lunedì 29 febbraio 2016

Se è cosa strana, dalle il benvenuto

Se è cosa strana, dalle il benvenuto come si fa con gli stranieri. Vi sono in cielo e in terra, Orazio, assai più cose di quante ne sogna la tua filosofia.


(William Shakespeare; "Amleto")

Torino, 12 marzo 1908 - Giovedì mattina

No, no, no. È meglio non vederci più. Fra pochi giorni di vita febbrile lascierò Torino per molti mesi... Ho un gran desiderio di morire, ma non sono triste. Non ti amo, ho soltanto la visione continua della tua persona, dei tuoi capelli, dei (tuoi) occhi, della tua bocca; e quando il fremito del ricordo mi dà tregua riappare in Te la dolce compagna, il dolce compagno di sogni mite nel consiglio, solerte nell’aiuto. E non altro. Tu mi domandi, inquieta, del ricordo che avrò di Te: è tale quale vorrei l’ultimo ritratto della persona cara che non vedremo più. Ineffabile e puro. Perché tutte le mescolanze più acri della nostra carne troppo giovane e tutte le aspirazioni più nobili del nostro cervello superiore (oh! Possiamo ben dircelo, senza false modestie!) non formano che un’armonia unica; e del giorno vissuto insieme (ma è stato vero?) io porterò un ricordo che illuminerà tutte le mie tristezze future. Noi non ci vedremo più. Si era detto di seppellire nella solitudine della campagna quanto restava di noi. L’abbiamo fatto. E così sia. Ci siamo salvati dalla sorte comune dei piccoli amanti e dobbiamo uscire da questa ribellione più sereni e più franchi. Io sono felice di non dovervi più rivedere. E non soffrirò. Voi soffrirete anche meno. Forse presto vi coglierà una passione forte per un uomo forte. Ve l’auguro - beato il cuore vostro che sa ammalarsi di questi mali! - io mi sento irrevocabilmente sano, fasciato di analisi e di malinconia. Addio, mia buona, buona e cara Amalia, io fuggo un’altra volta da Voi: e non so perché rido a questo pensiero! Vallini dubita di noi molto poco: forse un po’ più di una pura benevolenza: ma poco, vi dico. Rievocatelo sovente, in mio ricordo. È un caro ragazzo. E vi piacerà. Ha la faccia dura, ma guardategli la bocca, mentre parla, e il collo che è forte e bello, e vi piacerà.
Addio.
GUIDO

P.S. "Le Seduzioni" non furono lette da nessuno, sulla mia parola d’onore. Il verso che vi hanno riferito fu da me detto trasognatamente una sera: e se colpì e piacque non è colpa mia. Le riavrete domani: oggi voglio rileggerle.


(Guido Gozzano, Lettera ad Amalia Guglielminetti)

martedì 23 febbraio 2016

Amico mio, che v’è rimasto dentro il cuore di me?

- Mercoledì sera, 11 marzo 1908

Mio caro Guido,
(...) Non so perché ma in questi giorni speravo di ricevere da Voi un segno di vita; il vostro silenzio mi pesa e mi turba un poco. Che pensate di me? Tanto male? Non leggete più "le Seduzioni"; mandatemele invece con qualche comento, ditemi le pagine che preferite e ciò che vi piace meno. Ma presto, presto perché sono così impaziente e desiderosa di un vostro scritto. Temo pure che quel mio biglietto fulmineo di sabato sera sia stato intempestivo o inopportuno. Ma aveva un tale timore che qualche imprudenza ci tradisse che ho scritto senza quasi riflettervi. Amico mio, che v’è rimasto dentro il cuore di me? Assai più mi curo di Voi che degli altri, sapete? Temo assai meno un sospetto altrui che un cattivo pensiero vostro. Ieri - ve lo dico in grande confidenza perché tutti e specialmente Voi lo dovete ignorare - vi fu Vallini a casa mia. Mi impose innanzi tutto il segreto su la sua visita, e fu, a tratti, mordace, ironico, di una ironia malevola anche. Sento che in fondo non mi è amico. M’è sembrato anche poco sincero, benché accusasse me di posare continuamente. Ditemi francamente: Credete che egli sospetti male di noi? Ve ne ha fatto cenno? Tre giorni fa alla "Cultura" Vugliano si lagnò con me perché non gli do in lettura il mio poemetto, - mentre - egli disse - lo diedi già a molti altri. Anzi - mi soggiunse - questi dicono che sia un "afrodisiaco". Pensate come rimasi, benché la crudezza di termini nota in Vugliano, mitigasse un poco lo strano comento. Non so a chi attribuire un simile giudizio essendo Voi il solo, dopo Mantovani che è via di Torino e Ada Negri che è a Milano, che ne possa discorrere con conoscenza. Ma lasciamo queste piccole cose grigie, caro, caro Guido. Se mi foste vicino le avrei già dimenticate per dirvi solo, tacendo, che vi voglio molto bene. Mi balenano a tratti nella memoria certi atteggiamenti nostri di quel giorno che è già tanto lontano oramai, tanto sperduto in un vapore molle di sogno. È vero, Guido, che noi l’abbiamo vissuto? Venite a dirmelo, Guido, venite un’ora sola! Ma no, a che vale risuscitare un inganno? Non tornate più, pensatemi solo intensamente e scrivetemi, come mi pensate. L’amicizia sarebbe stata forse tanto più dolce fra noi; ma abbiamo noi avuto sin dall’inizio, un momento solo di pura amicizia? Io non lo credo, e Voi? Vi mando attraverso lo spazio il saluto che vi diedi in treno attraverso il velo. Lo ricordate?


