domenica 22 dicembre 2013

Non abdicate davanti a lui

Il vostro stesso dubbio può diventare una cosa buona se voi l'educate: deve trasformarsi in uno strumento di conoscenza e di scelta. Domandategli, ogni volta ch'esso vorrebbe sciupare una cosa, perché trova questa cosa brutta. Esigete da lui delle prove. Osservatelo: lo troverete forse smarrito, e forse su una pista. Anzitutto non abdicate davanti a lui. Domandategli le sue ragioni. Cercate di mai mancarvi. Giorno verrà in cui questo distruttore sarà divenuto uno dei vostri migliori artigiani, il più intelligente forse di quelli che lavorano alla costruzione della vostra vita.


(Rainer Maria Rilke - 26 Dicembre 1908)

Ho tutta l’anima incrinata

Ho tutta l’anima incrinata
di brividi di stelle.


(Salvatore Quasimodo)

Millimetri (sensazioni di cose minime)

Vivo con intensità soltanto le sensazioni minime, e relative a cose piccolissime. Credo che ciò avvenga a causa del mio amore per la futilità, oppure per la mia scrupolosa attenzione ai dettagli. O piuttosto (non saprei dirlo, non verifico mai questo tipo di cose) ciò dipende dal fatto che le cose minime, non avendo assolutamente nessuna importanza sociale o pratica, hanno, proprio per questa assenza, una totale indipendenza da entità contaminate dalla realtà. (...) Benedetti siano gli istanti, e i millimetri, e le ombre delle piccole cose, ancora più umili delle cose stesse! Gli istanti... I millimetri: quale impressione di meraviglia e di coraggio mi provoca la loro esistenza, gli uni accanto agli altri così ravvicinati in un metro. A volte soffro e godo per queste cose. E me sono goffamente orgoglioso.


(Fernando Pessoa)

lunedì 16 dicembre 2013

Voglio pensare in silenzio

Voglio pensare in silenzio, con calma e spazio, non venire mai interrotta, mai dovermi alzare dalla sedia, scivolare con facilità da una cosa all'altra, libera da sensazioni di ostilità, di ostacolo. Voglio affondare sempre di più, via dalla superficie con i suoi rigidi fatti separati.


(Virginia Woolf)

C’era un silenzio infinito e pur denso di suoni

(...) Lassù nei turbini bianco-azzurri del sogno, col corpo mi si è rinforzata l’anima. Mi erano compagni due spiriti rari e forti: Comici e una ragazza di Padova aristocratica e montanara. Non dimenticherò mai l’ultima giornata passata con lei fra il rifugio Principe e il rifugio Locatelli, sotto le immani pareti Nord delle Cime. Comici arrampicava solo su per la Nord della Piccola, un’ascensione estremamente difficile. Noi sotto, sul ghiaione, nell’ombra fredda, a seguire spasmodicamente con gli occhi quel punto minuscolo crocefisso al lastrone nero. Poi, quando lui fu in cima, noi giù a salti per uscire dall’ombra e là, per terra, al sole, a 2500 metri, fino al tramonto. C’era un silenzio infinito e pur denso di suoni. Dalla valle profonda di Sesto, salivano rotti palpiti di campani, giù dalle gole, dai camini, rispondevano rarissime pietruzze rimbalzanti sul ghiaione. E a me, così supina, pareva che l’enorme conca deserta fosse pur piena di un’altra musica, una specie di ronzio gonfio e continuo, che sembrava partire da un gigantesco organo sospeso fra cielo e terra. Ed ecco: guardando in alto, pensai che avverrebbe delle nostre anime se quelle nuvole bianche che passano incessantemente lassù avessero ciascuna un suono, una nota, un canto; più in basso le nuvole lente e scure, chiaro argentino le nuvole candide. Forse in quell’ora era il passo delle nuvole, era la voce delle nuvole che mi sonava dentro come una sinfonia orchestrale. O forse erano le Tre Cime, là erette come una cattedrale gotica, sventrata dal fulmine e spalancata a Dio, che lasciavano prorompere l’urlo delle loro preghiere di pietra. E forse in tutto quel canto la nota più alta era tenuta dall’anima dell’uomo solo lassù, con la sua vittoria e il suo sonno sotto il sole (...). Forse anche erano i morti, di cui sotto le Cime e la Forcella di Lavaredo si trovano le ossa bianche sparse, benedette e purificate dalla neve e dal sole; i morti della nostra guerra, forse, che cantavano nel sole di mezzogiorno, per la mia stanchezza ebbra, per il mio corpo di ragazza sull’erba breve e puntuta, per il mio cuore stretto contro un masso di granito bianco e le mie mani posate amorosamente sull’appiglio (...) Se potessi sempre ricordarmi di quell’ora, la vita sarebbe una vittoria continua...


(Antonia Pozzi; Lettera a Tullio Gadenz - 1938)

domenica 15 dicembre 2013

Sul più illustre paesaggio

Sul più illustre paesaggio
Ha passeggiato il ricordo
Col vostro passo di pantera
Sul più illustre paesaggio
Il vostro passo di velluto
E il vostro sguardo di vergine violata
Il vostro passo silenzioso come il ricordo
Affacciata al parapetto
Sull'acqua corrente
I vostri occhi forti di luce.


