
Urlo divertito:

"Miracolo!"
È questo che mi ammazza.
C'è un prezzo da pagare

Per spiare le mie cicatrici, c'è un prezzo da pagare
per auscultare il mio cuore
Eh sì, batte.
E c'è un prezzo, un prezzo molto caro,
Per una toccatina, una parola,
O un po' del mio sangue

O di capelli o un filo dei miei vestiti.
Eh sì, Herr Doktor.
Eh sì, Herr nemico.

Sono il vostro opus magnum.
Sono il vostro gioiello,
Creature d'oro puro
Che a uno strillo si liquefà.
Io mi rigiro e brucio.
Non crediate che io sottovaluti le vostre ansietà.

Cenere, cenere
Voi attizzate e frugate.
Carne, ossa, non ne trovate

Un pezzo di sapone,
Una fede nuziale,
Una protesi dentale.

Herr Dio, Herr Lucifero,
Attento,
Attento.

Dalla cenere io rinvengo
Con le mie rosse chiome
E mangio uomini come aria di vento.


(Sylvia Plath)

lunedì 18 agosto 2014

E allora noi vili

E allora noi vili
che amavamo la sera
bisbigliante, le case,
i sentieri sul fiume,
le luci rosse e sporche
di quei luoghi, il dolore
addolcito e taciuto
noi strappammo le mani
dalla viva catena
e tacemmo, ma il cuore
ci sussultò di sangue,
e non fu più dolcezza,
non fu più abbandonarsi
al sentiero sul fiume 
non più servi, sapemmo
di essere soli e vivi


(Cesare Pavese)

Me ne vado

Me ne vado, ti lascio nella sera
che, benché triste, così dolce scende
per noi viventi, con la luce cerea
che al quartiere in penombra si rapprende.
E lo sommuove. Lo fa diventare, vuoto,
intorno, e, più lontano, lo riaccende
 
di una vita smaniosa che del roco
rotolìo dei tram, dei gridi umani,
dialettali, fa un concerto fioco
 
e assoluto. E  senti come in quei lontani
esseri che, in vita, gridano, ridono,
in quei loro veicoli, in quei grami
 
caseggiati dove si consuma l’infido
ed espansivo dono dell’esistenza –
quella vita non è che un brivido,
 
corporea, collettiva presenza;
senti il mancare di ogni religione
vera; non vita, ma sopravvivenza
- forse più lieta della vita - come
d’un popolo  di animali, nel cui arcano
orgasmo non ci sia altra passione
 
che per l’operare quotidiano:
umile fervore  cui dà un senso di festa
l’umile corruzione. Quanto più è vano
 
- in questo vuoto della storia, in questa
ronzante pausa  in cui la vita tace –
ogni ideale,  meglio è manifesta 
 
la stupenda, adusta sensualità
quasi alessandrina,  che tutto minia
e impuramente  accende, quando qua
 
nel mondo, qualcosa crolla, e si trascina
il mondo, nella  penombra, rientrando
in vuote piazze,  in scorate officine…


(Pier Paolo Pasolini)

domenica 17 agosto 2014

Da quella stella all'altra

Da quella stella all'altra
Si carcera la notte
In turbinante vuota dismisura,

Da quella solitudine di stella
A quella solitudine di stella.


(Giuseppe Ungaretti)

La notte bella

Quale canto s'è levato stanotte
che intesse
di cristallina eco del cuore
le stelle

Quale festa sorgiva
di cuore a nozze

Sono stato
uno stagno di buio

Ora mordo
come un bambino la mammella
lo spazio

Ora sono ubriaco
d'universo


(Giuseppe Ungaretti)

giovedì 14 agosto 2014

Quando vado rovistando nella mia mente

Quando vado rovistando nella mia mente non trovo nobili sentimenti sull'essere compagne e uguali e indurre il mondo a perseguire scopi più elevati. Mi ritrovo a dire brevemente e prosaicamente che essere se stesse è più importante di qualunque altra cosa.


(Virginia Woolf)

Goddess Hebe


Scritto sulla sabbia

Che il bello e l'incantevole
siano solo un soffio e un brivido,
che il magnifico entusiasmante amabile non duri: 

nube, fiore, bolla di sapone, 
fuoco d'artificio e riso di bambino, 
sguardo di donna nel vetro di uno specchio, 
e tante altre fantastiche cose, 
che esse appena scoperte svaniscano, 
solo il tempo di un momento 
solo un aroma, un respiro di vento, 
ahimè lo sappiamo con tristezza. 
E ciò che dura e resta fisso 
non ci è così intimamente caro: 
pietra preziosa con gelido fuoco, 
barra d'oro di pesante splendore; 
le stelle stesse, innumerabili, 
se ne stanno lontane e straniere, non somigliano a noi 
- effimeri-, non raggiungono il fondo dell'anima. 
No, il bello più profondo e degno dell'amore 
pare incline a corrompersi, 
è sempre vicino a morire, 
e la cosa più bella, le note musicali, 
che nel nascere già fuggono e trascorrono, 
sono solo soffi, correnti, fughe 
circondate d'aliti sommessi di tristezza 
perché nemmeno quanto dura un battito del cuore 
si lasciano costringere, tenere; 
nota dopo nota, appena battuta 
già svanisce e se ne va.

