domenica 27 novembre 2011

Un'altra sosta

Appoggiami la testa sulla spalla:
ch'io ti accarezzi con un gesto lento,
come se la mia mano accompagnasse
una lunga, invisibile gugliata.

Non sul tuo capo solo: su ogni fronte
che dolga di tormento e di stanchezza
scendono queste mie carezze cieche,
come foglie ingiallite d'autunno
in una pozza che riflette il cielo.


(Antonia Pozzi)

La pazza con la violetta

Si disse: quando un giorno l'assalto della bruttezza fosse diventato del tutto insostenibile, si sarebbe comprata dal fioraio una violetta, una sola violetta, quello stelo delicato col suo minuscolo fiorellino, sarebbe uscita in strada e tenendolo davanti al viso l'avrebbe fissato spasmodicamente, per vedere solo quello, per vederlo come fosse l'ultima cosa che voleva conservare, per se stessa e per i suoi occhi, di un mondo che aveva ormai smesso di amare. Sarebbe andata così per le strade di Parigi, la gente presto avrebbe cominciato a conoscerla, i bambini l'avrebbero rincorsa, derisa, le avrebbero tirato oggetti addosso e tutta Parigi l'avrebbe chiamata: "la pazza con la violetta"...


(Milan Kundera)

sabato 26 novembre 2011

Le doti del nostro romantico

Le doti del nostro romantico sono capire tutto, vedere tutto e vedere spesso di gran lunga più chiaramente di quanto vedano le nostre menti più positive; non sottomettersi a nulla e a nessuno, ma nello stesso tempo non disdegnare nulla; aggirare ogni ostacolo, cedere a tutto, agire diplomaticamente con tutti; non perdere mai di vista il fine utile, pratico: tener d'occhio questo fine attraverso tutti gli entusiasmi e i volumetti di liriche e nello stesso tempo custodire incrollabilmente in sé fino alla tomba "ciò che è Sublime ed Elevato", e, fra parentesi, custodire con cura anche se stessi, proprio nella bambagia, come gioiellini, non fosse che per il bene, poniamo, di quello stesso "Sublime ed Elevato". Uomo di larghe vedute il nostro romantico, e primissimo farabutto fra tutti i nostri farabutti, ve l'assicuro...


(Fëdor Dostoevskij; "Memorie dal sottosuolo")

martedì 22 novembre 2011

Afterglow

Sempre è commovente il tramonto
per indigente o sgargiante che sia,
ma più commovente ancora
è quel brillìo disperato e finale
che arrugginisce la pianura
quando il sole ultimo si è sprofondato.
Ci duole sostenere quella luce tesa e diversa,
quella allucinazione che impone allo spazio
l'unanime paura dell'ombra
e che cessa di colpo
quando notiamo la sua falsità,
come cessano i sogni
quando sappiamo di sognare.


(Jorge Luis Borges)

Sono sempre stata come sono

Sono sempre stata come sono
anche quando non ero come sono
e non saprà nessuno come sono
perché non sono solo come sono.


(Patrizia Valduga)

venerdì 18 novembre 2011

Vivere è superare se stessi

Bisogna fare uno sforzo per risalire il corso delle cose, e capovolgere gli eventi.
Con purezza e sincerità di fronte a noi stessi... Perché vivere non è seguire come pecore il corso degli eventi, nel solito tran tran di questo insieme di idee, di gusti, di percezioni, di desideri, di disgusti che confondiamo con il nostro io e dei quali siamo appagati senza cercare oltre, più lontano. Vivere è superare se stessi, mentre l'uomo non sa far altro che lasciarsi andare.


(Antonin Artaud)