(Dino Campana)

Poesia facile

Pace non cerco, guerra non sopporto
Tranquillo e solo vo pel mondo in sogno
Pieno di canti soffocati. Agogno
La nebbia ed il silenzio in un gran porto.

In un gran porto pien di vele lievi
Pronte a salpar per l'orizzonte azzurro
Dolci ondulando, mentre che il sussurro
Del vento passa con accordi brevi.

E quegli accordi il vento se li porta
Lontani sopra il mare sconosciuto.
Sogno. La vita è triste ed io son solo.

O quando o quando in un mattino ardente
L'anima mia si sveglierà nel sole
Nel sole eterno, libera e fremente.


(Dino Campana)

venerdì 13 dicembre 2013

La speranza è un essere piumato

La speranza è un essere piumato
che si posa sull'anima, canta
melodie senza parole e non finisce mai.
La brezza ne diffonde l'armonia,
e solo una tempesta violentissima
potrebbe sconcertare l'uccellino
che ha consolato tanti.
L'ho ascoltato nella terra più fredda
e sui più strani mari.
Eppure neanche nella necessità
ha chiesto mai una briciola - a me


(Emily Dickinson)

Saint Petersburg Mosque


Anche tu modellati degno di un dio

Ecco l'unico bene: causa e sicurezza di vita felice è avere fiducia in se stessi. (...) Coloro che si sforzano di raggiungere nobili mete, quanto più si impegneranno e tanto meno si lasceranno vincere e si concederanno soste per riprendere lena, tanto più avranno la mia ammirazione, e allora esclamerò: "Di tanto sei ancora migliore! Tirati su, respira a  pieni polmoni e, se ce la fai, supera questa balza tutto d'un fiato". La fatica è alimento di animi eletti. Renditi felice con le tue forze. (...) Come senza mescolanza di luce nessuna cosa risplende e nulla è opaco, se non contiene tenebre o abbia assorbito in sé qualcosa di oscuro, come senza il soccorso del fuoco nulla è caldo, e nulla è fresco senza l'apporto dell'aria, così le cose nobili e quelle disoneste sono rese tali rispettivamente dall'unione con la virtù o con il vizio. Che cosa è dunque il bene? La conoscenza. Che cosa è il male? L'ignoranza. Chi sa vedere lontano ed è veramente esperto di saggezza, respingerà o sceglierà ciascuna cosa a seconda delle circostanze, ma non teme ciò che rifiuta né si esalta per quello che sceglie, purché abbia un animo grande e indomabile. Non consento che tu ti pieghi e ti avvilisca. Non rifiuti la fatica? É poco. Devi cercarla. Perché essa esprime la costanza dell'animo, ed è proprio questa la virtù che sprona se stessa verso compiti difficili e duri. A tutto questo si aggiungono, perché la virtù sia perfetta, una costanza di comportamento e uno stile di vita in tutto e per tutto coerente, e ciò non è possibile senza la conoscenza della realtà e senza l'arte che permette di conoscere le cose umane e divine. Questo è il bene supremo e se tu lo acquisisci, cominci a essere un compagno degli dei, non un supplice. "In che modo" tu dici "si giunge fino a questo punto?" É un percorso sicuro, piacevole, cui la natura ti ha predisposto, elargendoti quelle doti che, se tu non le disattenderai, ti consentiranno di elevarti allo stesso livello di un dio. Il denaro non ti renderà pari a un dio: un dio non ha nulla. La toga pretesta, neppure: un dio è nudo. Nemmeno la reputazione e il metterti in mostra e la notorietà del tuo nome diffusa tra i popoli; nessuno conosce la divinità, molti giudicano male di lei e per questo non subiscono tuttavia alcun danno. Nemmeno lo stuolo dei servi che trasportano la tua lettiga per itinerari urbani e forestieri: esiste un dio massimo e onnipotente che porta su di sé tutte le cose. (...) Bisogna cercare ciò che non peggiora di giorno in giorno e a cui non si possono frapporre ostacoli. Di che cosa si tratta? Dell'animo, però di un animo retto, buono, grande; come lo chiameresti altrimenti se non la divinità che alberga nel corpo umano? Un animo di questo genere può discendere tanto in un cavaliere romano quanto nel figlio di un liberto o in uno schiavo. Che cosa sono, infatti, un cavaliere romano, il figlio di un liberto o uno schiavo? Sono nomi nati dall'arroganza o dall'ingiustizia. Si può salire fino al cielo anche da un'umilissima dimora: "Anche tu modellati degno di un dio". Non ti modellerai, però con l'oro o con l'argento: con queste materie non è possibile esprimere un'immagine simile a quella della divinità; pensa che quegli dei, quando ci erano propizi, erano di argilla. Stammi bene.


(Seneca; "Lettere a Lucilio")

mercoledì 11 dicembre 2013

Quello che in te era altura

Quello che in te era altura
lo hanno spianato
e la tua valle
l'hanno interrata.
Sopra di te passa
una strada comoda.