(Amalia Guglielminetti, Lettera a Guido Gozzano)

Nicandra


lunedì 22 febbraio 2016

Ofelia

In quel ruscello dove un salice sghembo specchia le sue brinate foglie nella corrente vitrea; là ella intrecciava fantastiche ghirlande di ranuncoli, d'ortiche, di margherite, e di quelle lunghe orchidee purpuree alle quali i franchi pastori dànno un nome più volgare, ma che le nostre fredde vergini chiamano dita di morte; e lassù, mentre s'arrampicava per appendere i suoi diademi d'erba alle pendule fronde dell'albero  un invidioso ramo si ruppe, e quei trofei ed ella stessa caddero nel ruscello. Le sue vesti si gonfiarono intorno e la sostennero  per qualche tempo come una sirena,  mentre ella intonava spunti di vecchie canzoni, quasi fosse inconscia della propria sventura,  o come una figlia dell'acqua, familiare a quell'elemento. Ma per poco, poiché le sue vesti, pesanti per l'acque assorbita, trascinarono l'infelice dal suo melodioso canto a una fangosa morte.


(William Shakespeare; "Amleto")

domenica 21 febbraio 2016

...perché nessuno legge per imparare ma per dimenticare

Che piacere avere sottomano un mistico tedesco, un poeta indù o un moralista francese, a uso dell'esilio quotidiano! Leggere giorno e notte, divorare tomi su tomi, questi sonniferi, perché nessuno legge per imparare ma per dimenticare...


(Emil Cioran)

Espiamo in una sola vita il divenire infinito

Devo aver vissuto altre vite. Altrimenti, perché tanto spavento? Le esistenze anteriori sono l'unica giustificazione del terrore. Solo gli orientali hanno capito qualcosa dell'anima. Ci hanno preceduto, e ci sopravviveranno. Perché, noi moderni, abbiamo abolito le nostre peregrinazioni? Espiamo in una sola vita il divenire infinito.


(Emil Cioran)

A che mi guardi fanciulla con gli occhi pieni di luce

I

A che mi guardi fanciulla con gli occhi pieni di luce,
con gli occhi azzurri profondi ed al volto ti sale una fiamma?
Non ha sole la mia giovinezza, non conta gli anni il mio core
l'anima mia dolorosa non sa le primavere.
Fanciulla perché ti soffermi? perché t'avvicini al mio core?
perché o fanciulla l'avvolgi nel fuoco tuo giovanile?
Fanciulla è freddo il mio core, è freddo il mio core e lontano,
non sente l'alito ardente della tua giovane vita.

II

Quando pei blandi tramonti, per gli ampi meriggi infocati
sui pallidi volti sussurra amor violente lusinghe,
e quando maggio riarde il petto all'uomo che vive
il core mio tace o fanciulla. -
E quando pel fosco piano cui plumbeo il cielo incombe
divampa la fiamma ribelle sospinta dal vento dell'odio
dell'odio doloroso delle moltitudini vinte
ed arde ogni giovane core e piange nell'aria fumosa
lo spasimo disperato, e suona l'urlo più alto
quando frementi si tendono gli archi di tutte le vite
esso tace o fanciulla.
E quando la mamma mi trae dalle aride ciglia una stilla
e quando la morte mi tocca, mi stringe il core convulso
e caldo m'ottenebra gli occhi il sangue di quanti ho amato
esso tace ancora o fanciulla.
E quando m'irride la folla e quando m'innalza la lode
e quando sfacciata mi sento la forza dei giovani anni
il cor mio tace o fanciulla un superbo infinito silenzio.