Così il nostro cuore è consacrato 
con fraterna fedeltà
a tutto ciò che fugge
e scorre,
alla vita,
non a ciò che è saldo e capace di durare.
Presto ci stanca ciò che permane,
rocce di un mondo di stelle e gioielli,
noi anime-bolle-di-vento-e-sapone
sospinte in eterno mutare.
Spose di un tempo, senza durata,
per cui la rugiada su un petalo di rosa,
per cui un battito d'ali d'uccello
il morire di un gioco di nuvole,
scintillio di neve, arcobaleno,
farfalla, già volati via,
per cui lo squillare di una risata,
che nel passare ci sfiora appena,
può voler dire festa o portare dolore.
Amiamo ciò che ci somiglia,
e comprendiamo
ciò che il vento ha scritto
sulla sabbia.


(Hermann Hesse)

mercoledì 13 agosto 2014

Destino

Destino! Che albero invisibile e infinito
dà il tuo frutto, che l'anima
a volte raccoglie, maturo?
Quali di queste idee sono i tuoi rami,
di questi sentimenti sono i tuoi fiori,
di queste canzoni sono i tuoi uccelli,
di questi sorrisi i tuoi profumi?
Cosa alimenta le tue radici?
In che modo, da dove, come
in questo limone dalla mia finestra, tu entri
nella nostra stanza più interna
e lì sfiori, dolcemente, il cuore?

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¡Ventura: ¿qué árbol invisible e infinito
da tu fruto, que el alma
a veces coje, pleno?
¿Cuáles de estas ideas son tus ramas
de estos sentimientos son tus flores,
de estas canciones son tus pájaros,
de estas sonrisas tus aromas?
¿Qué te alimenta tus raíces?
¿Cómo, por dónde, iqual
que este limón por mi ventana,
entras en nuestra cámara más honda
y rozas allí, dulce, el corazón?


(Juan Ramón Jimenez)

martedì 12 agosto 2014

Lo scorcio di un'eternità

La bellezza è insopportabile, ci spinge alla disperazione, ci offre per un minuto lo scorcio di un'eternità che vorremmo stendere su tutto il tempo.


(Albert Camus)

sabato 9 agosto 2014

Timidezza

Appena seppi solamente che esistevo
e che avrei potuto essere, continuare,
ebbi paura di ciò, della vita,
desiderai che non mi vedessero,
che non si conoscesse la mia esistenza.
Divenni magro, pallido, assente,
non volli parlare perché non potessero
riconoscere la mia voce, non volli vedere
perché non mi vedessero,
camminando, mi strinsi contro il muro
come un’ombra che scivoli via.
Mi sarei vestito
di tegole rosse, di fumo,
per restare lì, ma invisibile,
essere presente in tutto, ma lungi,
conservare la mia identità oscura,
legata al ritmo della primavera.


(Pablo Neruda)

Julie


venerdì 8 agosto 2014

Tutto è esagerazione

Tutto è esagerazione, soltanto la nostalgia è vera, non la si può esagerare.


(Franz Kafka; Praga, 14-9-1920)

La porta che si chiude

Tu lo vedi, sorella: io sono stanca,
stanca, logora, scossa,
come il pilastro d’un cancello angusto
al limitare d’un immenso cortile;
come un vecchio pilastro
che per tutta la vita
sia stato diga all’irruente fuga
d’una folla rinchiusa.
Oh, le parole prigioniere
che battono battono
furiosamente
alla porta dell’anima
e la porta dell’anima
che a palmo a palmo
spietatamente
si chiude!
Ed ogni giorno il varco si stringe
ed ogni giorno l’assalto è più duro.
E l’ultimo giorno
– io lo so –
l’ultimo giorno
quando un’unica lama di luce
pioverà dall’estremo spiraglio
dentro la tenebra,
allora sarà l’onda mostruosa,
l’urto tremendo,
l’urlo mortale
delle parole non nate
verso l’ultimo sogno di sole.
E poi,
dietro la porta per sempre chiusa,
sarà la notte intera,
la frescura,
il silenzio.
E poi,
con le labbra serrate,
con gli occhi aperti
sull’arcano cielo dell’ombra,
sarà
– tu lo sai –
la pace.


(Antonia Pozzi)

mercoledì 6 agosto 2014

San Martino del Carso

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro

Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto

Ma nel cuore
nessuna croce manca

È il mio cuore
il paese più straziato


(Giuseppe Ungaretti)

Doppio poema del Lago Eden

Era la mia voce antica
ignara dei densi succhi amari.
La sento lambire i miei piedi
sotto le fragili felci bagnate.

Ahi, voce antica del mio amore,
ahi voce della mia verità,
ahi, voce del mio aperto costato,
quando tutte le rose nascevano dalla mia lingua
e il prato non conosceva l'impassibile dentatura del cavallo!