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Was an dir Berg war
Haben sie geschleift
Und dein Tal
Schüttete man zu
Über dich führt
Ein Bequemer Weg.


(Bertolt Brecht)

Tra tutte le opere

Tra tutte le opere
io prediligo quelle usate.
I bacili di rame ammaccati, appiattiti sugli orli,
le forchette e i coltelli dai manici di legno
che molte mani hanno logorato: queste mi parvero
le più nobili forme. Così anche i selci
che circondano le vecchie case,
smussati dai molti piedi che li calpestarono,
coi ciuffi d'erba che vi crescono in mezzo: queste
sono felici opere.

Entrate nell'uso molteplice, sovente variando aspetto,
migliorano la loro guisa, si fanno pregevoli
perchè sovente saggiate.
Persino i frammenti di sculture
con le loro mani mozze m'incantano. Per me
vissero anch'essi. Furono portati anche se poi lasciati cadere.
Anche se travolti stettero pure a non grande altezza.
Gli edifici mezzo diroccati
riprendono l'aspetto di maestosi disegni
ancora incompiuti: le loro belle misure
sono già intuibili; è necessario però
il nostro intendimento. Eppure
hanno già servito, sono anzi già sorpassati. Il sentirlo
mi rende felice.

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Von allen Werken, die liebsten
Sind mir die gebrauchten.
Die Kupfergefäße mit den Beulen und den abgeplatteten Rändern
Die Messer und Gabeln, deren Holzgriffe
Abgegriffen sind von vielen Händen: solche Formen
Schienen mir die edelsten. So auch die Steinfliesen um alte Häuser
Welche niedergetreten sind von vielen Füßen, abgeschliffen
Und zwischen denen Grasbüschel wachsen, das
Sind glückliche Werke.

Eingegangen in den Gebrauch der vielen
Oftmals verändert, verbessern sie ihre Gestalt und werden Köstlich
Weil oftmals gekostet.
Selbst die Bruchstücke von Plastiken
Mit ihren abgehauenen Händen liebe ich. Auch sie
Lebten mir. Wenn auch fallen gelassen, wurden sie doch getragen.
Wenn auch überrannt, standen sie doch nicht zu hoch.
Die halbzerfallenen Bauwerke
Haben wieder das Aussehen von noch nicht vollendeten
Groß geplanten: ihre schönen Maße
Sind schon zu ahnen; sie bedürfen aber
Noch unseres Verständnisses. Anrerseits
Haben sie schon gedient, ja, sind schon überwunden. Dies alles
Beglückt mich.


(Bertolt Brecht)

È tutto ciò che ho da offrire oggi

È tutto ciò che ho da offrire oggi -
Questo, e il mio cuore accanto -
Questo, e il mio cuore, e tutti i campi -
E tutti gli ampi prati -
Accertati di contare - dovessi dimenticare -
Qualcuno la somma potrà dire -
Questo, e il mio cuore, e tutte le Api
Che nel Trifoglio dimorano.


(Emily Dickinson)

lunedì 9 dicembre 2013

Ma altri, pochi, sono come le stelle fisse

La maggior parte degli uomini sono come una foglia secca, che si libra nell'aria e scende ondeggiando al suolo. Ma altri, pochi, sono come le stelle fisse, che vanno per un loro corso preciso, e non c'è vento che li tocchi, hanno in se stessi la loro legge e il loro cammino.


(Hermann Hesse)

Sii dolce con me

Sii dolce con me. Sii gentile.
E’ breve il tempo che resta. Poi
saremo scie luminosissime.
E quanta nostalgia avremo
dell’umano. Come ora ne
abbiamo dell’infinità.
Ma non avremo le mani. Non potremo
fare carezze con le mani.
E nemmeno guance da sfiorare
leggere.
Una nostalgia d’imperfetto
ci gonfierà i fotoni lucenti.
Sii dolce con me.
Maneggiami con cura.
Abbi la cautela dei cristalli
con me e anche con te.
Quello che siamo
è prezioso più dell’opera blindata nei sotterranei
e affettivo e fragile. La vita ha bisogno
di un corpo per essere e tu sii dolce
con ogni corpo. Tocca leggermente
leggermente poggia il tuo piede
e abbi cura
di ogni meccanismo di volo
di ogni guizzo e volteggio
e maturazione e radice
e scorrere d’acqua e scatto
e becchettio e schiudersi o
svanire di foglie
fino al fenomeno
della fioritura,
fino al pezzo di carne sulla tavola
che è corpo mangiabile
per il mio ardore d’essere qui.
Ringraziamo. Ogni tanto.
Sia placido questo nostro esserci -
questo essere corpi scelti
per l’incastro dei compagni
d’amore. nei libri.


(Mariangela Gualtieri)

Virginia Woolf’s writing table

sabato 7 dicembre 2013

Credere all'indistruttibile in noi

In teoria vi è una perfetta possibilità di felicità: credere all'indistruttibile in noi e non aspirare a raggiungerlo.