(Carlo Michelstaedter)

Ma, perché vi scrivo tutto questo?

Quanto vi sono grata della passeggiata di ieri sull'isola, Makar Aleksjejevic; che frescura, che bellezza, che verde! Da tanto non vedevo un po' di verde: quand'ero malata mi sembrava sempre che avrei dovuto morire e che, senza dubbio, sarei morta; giudicate che cosa ho dovuto provare ieri, che cosa ho dovuto sentire! Non siate in collera con me perché ieri ero molto triste; mi sentivo tanto bene, tanto sollevata, ma anche nei giorni migliori mi sento sempre triste per un che d'indefinito. Che io abbia pianto non significa nulla, né so perché piango di continuo: sento morbosamente, in modo esasperante; le mie impressioni sono morbose. Un cielo senza nubi, pallido, il tramonto del sole, il silenzio della sera: tutto questo; ma neppure io ne son certa; però ieri mi trovavo in uno stato tale da ricevere tutte le impressioni in modo penoso, tormentato, cosicché il cuore mi si è gonfiato, e l'anima sollecitava le lacrime. Ma, perché vi scrivo tutto questo?


(Fëdor Dostoevskij; "Povera gente")

Per questo dico ben venga il silenzio

- S. Giuliano d'Albaro, 15 Gennaio 1908

Mia cara Amica!
Volevo ubbidirvi subito, senza commenti, e ho tentato, vedete, ma questi giorni di silenzio mi sono pesati sull'animo terribilmente. Sento che non posso accettare questo intervallo di morte volontaria, questo esiglio che vi piace imporci, senza dirvi prima una parola d’addio: non sapremmo, al ritorno, stringerci la mano con tutta serenità. Va bene. Si taccia. Se questo credete possa giovare alla pace della vostra anima. Alla mia è quasi indifferente. Quando mi distendo sulla spiaggia, seguendo il gioco del risucchio o le vele all'ultimo orizzonte o le prime stelle che si accendono col Faro, sento che comunico con Voi più assai che accingendomi a comporre le cose dette parole con le cose dette carta e inchiostro... Per questo dico ben venga il silenzio. Anzi, è forse questo: la scontentezza del mezzo d’espressione che traspare fra linea e linea, nelle mie lettere, e che a Voi fa male. Si taccia, dunque. Perché volete ch'io vi renda il sonetto? Ubbidirò se replicherete la domanda. Ma sarebbe inutile oramai: potrei rendervi la carta di visita: ma i versi restano: li so a memoria...

"Io credo che si muore
talvolta, e come e quanto niuno lo sa..."

Addio, o meglio arrivederci. E sempre quando vorrete. Io porto di Voi un’immagine dolce e immutabile, fresca alla mia stanchezza come alla stanchezza del pellegrino il ricordo di una sosta estiva in un giardino ombroso... Ho incastonata la vostra piccola effige (l’altra, grande, non è esposta) nella cornice dello specchio. Pochi istanti fa ho cancellata con uno spillo la vostra mano sinistra fatta mostruosa dalla prospettiva fotografica. Ho preferito mutilarvi. Non vi doleva la mano sinistra, pochi istanti fa? (Sono le 15,20 di Mercoledì).
Vi voglio molto bene, Amalia!
Addio! GUIDO


(Guido Gozzano, Lettera ad Amalia Guglielminetti)

sabato 13 febbraio 2016

L'utilità del vuoto

Trenta raggi si uniscono in un mozzo, ma la loro utilità per il carro è là dove essi non sono. Quando la ruota del vasaio fabbrica un vaso, l'utilità del vaso è precisamente là dove non c'è nulla. Per costruire una stanza devi aprire porte e finestre; senza quei vuoti, essa non sarebbe abitabile. Dunque l'essere costituisce ciò che è benefico, il non-essere costituisce ciò che è essenziale.


(Lao-tzu)

