sabato 28 novembre 2015

E vogliatemi bene, così


-Torino, 14 novembre 1907

Mio caro Guido,
la vostra telepatia che credete così fine s’inganna e vi inganna. Io non ho forse mai pensato tanto a Voi come in questi giorni che per analogia di date mi facevano rivivere le ore del nostro primo incontro. Io piuttosto dubitavo di Voi così a lungo taciturno, sognante in solitudine e in oblio. Che buona cosa è la solitudine che godete Voi fra la natura e il sogno: l’uno che tortura l’altra che blandisce, dolci entrambi alla vostra anima pensosa. È triste invece la mia, la solitudine fra la gente così vicina e così lontana da me, e fra cui è necessario ch'io sia, sempre e dovunque, "quella che va sola". C’è pure, è vero, un’altera dolcezza in questa malinconia ma è una dolcezza amara che fa piangere un poco quando non c’è nessuno che vede. (...) Io sono già al ventiduesimo capitoletto delle mie Seduzioni che mi sembrano ogni giorno meno seducenti. Beato Voi che possedete il dono dell’autocritica! Io mi smarrisco così facilmente tra le perplessità e i dubbi da soffrirne persino incubi notturni. Qualche volta un verso mi tortura durante il sonno in modo da togliermi ogni beneficio di riposo. Mi sveglio affaticata come se avessi ascoltato una conferenza dantesca di Isidoro del Lungo. Le terzine - otto, per due endecasillabi - che mandai a Francesco Chiesa furono da lui giudicate "versi bellissimi, così ben martellati, saldi e snelli"; ma ciò malgrado sono tentata di non lasciarglieli più pubblicare. Mi sembra troppo presto e troppo pretensioso per un lavoro ancora incompiuto. Che ne dite? Una curiosità: la vetrina dell’orafo dinanzi alla quale io rimasi mezz'ora incantata e le cui gemme volli incastonare in quelle mie terzine, fu la stessa sera assalita e svaligiata dai ladri. Vi prego di non denunziarmi all'autorità. Ma è strano: le cose belle attirano i poeti e i ladri. (...) Vedete che anch'io vi parlo di letteratura (passatemi il francesismo) e letterati con uno zelo commovente. Forse tutto questo non vi interessa che ben poco, pure non vorrei parlarvi d’altro perché sono in collera con Voi "calcolatore freddissimo". Cinque giorni, Amico mio, sono ben pochi e ben brevi, e una visita sola è quasi nulla per la nostra amicizia. L’autunno è bello anche a Torino e in certi viali gialli e rossi e verdi si passeggia su le foglie secche e fruscianti come in un sentiero di campagna. Io me li godo, sapete, tutta sola in qualche crepuscolo pallido che infiltra fra la ramaglia un po’ d’oro scolorito e un po’ di rosa vecchio, e penso talvolta con desiderio a un compagno ideale, come Voi, col quale scambiare qualche parola rara fra i passi lenti. E vi rivolgo idealmente una domanda qualsiasi su una pianta, su una nube, su gli occhi di un bimbo che passa per il piacere sottile d'imaginare la vostra risposta, d’indovinarla fra le molte che mi si presentano al pensiero. (...) Non mi sfuggite, Guido, non abbiate paura di me, io non voglio farvi del male. Sarete qui il venticinque? Venite da me il ventisei, senza indugio, portandomi ancora un poco della pura grazia del vostro tiglio verde, e della sua viva freschezza dentro gli occhi e dentro il cuore. Addio, scrivetemi che verrete, non ancora per il viatico della partenza, ma per una comunione d’anime unite in desiderio di serenità e di bene.

E vogliatemi bene, così.


(Amalia Guglielminetti, Lettera a Guido Gozzano)

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