(Franz Kafka)

E fin dentro il sonno più profondo sapere che sei tu

Rainer, ho ricevuto la tua lettera il giorno del mio onomastico: il 30 luglio, perché una santa ce l'ho anch'io, benché mi senta la primogenita del mio nome, e senta te come primogenito del tuo. Il santo chiamato Rainer aveva certamente un nome diverso. Tu sei Rainer. Dunque, il giorno del mio onomastico, il regalo più bello - la tua lettera! Del tutto inattesa, come ogni volta: non mi abituerò mai a te (né a me!), e neanche allo stupore, e neanche al mio pensare a te. Tu sei ciò che sognerò stanotte, che stanotte sognerà me. (Sognare o essere sognata?) Io sconosciuta in un sogno estraneo. Non aspetto mai, ti riconosco sempre. Il giorno in cui qualcuno ci sognerà insieme - allora ci incontreremo. Rainer, voglio venire da te anche per il mio nuovo io, quello - quella - che può nascere soltanto con te, soltanto in te. E allora Rainer, non arrabbiarti con me, sono io, io che voglio dormire con te - addormentarmi e dormire. Splendida espressione popolare - quanto profonda, quanto autentica, quanto priva di ambiguità, esattamente come ciò che esprime. Semplicemente dormire, e null'altro. No, ancora: la testa sprofondata nell'incavo della tua spalla sinistra, il braccio intorno a quella destra, e null'altro. No, ancora: e fin dentro il sonno più profondo sapere che sei tu. E ancora: il suono del tuo cuore. E - baciare quel cuore. La bocca l'ho sempre sentita come mondo: volta celeste, Il corpo l'ho sempre tradotto in anima, l'ho reso magnifico a tal punto che all'improvviso non ne è rimasto nulla. Perché ti dico tutto questo? Per paura, forse - che tu mi ritenga comunemente passionale. "Ti amo e voglio dormire con te" - all'amicizia non è data tanta concisione. Ma è con un'altra voce che io lo dico, quasi nel sonno profondo. Il mio suono è diverso da quello della passione. Tutto ciò che mai dorme desidera saziarsi di sonno fra le tue braccia. Fin dentro l'anima (gola) sarebbe il bacio. (non incendio: voragine). Rainer, si fa sera, ti amo. Ulula un treno. I treni sono i lupi, i lupi la Russia. Non un treno - la Russia intera sta ululando verso di te. Rainer, non arrabbiarti, oppure arrabbiati quanto vuoi: stanotte dormirò con te. Uno squarcio nel buio - ci sono le stelle - concludo: finestra. (Alla finestra penso, non al letto, quando penso a te e a me.) Gli occhi spalancati, perché fuori è ancora più buio che dentro. Il letto è un vascello, ci mettiamo in viaggio. Non occorre che tu risponda. M.


(Marina Cvetaeva a Rainer Maria Rilke; St-Gilles-sur-Vie - 2 agosto 1926)

giovedì 5 dicembre 2013

Aprire la porta e non sentire risposta

Leggere è come aprire la porta a un’orda tumultuosa di ribelli che ti attaccano in venti posti diversi contemporaneamente – mi ritrovo colpita, stimolata, sbucciata, denudata, lanciata per aria, al punto che la vita sembra balenarmi davanti. E poi di nuovo accecata, colpita in testa – tutte sensazioni piacevoli per una lettrice (perché non c’è niente di più triste che aprire la porta e non sentire risposta).


(Virginia Woolf)

martedì 3 dicembre 2013

Io sono dei vostri

Io sono dei vostri, alberi, sono dei vostri
animali eleganti, io sono dei vostri. Credetelo.
Sono dei vostri. Ci separa soltanto un fiato infantile,
ma lo so, lo so, sono io tutto quel
manto, sono io il tronco e lo storno e il
falco. Ci separa un niente, colore, capello,
piccolo piccolo nome: l'impianto
del respiro è solo apparente diverso.
Ci guarderemo fraternamente.
Io sarò migliore.
Larga come l'andare d'un fiume
grande, ci capiremo con l'albero e col seme,
capiremo l'insetto e la grandine.
Risplendiamo. Adesso.
Essere il mondo, voglio. Sentirmi
a casa nel cosmo. E le maree saranno
la strada del gonfio cuore. Sarà d'amore
se cresco. Se avanzo o calo. Sarà d'amore.
E luce voglio. Cosí m'impétalo, che mi spensiero,
che rido mentre corro, come la rondine,
mi moltiplico a stelo, gocciolo, mi biforco,
mi alzo e tramonto, mi slargo, mi infaldo,
divento cima e svetto, mi innevo e frano.
Tutto questo io voglio, dolcemente, perché
fuori dell'umano il dolore è uno sparo
minimo e la più gran parte è ridere,
mi pare, il grande canto.
Lo senti il firmamento? Com'è sereno!
Anche noi siamo dentro.
Abbiamo polverine nelle vene, antiche come il cielo,
sono disciolte nel sangue, hanno dentro
l'impronta d'un andare semplice e grande,
come le grandi sfere. Abbiamo sfere nel sangue,
cartine geografiche con strade d'argento
e vedute telescopiche fino ad
Aldebaran. Abbiamo Vega nel sangue
la stella prodigiosa, e istruzioni precise
per il viaggio per l'appontaggio
e coraggio abbastanza per ogni volo.