L'interiorità e l'acqua

(...) La luce spirituale nasce dall'interiorità. Quando gli uomini si raccolgono nell'interiorità, allora i loro organi interni sono calmi, i loro pensieri sono tranquilli, i loro occhi e le loro orecchie sono chiari, ed ossa e tendini sono forti. Sono autorevoli ma non polemici, sono fermi e forti ma mai stanchi. Non sono eccessivi in nessuna cosa, né sono inadeguati. Al mondo niente è più cedevole dell'acqua. La via dell'acqua è infinitamente ampia e incalcolabilmente profonda; si estende indefinitamente e fluisce senza limiti. Aumenta e diminuisce senza possibilità di misurarla. Su in cielo, diventa pioggia e rugiada; giù in terra, diventa umidità e bagnato. Gli esseri non possono vivere senza di lei, nessuna opera può essere compiuta senza di lei. Abbraccia tutta la vita senza preferenze. La sua umidità raggiunge anche gli esseri sotterranei, e non cerca ricompense. Arricchisce il mondo intero senza mai esaurirsi. Le sue virtù sono dispensate ai contadini senza mai inaridirsi. Non si può trovare nessun limite alla sua azione. La sua natura sottile non può essere afferrata. Colpiscila e non la danneggerai, forala e non la ferirai, tagliala e non la squarcerai, bruciala e non sarà fumo. Cedevole e fluida, non può essere distrutta. Riesce a penetrare anche nel metallo e nella pietra, è così forte da sommergere il mondo intero. Se è in eccesso o manca, fa si che il mondo prenda o dia. Si concede a tutti gli esseri senza ordine di preferenza; né privata né pubblica, è presente in cielo e in terra. Essa è definita suprema virtù. Il motivo per cui l' acqua impersona la suprema virtù è che essa è cedevole e morbida. Quindi io dico che le cose più morbide nel mondo dominano le cose più dure; il non-essere non ha lacune.


(Lao-tzu)

giovedì 11 febbraio 2016

La mia vita è qui, monotona e serena...

- S. Giuliano d’Albaro, 6 gennaio 1908

 Come va, come va, mia cara Amalia?
Per me, da qualche giorno, un po’ meno bene. Ho avuta una fase di nevralgia dolorosissima e mi sono un po’ intontito con la fenacetina e col chinino... Ma passerà! Il cielo e il mare sono così stupendamente propizi. Vi scrivo, come sempre, a finestra spalancata e ogni volta che alzo gli occhi dalla penna, vedo nel rettangolo azzurro qualche nave diretta chi sa dove! E il mio pensiero vanisce un po’, seguo con gli occhi un gabbiano candido che si dilegua ad ali tese: mi dileguo anch’io, mi perdo... Poi rivedo il foglio, la vostra immagine mi riappare quasi con doloroso rimprovero: come si dimentica presto! Vi sto dimenticando Amalia! Vi sto dimenticando (mi spiego) fisicamente. È uno strazio curioso, che dà il senso giusto della nostra grande miseria cerebrale: non riesco più, per quanto io tenti, a ricordare certi piccoli particolari del vostro volto, delle vostre mani... L’ovale del volto vanisce a poco a poco, la tinta giusta dei capelli si altera, si deforma l’arco dei sopraccigli: ricordo poco il vostro mento e quasi più affatto il vostro orecchio (che pure dev’essere bello se un giorno l’elogiai). E in tanto incipiente sfacelo gli occhi e la bocca restano vivi e superstiti, troppo impressi nella mia retina e sulle mie labbra, per poterli dimenticare... Ma in questo lento dileguare la vostra immagine spirituale (nell’ultima vostra me ne chiedete) si definisce meglio, balza al mio spirito con linee precise: vi voglio un gran bene, mia cara Amalia! (...) Ah! La letteratura! Che laida cosa, con questo mare dinnanzi! Ogni giorno salgo su fino alla Casa di Cure nervose, e faccio tutto il tratto di spiaggia, con il monte da una parte e il mare sottostante: è un incanto! Salgo su fra gli ulivi e gli eucalipti ed entro nella Casa della Follia... Dà uno strano senso! È una villa elegante che si direbbe sede della Gioia e racchiude invece le più spaventevoli miserie umane. Faccio quotidianamente una violenta cura idroterapica, sottoponendo le mie non molte carni ad un massaggio spaventoso. E mi fa un gran bene. Esco di là, rinato a tutte le speranze. Poi attendo, tutti i giorni, alle iniezioni, alle inalazioni e davvero mi merito di guarire definitivamente! (...) Sapete che vado a cavallo? Già! Una magnifica bestia lasciatami in custodia da un amico genovese, assente per molto, e che mi pregò di esercitarla... Passo delle ore deliziose! E nient’altro, Amalia cara; la mia vita è qui, monotona e serena: quest’oggi come ieri, domani come oggi...
Addio! GUIDO


(Guido Gozzano, Lettera ad Amalia Guglielminetti)

Venus disrobing for the bath


domenica 7 febbraio 2016

Leggo molto, in questi giorni

Leggo molto, in questi giorni; quanta bella roba fu scritta in passato, amica mia, e quanto sono ignorante! 