martedì 15 novembre 2011

L'emisfero dei tuoi capelli

Lasciami respirare a lungo, ancora e ancora, l'odore dei tuoi capelli, lascia che io vi immerga il viso come fa l'assetato nell'acqua della sorgente, e che li scuota con la mia mano come un fazzoletto odoroso per farne uscire i ricordi nell'aria. Se tu potessi sapere tutto quello che vedo, tutto quello che sento, tutto quello che scopro nei tuoi capelli! La mia anima viaggia seguendo un profumo, come l'anima di altri viaggia seguendo una musica. Nei tuoi capelli c'è un intero sogno, pieno di vele e alberature; mari aperti i cui monsoni mi portano verso climi incantati, dove lo spazio è più azzurro e profondo, dove l'aria ha il profumo dei frutti, delle foglie e della pelle umana. Nell'oceano dei tuoi capelli vedo un porto brulicante di canzoni tristi, di uomini vigorosi dei più diversi paesi, e navi d'ogni forma, le cui intricate, delicate architetture si stagliano nel cielo immenso, invaso da un'immobile calura. Se carezzo i tuoi capelli, ritrovo il languore delle ore passate su un divano, nella cabina di una bella nave, cullato dal dolce rollio del porto, tra vasi di fiori e terrine rinfrescanti. Nella brace dei tuoi capelli, respiro l'odore di tabacco mescolato all'oppio e allo zucchero; nel buio dei tuoi capelli vedo splendere l'infinito dell'azzurro tropicale; sulle rive muscose dei tuoi capelli mi inebrio degli odori mescolati del catrame, del muschio e dell'olio di cocco. Lasciami mordere ancora le tue trecce pesanti e nere. Quando prendo a piccoli morsi i tuoi capelli elastici e ribelli, mi sembra di mangiare ricordi.


(Charles Baudelaire; "Lo spleen di Parigi")

lunedì 14 novembre 2011

L'estate è finita

Sono più miti le mattine
e più scure diventano le noci
e le bacche hanno un viso più rotondo.
La rosa non è più nella città.
L'acero indossa una sciarpa più gaia.
La campagna una gonna scarlatta,
ed anch'io, per non essere antiquata,
mi metterò un gioiello.


(Emily Dickinson)

domenica 13 novembre 2011

Ho perso il mio dolore

Ho pianto perché il processo grazie al quale sono divenuta donna è stato doloroso. Ho pianto perché non sono più una bambina con la fede cieca di una bambina. Ho pianto perché i miei occhi sono aperti sulla realtà. Ho pianto perché non posso più credere, e io amo credere. Posso ancora amare appassionatamente anche senza credere. Questo significa che amo umanamente. Ho pianto perché d’ora in avanti piangerò meno. Ho pianto perché ho perso il mio dolore, e non sono ancora abituata alla sua assenza.

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Last night I wept. I wept because the process by which I have become woman
was painful. I wept because I was no longer a child with a child's blind faith. I wept because my eyes were opened to reality. I wept because I could not believe anymore and I love to believe. I can still love passionately without believing. That means I love humanly. I wept because I have lost my pain, 
and I am not yet accustomed to its absence.


(Anais Nin)

domenica 6 novembre 2011

Lavorare stanca

Traversare una strada per scappare di casa
lo fa solo un ragazzo, ma quest’uomo che gira
tutto il giorno le strade, non è più un ragazzo
e non scappa di casa.

Ci sono d’estate
pomeriggi che fino le piazze son vuote, distese
sotto il sole che sta per calare, e quest’uomo, che giunge
per un viale d’inutili piante, si ferma.
Val la pena esser solo, per essere sempre più solo?
Solamente girarle, le piazze e le strade
sono vuote. Bisogna fermare una donna
e parlarle e deciderla a vivere insieme.
Altrimenti, uno parla da solo. È per questo che a volte
c’è lo sbronzo notturno che attacca discorsi
e racconta i progetti di tutta la vita.

Non è certo attendendo nella piazza deserta
che s’incontra qualcuno, ma chi gira le strade
si sofferma ogni tanto. Se fossero in due,
anche andando per strada, la casa sarebbe
dove c’è quella donna e varrebbe la pena.
Nella notte la piazza ritorna deserta
e quest’uomo, che passa, non vede le case
tra le inutili luci, non leva più gli occhi:
sente solo il selciato, che han fatto altri uomini
dalle mani indurite, come sono le sue.
Non è giusto restare sulla piazza deserta.
Ci sarà certamente quella donna per strada
che, pregata, vorrebbe dar mano alla casa.


(Cesare Pavese)

martedì 1 novembre 2011

Il cupo, fosco fuoco

Amo gli occhi tuoi, amica mia
e il loro gioco splendido di incanto e di fiamma
quando li alzi all’improvviso
e come un fulmine celeste
guardi veloce tutt’intorno.

Ma c’è un fascino più forte.
Gli occhi tuoi rivolti in basso,
negli attimi di un bacio appassionato
e tra le ciglia semichiuse
il desiderio, il cupo, il fosco fuoco.

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I love your eyes, my dear
their splendid sparkling fire 
 when suddenly you raise them so
to cast a swift embracing glance 
like lightning flashing in the sky.

But there's a charm that is greater still
when my love's eyes are lowered
when all is fired by passion's kiss
and through the downcast lashes
I see the dull flame of desire.


(Fedor I. Tjutcev)