(Mariangela Gualtieri)

lunedì 2 dicembre 2013

...se non quando è nuda

Gli uomini volendo abbellire l'anima hanno creduto di doverla ornare di credenze e di principi, come adornano di pietre preziose e di ori i santi dei diversi santuari, ma l'anima non è bella se non quando è nuda.


(Marguerite Yourcenar)

The Winter Palace

Alla malinconia

Fuggendo da te mi sono dato ad amici e vino,
perché dei tuoi occhi oscuri avevo paura,
e nelle braccia dell’amore ed ascoltando il liuto
ti dimenticai, io tuo figlio infedele.

Tu però in silenzio mi seguivi,
ed eri nel vino che disperato bevevo,
ed eri nel calore delle mie notti d’amore,
ed eri anche nello scherno, che t’esprimevo.

Ora mi rinfreschi le mie membra sfinite
ed accolto hai nel tuo grembo il mio capo,
ora che dai miei viaggi son tornato:
tutto il mio vagare dunque era un cammino verso di te.

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Zum Wein, zu Freunden bin ich dir entflohn,
Da mir vor deinem dunklen Auge graute,
In Liebesarmen und beim Kiang der Laute

Vergaß ich dich, dein ungetreuer Sohn.

Du aber gingest mir verschwiegen nach
Und warst im Wein, den ich verzweifelt zechte,
Warst in der Schwüle meiner Liebesnächte
Und warest noch im Hohn, den ich dir sprach.


Nun kühlst du die erschöpften Glieder mir
Und hast mein Haupt in deinen Schoß genommen,
Da ich von meinen Fahrten heimgekommen:
Denn all mein Irren war ein Weg zu dir.



(Hermann Hesse)

venerdì 29 novembre 2013

Due monete in offerta

due monete in offerta,
e in prestito la frescura
della veranda del tempio

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nimon nagete
tera no en karu
suzumi kana


(Masaoka Shiki)

È bella e triste

è bella e triste
la barca che pesca
coi cormorani

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omoshirote
yagate kanashiki
ubune kana


(Matsuo Basho)

Tanto da colmare l’universo

Assente, il tuo volto si dilata tanto da colmare l’universo. Passi allo stato fluido, quello dei fantasmi. Presente, si condensa; e raggiungi la concentrazione dei metalli più pesanti, l’iridio, il mercurio. Mi fa morire quel peso cadendomi sul cuore.


(Marguerite Yourcenar; "Fuochi")

Il pianto della scavatrice

Solo l'amare, solo il conoscere
conta, non l'aver amato,
non l'aver conosciuto. Dà angoscia

il vivere di un consumato
amore. L'anima non cresce più.
Ecco nel calore incantato
    
della notte che piena quaggiù
tra le curve del fiume e le sopite
visioni della città sparsa di luci,

scheggia ancora di mille vite,
disamore, mistero, e miseria
dei sensi, mi rendono nemiche
le forme del mondo, che fino a ieri
erano la mia ragione d'esistere.
Annoiato, stanco, rincaso, per neri
piazzali di mercati, tristi
strade intorno al porto fluviale,
tra le baracche e i magazzini misti
agli ultimi prati. Lì mortale
è il silenzio: ma giù, a viale Marconi,
alla stazione di Trastevere, appare
    
ancora dolce la sera. Ai loro rioni,
alle loro borgate, tornano su motori
leggeri - in tuta o coi calzoni
    
di lavoro, ma spinti da un festivo ardore
i giovani, coi compagni sui sellini,
ridenti, sporchi. Gli ultimi avventori
chiacchierano in piedi con voci
alte nella notte, qua e là, ai tavolini
dei locali ancora lucenti e semivuoti.
    
Stupenda e misera città,
che m'hai insegnato ciò che allegri e feroci
gli uomini imparano bambini,
    
le piccole cose in cui la grandezza
della vita in pace si scopre, come
andare duri e pronti nella ressa

delle strade, rivolgersi a un altro uomo
senza tremare, non vergognarsi
di guardare il denaro contato
con pigre dita dal fattorino
che suda contro le facciate in corsa
in un colore eterno d'estate;
    
a difendermi, a offendere, ad avere
il mondo davanti agli occhi e non
soltanto in cuore, a capire

che pochi conoscono le passioni
in cui io sono vissuto:
che non mi sono fraterni, eppure sono
    
fratelli proprio nell'avere
passioni di uomini
che allegri, inconsci, interi
vivono di esperienze
ignote a me. Stupenda e misera
città che mi hai fatto fare
    
esperienza di quella vita
ignota: fino a farmi scoprire
ciò che, in ognun, era il mondo.