Tu sei qui a bere il mio sangue,
a bere il mio umore di bambino noioso,
mentre i miei occhi si spezzano nel vento
con l'alluminio e le voci degli ubriachi.

Lasciami passare la porta
dove Eva mangia formiche
e Adamo feconda pesci abbacinati.
Lasciami passare, omuncolo dei corni
verso il bosco degli stiramenti
e dei salti allegrissimi.

Io so l'uso piú segreto
che ha un vecchio spillo ossidato
e conosco l'orrore di certi occhi svegli
sulla concreta superficie del piatto.

Ma non voglio mondo né sogno, voce divina,
voglio la mia libertà, il mio amore umano
nell'angolo piú buio del vento che nessuno vuole.
Il mio amore umano!

Questi cani marini s'inseguono
e il vento spia tronchi trascurati.
O voce antica, brucia con la lingua
questa voce di latta e di talco!

Voglio piangere perché ne ho voglia
come piangono i bambini dell'ultimo banco,
perché io non sono né un uomo né un poeta né una foglia,
ma un polso ferito che tocca le cose dall'altro lato.

Voglio piangere dicendo il mio nome,
rosa, bambino e abete sulla riva di questo lago
per dire la mia verità d'uomo di sangue
uccidendo in me la beffa e la suggestione della parola.

No, no, io non domando, io desidero,
voce mia liberata che mi lambisci le mani.
Nel labirinto di paraventi è il mio nudo che riceve
la luna di castigo e l'orologio incenerito.

Così parlavo.
Così parlavo quando Saturno fermò i treni
e la bruma e il Sonno e la Morte mi cercavano.
Mi cercavano
là dove muggiscono le vacche che hanno zampine di paggio
e là dove fluttua il mio corpo fra contrari equilibri.


(Federico Garcia Lorca)

martedì 5 agosto 2014

Semplicità

Si apre il cancello del giardino
con la docilità della pagina
che una frequente devozione interroga
e all'interno gli sguardi
non devono fissarsi negli oggetti
che già stanno interamente nella memoria.
Conosco le abitudini e le anime
e quel dialetto di allusioni
che ogni gruppo umano va ordendo.
Non ho bisogno di parlare
né di mentire privilegi;
Bene mi conoscono quelli che mi attorniano,
bene sanno le mie ansie e le mie debolezze.
Ciò è raggiungere il più alto,
quello che forse ci darà il Cielo:
non ammirazioni, né vittorie
ma semplicemente essere ammessi
come parte di una realtà innegabile,
come le pietre e gli alberi.


(Jorge Luis Borges)

sabato 2 agosto 2014

I miei pensieri avevano gettato l'amo nella corrente

Eccomi, dunque, seduta, una o due settimane fa, sulla riva del fiume in una bella giornata di ottobre, persa nei miei pensieri. La necessità di giungere a una qualche conclusione era così pesante da farmi chinare la testa. A destra e a sinistra alcuni cespugli splendevano di vividi colori, rossi e dorati, anzi sembravano ardere per il riverbero. Più avanti sulla riva i salici piangevano in una lamentazione perenne, le chiome lungo le spalle. Il fiume rifletteva a suo piacimento tratti del cielo, del ponte e dell'albero infuocato, e dopo il passaggio di uno studente, che aveva tagliato in due i riflessi con il remo della barca, quelli si erano subito richiusi, del tutto, come se lui non fosse mai esistito. Lì, su quella riva, avrei potuto perdere la nozione del tempo immersa nei miei pensieri. I miei pensieri - per chiamarli con un nome più nobile di quanto non meritassero - avevano gettato l'amo nella corrente. La lenza ondeggiava pigramente qua e là, tra i riflessi e le alghe, lasciandosi sollevare e sommergere dall'acqua e poi - eccolo, il lieve strattone del pesce che abbocca - quell'improvviso conglomerarsi di un'idea all'estremità della lenza: e poi il suo prudente sollevarsi dall'acqua e il suo attento dispiegarsi. Ahimè, visto sull'erba il mio pensiero era piccolo e insignificante, quel genere di pesce che un bravo pescatore ributta in acqua in modo che possa crescere tanto da poter essere un giorno cucinato e mangiato. Ma per quanto piccolo fosse, esso aveva tuttavia la misteriosa proprietà della sua specie: restituito alla mente, diventò subito molto eccitante, e importante; e nel guizzare dentro e fuori dall'acqua, nel mandare bagliori qua e là, diede il via a una tale tumultuosa ondata di idee che fu impossibile restare seduti un minuto di più...


(Virginia Woolf)

venerdì 1 agosto 2014

Era l'ora della luce incerta

Si alzò una brezza, da quale dei punti cardinali non so, ma sollevò le foglie ancora piccole, provocando un'effusione di bagliori argentei. Era l'ora della luce incerta, quando i colori si fanno più intensi e i vetri delle finestre si tingono di oro e di porpora e fanno pensare ai battiti di un cuore eccitabile; quando per qualche ragione la bellezza del mondo, rivelata ma prossima a perire, ha due facce, una di allegria, l'altra di angoscia, che spezzano il cuore.


(Virginia Woolf)