Una luna morente nel silenzio,
che di lei vive, sbianca tra violenti
ardori, che miseramente sulla terra
    
muta di vita, coi bei viali, le vecchie
viuzze, senza dar luce abbagliano
e, in tutto il mondo, le riflette
    
lassù, un po' di calda nuvolaglia.
È la notte più bella dell'estate.
Trastevere, in un odore di paglia
di vecchie stalle, di svuotate
osterie, non dorme ancora.
Gli angoli bui, le pareti placide

risuonano d'incantati rumori.
Uomini e ragazzi se ne tornano a casa
- sotto festoni di luci ormai sole -
    
verso i loro vicoli, che intasano
buio e immondizia, con quel passo blando
da cui più l'anima era invasa
    
quando veramente amavo, quando
veramente volevo capire.
E, come allora, scompaiono cantando.


(Pier Paolo Pasolini)

mercoledì 27 novembre 2013

Senza parole

Senza parole
senza parole in petto,
anima spodestata sono,
nessuna antenna per richiamarti,
solo questo mio silenzio,
groviglio in cui ardo, -
qualche lacrima rada
mi si posa come vento sulle ciglia,
tu non la senti
e l'incendio più avvampa
silenzioso -
anima spodestata sono,
nessuna antenna per richiamarti, nessuna parola.


(Sibilla Aleramo)

Supponiamo che una rosa provi sensazioni

Supponiamo che una rosa provi sensazioni. Un bel mattino, essa fiorisce e gode di se stessa; poi, però, sopraggiunge un vento freddo e il sole si fa ardente. La rosa non ha scampo, non può eliminare i suoi travagli nati con il mondo: allo stesso modo, l'uomo non può essere felice ignorando che quei travagli esistono, e gli elementi materiali prenderanno il sopravvento sulla sua natura. I corrotti e i superstiziosi chiamano comunemente il nostro mondo: "valle di lacrime". Da questa valle dovremmo essere liberati grazie a un certo arbitrario intervento di Dio e condotti in cielo: che pensiero limitato e mediocre! Chiamate il mondo, vi prego, "la valle del fare anima" e allora scoprirete qual è la sua utilità. (...) Dico fare anima intendendo per "anima" qualcosa di diverso dalla "intelligenza". Possono esistere milioni di intelligenze o scintille della divinità, ma esse non sono anime fino a quando non acquisiscono identità, fino a quando ognuna non è personalmente se stessa.


(John Keats; Lettera al fratello - 1819)

domenica 24 novembre 2013

È già domani

È già domani e io cancello i giorni con una gioia maligna - proprio come, con zelo prematuro, butto nel secchio le bottiglie vuote di vino e i vasetti del miele, per essere pulita e libera dall'ingombro di recipienti pieni a metà.


(Sylvia Plath - Domenica notte, 2 marzo 1958)

Il poeta è un operaio

Gridano al poeta:
"Ti vorremmo vedere davanti a un tornio!
Cosa sono i versi? Parole inutili!
Certo che per lavorare fai il sordo".
Forse, a noi, il lavoro
sta a cuore più d'ogni altra occupazione.
Sono anch'io una fabbrica.
E se mi mancano le ciminiere,
forse, senza di esse,
ci vuole ancor più coraggio.
Lo so: voi non amate le frasi oziose.
Quando tagliate del legno, è per farne dei ciocchi.
E noi, non siamo forse degli ebanisti?
Noi intagliamo il legno delle teste dure.
Certo, la pesca è cosa rispettabile.
Tirare le reti e, nelle reti, storioni, forse!
Ma il lavoro del poeta non è da meno:
è pesca d'uomini, non di pesci.
Fatica enorme è bruciare agli altiforni,
temprare i metalli sibilanti.
Ma chi oserà chiamarci pigri?
Noi limiamo i cervelli
con la nostra lingua affilata.
Chi è superiore: il poeta o il tecnico
che porta agli uomini vantaggi pratici?
Sono uguali. I cuori sono anche motori.
L'anima è un'abile forza motrice.
Siamo uguali. Compagni d'una massa operaia.
Proletari di corpo e di spirito.
Soltanto uniti abbelliremo l'universo,
l'avvieremo a tempo di marcia.
Contro la marea di parole innalziamo una diga.
All'opera! Al lavoro nuovo e vivo!
E gli oziosi oratori, al mulino! Ai mugnai!
Che l'acqua dei loro discorsi
faccia girare le macine.


(Vladimir Majakovskij)

The Astronomer

venerdì 22 novembre 2013

No, io son nato per l’inverno

No, io son nato per l’inverno,
per il grigio e il freddo che mi serra d’intorno
per starmene raccolto a stringere sul cuore la mia fiamma
povera fiamma vacillante.
La bella natura
Che si scalda e vive decisa
Al sole, ai colori più sani,
datrice agli eletti di pensieri ed opere forti,
inesorabile come la vita,
universale piena,
a me (piangete o miei poveri sogni)
dà smarrimento e stanchezza,
a me spegne ogni fiamma, fonte più pura.


(Cesare Pavese)

mercoledì 20 novembre 2013

Ho steso corde da campanile a campanile

Ho steso corde da campanile a campanile;
ghirlande da finestra a finestra;
catene d'oro da stella a stella,
e danzo...

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J'ai tendu des cordes de clocher à clocher ;
des guirlandes de fenetre à fenetre ;
des chaines d'or d'étoile à étoile ,
et je danse ...


(Arthur Rimbaud)

La vita solitaria

La mattutina pioggia, allor che l’ale
Battendo esulta nella chiusa stanza
La gallinella, ed al balcon s’affaccia
L’abitator de’ campi, e il Sol che nasce
I suoi tremuli rai fra le cadenti
 Stille saetta, alla capanna mia
Dolcemente picchiando, mi risveglia;
E sorgo, e i lievi nugoletti, e il primo
Degli augelli susurro, e l’aura fresca,
E le ridenti piagge benedico:
Poiché voi, cittadine infauste mura,
Vidi e conobbi assai, là dove segue
Odio al dolor compagno; e doloroso
Io vivo, e tal morrò, deh tosto! Alcuna
Benché scarsa pietà pur mi dimostra
Natura in questi lochi, un giorno oh quanto
Verso me più cortese! E tu pur volgi
Dai miseri lo sguardo; e tu, sdegnando
Le sciagure e gli affanni, alla reina
Felicità servi, o natura. In cielo,
In terra amico agl’infelici alcuno
E rifugio non resta altro che il ferro.
Talor m’assido in solitaria parte,
Sovra un rialto, al margine d’un lago
Di taciturne piante incoronato.
Ivi, quando il meriggio in ciel si volve,
La sua tranquilla imago il Sol dipinge,
Ed erba o foglia non si crolla al vento,
E non onda incresparsi, e non cicala
Strider, né batter penna augello in ramo,
Né farfalla ronzar, né voce o moto
Da presso né da lunge odi né vedi.
Tien quelle rive altissima quiete;
Ond’io quasi me stesso e il mondo obblio
Sedendo immoto; e già mi par che sciolte
Giaccian le membra mie, né spirto o senso
Più le commova, e lor quiete antica
Co’ silenzi del loco si confonda.

Amore, amore, assai lungi volasti
Dal petto mio, che fu sì caldo un giorno,
Anzi rovente. Con sua fredda mano
Lo strinse la sciaura, e in ghiaccio è volto
Nel fior degli anni. Mi sovvien del tempo
Che mi scendesti in seno. Era quel dolce
E irrevocabil tempo, allor che s’apre
Al guardo giovanil questa infelice
Scena del mondo, e gli sorride in vista
Di paradiso. Al garzoncello il core
Di vergine speranza e di desio
Balza nel petto; e già s’accinge all’opra
Di questa vita come a danza o gioco
Il misero mortal. Ma non sì tosto,
Amor, di te m’accorsi, e il viver mio
Fortuna avea già rotto, ed a questi occhi
Non altro convenia che il pianger sempre.
Pur se talvolta per le piagge apriche,
Su la tacita aurora o quando al sole
Brillano i tetti e i poggi e le campagne,
Scontro di vaga donzelletta il viso;
O qualor nella placida quiete
D’estiva notte, il vagabondo passo
Di rincontro alle ville soffermando,
L’erma terra contemplo, e di fanciulla
Che all’opre di sua man la notte aggiunge
Odo sonar nelle romite stanze
L’arguto canto; a palpitar si move
Questo mio cor di sasso: ahi, ma ritorna
Tosto al ferreo sopor; ch’è fatto estrano
Ogni moto soave al petto mio.

O cara luna, al cui tranquillo raggio
Danzan le lepri nelle selve; e duolsi
Alla mattina il cacciator, che trova
L’orme intricate e false, e dai covili
Error vario lo svia; salve, o benigna
Delle notti reina. Infesto scende
Il raggio tuo fra macchie e balze o dentro
A deserti edifici, in su l’acciaro
Del pallido ladron ch’a teso orecchio
Il fragor delle rote e de’ cavalli
Da lungi osserva o il calpestio de’ piedi
Su la tacita via; poscia improvviso
Col suon dell’armi e con la rauca voce
E col funereo ceffo il core agghiaccia
Al passegger, cui semivivo e nudo
Lascia in breve tra’ sassi. Infesto occorre
Per le contrade cittadine il bianco
Tuo lume al drudo vil, che degli alberghi
Va radendo le mura e la secreta
Ombra seguendo, e resta, e si spaura
Delle ardenti lucerne e degli aperti
Balconi. Infesto alle malvage menti,
A me sempre benigno il tuo cospetto
Sarà per queste piagge, ove non altro
Che lieti colli e spaziosi campi
M’apri alla vista. Ed ancor io soleva,
Bench’innocente io fossi, il tuo vezzoso
Raggio accusar negli abitati lochi,
Quand’ei m’offriva al guardo umano, e quando
Scopriva umani aspetti al guardo mio.
Or sempre loderollo, o ch’io ti miri
Veleggiar tra le nubi, o che serena
Dominatrice dell’etereo campo,
Questa flebil riguardi umana sede.
Me spesso rivedrai solingo e muto
Errar pe’ boschi e per le verdi rive,
O seder sovra l’erbe, assai contento
Se core e lena a sospirar m’avanza.


(Giacomo Leopardi)

martedì 19 novembre 2013

Ombre

Tanto ho pensato a te
e ho scritto tanto di te
senza proprio sapere chi tu fossi.
In tante e tante camere ho dormito
senza averti al mio fianco
e tante son le case
nelle quali ho abitato, senza di te.
Tante son le città in cui non ti ho incontrato.

Tante sono le cose che ho esaurito
o smarrito per via verso di te,
e tante possibilità ho sprecato,
tante vite che la tua presenza qui e ora
mi fa sentire perdute
che ormai ti posso vedere solo
come la luce primaverile che talvolta
sfiora la tua gota o accende l'ardore dei tuoi occhi
lasciando le ombre ancora più fredde e profonde.


(Henrik Nordbrandt)

Tenendo le cose assieme

In un campo
io sono l'assenza
di campo.
Questo è
sempre opportuno.
Dovunque sono
io sono ciò che manca.

Quando cammino
divido l'aria
e sempre
l'aria si fa avanti
per riempire gli spazi
che il mio corpo occupava.

Tutti abbiamo delle ragioni
per muoverci
io mi muovo
per tenere assieme le cose.


(Mark Strand)

domenica 17 novembre 2013

Io sono più grande

Io sono più grande
di ogni tradimento.


(Alda Merini)

Aphrodite

Avverbi di luogo

Qua è dove sono io. Ovunque sia
io sarò sempre qua, dove mi vedi.
Questa casa, questi volti, questi oggetti
stancano perché il qua stanca.
Qua viene sete di andarsene, sete di laggiù.
Ma laggiù è il luogo dove non potrò mai stare,
dove io sono impossibile. Ovunque vada
il là dove sarò diverrà qua
e io ci sarò ad aspettare me stesso
con in mano un mazzo di rose tutte uguali.
Là è il tuo qua.
Là sembra un grido perché è dove fa male.
Io voglio essere là, dove tu stai,
e tu qua, o meglio: noi due laggiù, remoti, insieme,
ché vivo è uguale a insieme.
Laggiù c’è l’amore che non c’è qua.
Quegli oggetti toccati dalle tue mani,
quello che pensi, dici, taci o sogni,
quei luoghi dove stai senza di me,
quello desidero, quello mi occorre.
Ed essere il tuo là, il tuo alito sospeso.
Laggiù è la salvezza, il miraggio
nato dalla sete di stare qua.
Laggiù saremmo felici per sempre
stretta la foglia e larga la via,
laddove il tuo qua e il mio là si riunirebbero.
Laggiù è la pioggia cadendo
su questo deserto inaridito.
Laggiù è il Paese di Bengodi, Eldorado, il non-plus-ultra.
Io sono qua, tu là, e noi due laggiù, ma quando?
Questo è pietra. Codesto è seta. Quello è mare.
Qua è focolare impossibile, intima assenza,
odiato domicilio, carcere di ogni giorno.
Là, calore del tu, mia la tua vita,
tesoro della tua isola, aria d’amore.
Laggiù, dove non ci siamo, piove sulla vita
che non sarà mai nostra e che ci attende.

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Aquí es donde estoy yo. Esté donde esté
yo siempre estoy aquí donde me ves.
Esta casa, estas caras, estas cosas
cansan, porque aquí cansa.
Aquí hace sed de irse, sed de allí.
Pero allí es el lugar donde jamás podré estar,
donde yo soy imposible. Vaya adonde vaya,
allá donde yo llegue será aquí
y estaré ya esperándome a mí mismo
con un ramo de rosas iguales en la mano.
Ahí es tu aquí.
Ahí parece un grito porque es donde te duele.
Yo quiero estar ahí, donde estás tú,
tú aquí o, mejor, los dos allí, remotos, juntos
porque lo vivo es lo junto.
Ahí hay el amor que no hay aquí.
Esas cosas tocadas por tus manos,
eso que piensas, dices, callas, sueñas,
esos lugares donde estás sin mí,
eso deseo, eso necesito.
Y ser tu ahí, tu aliento intercalado.
Allí es la salvación, el espejismo
nacido de la sed de estar aquí.
Allí sí que seríamos felices,
donde tu aquí y mi ahí estarían juntos,
comerían perdices que no existen.
Allí es la lluvia aquella
que cae sobre este páramo sediento.
Allí es Jauja, el Dorado. No hay palabras
que puedan dar idea de aquel sitio.
Las palabras son éstas, nunca aquellas.
Yo estoy aquí y tú ahí y allá nosotros cuándo.
Esto es piedra. Eso es seda. Aquello es mar.
Aquí, hogar imposible, íntima ausencia,
odiado domicilio, cárcel del cada día.
Ahí, calor del tú, tu vida mía,
tesoro de tu isla, aire de amor.
Allí, donde no estamos, llueve sobre la vida
que nunca será nuestra y nos aguarda.


(Juan Vicente Piqueras)

mercoledì 13 novembre 2013

C'è una meta

c'è una meta
per il vento dell'inverno:
il rumore del mare

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kogarashi no
hate wa arikeri
umi no oto


(Ikenishi Gonsui)