(Guido Gozzano, dicembre 1907)

...e non voglio, capite, non voglio il vostro compianto

Domenica sera, 29 dicembre 1907

Mio buon Amico, vi mando una pagina diretta a Voi da Mantovani dal quale rimasi fino a poco fa (...) Gli avevo portato i "Colloqui" che gli piacquero molto specialmente nella prima parte e perdonatemi l’indiscrezione - quei versi ultimi della "cocotte" che trascrissi su un foglietto. (...) Che bella e originale cosa, mio caro Guido! Avrei voluto dirvi subito quanto mi piacesse ma c'era ancora in me troppa amarezza per poter scrivere una lettera serena. E Voi mi avevate detto: "Non parlatemi della vostra anima triste, se potete". Non potevo e preferii ancora tacere. Quella vostra lettera a matita m'ha ricordato una frase di Madame de Sevigné "Ecrire au crayon c’est comme parler à demi-voice (sic)". Ma in essa Voi non parlavate a mezza voce. La vostra voce anzi era alta, un poco imperiosa, quasi cercava di soverchiare, di soffocare la mia. M’ha accorata molto, molto. V’ho scritto sopra qualche terzina non bella che finiva con quei tre versi e mezzo che devo avervi mandato. Ma è sopraggiunta l’altra, la consolatrice, di cui vi ringrazio come di un dono e che mi ha un poco rasserenata. Non vi parlerò della mia anima, Guido, ma se fra le righe qualche ombra della sua ombra vi trasparisse, perdonatemi, sarà stato mio malgrado. Leggerei con moltissimo interesse la poesia che Ada Negri v’ha dedicata. Non potreste mandarmela? Vi piacque il sonetto che scrisse per me? (...) Vallini non s’è offeso della mia critica, anzi ha scelto - o meglio la scelta fu fatta dal Caso - per ringraziarmene la mezzanotte di Natale e la Chiesa di Santa Teresa dove c’incontrammo alla Messa d’Osanna. Credo anzi che vi avesse accompagnato vostra Madre, ma per una scortese distrazione non la vidi e non la salutai. Fatele, se potete, le mie più vive scuse e cercate di dissipare l’impressione cattiva che può essergliene rimasta. La chiesa piena di gente era volgarissima, la musica pessima, i cantori rauchi, io mi rifugiavo in un pensiero lontano, vi cercavo in quell'ora insolita per luoghi ignoti, fra ignoti, senza riuscire a trovarvi. L’animo vostro è venuto a distrarmi, e abbiamo detto molte cose vaghe e sciocche senza capirci bene l’un l’altro per il frastuono dell’organo. Non abbiamo pronunziato il vostro nome ma vi sentivamo presente: non so perché, ma sono certa che anche Vallini vi pensava, ma non so quale ritrosia allontanava il vostro nome dalle nostre labbra. E Voi chi sa che facevate in quell'ora, o tanto sereno Amico! Io vorrei ora sapere una cosa da Voi. Vorrei vedere me stessa chiaramente nel vostro intimo, conoscere con certezza quale imagine nuova s’è foggiato di me il vostro pensiero, sapere quello che io sono in questo momento per Voi. Io temo di non apparirvi che come una creatura degna di pietà, di compassione, e non voglio, capite, non voglio il vostro compianto. Ditemi quanto più potete sinceramente ciò che pensate di me e di tutto quello che sapete di me. Io credo che vi stanca questo "avido cuore", questo cuore che ha dato sempre tanto ed ha ricevuto sempre tanto poco... Perdonatemi, Guido, dimenticavo la mia promessa. Mi è così difficile mantenerla... Vi dirò dell’incisione in rame, la quale è quasi finita, ma per amore di tragicità mi fa un volto scarnito che accentua la sua aria fatale nell'ombra del cappello piumato dove s'allargano gli occhi dolentemente. Devo bene avere quell'espressione in qualche momento, ma non la linea smunta del viso. Ora il pittore s’è impossessato (artisticamente s’intende) o si crede in possesso dell’anima del modello e vuol tentare un capolavoro col mio ritratto ad olio, grande al vero. Sebbene - ve lo dico piano - io dubito molto del suo sogno, ho già posato ieri la prima volta in un abito a lungo strascico grigio perla, viola pallido e oro, scollato a rettangolo lungo e stretto che mi dà un’aria fra ieratica e maestosa d’imperatrice bizantina. Lo esporrà, credo, in aprile alla quadriennale. Le sedute per fortuna non saranno molte perché s’aiuterà col "maniquin" (?) e con fotografie. (...) Addio, caro Amico, mandatemi un ritratto vostro e qualche vostro pensiero presto, presto. Vi ringrazio d’aver cercato e trovato qualche dolcezza per me che ne avevo una sete crudele. "La menzogna è così cara talvolta..." ho scritto dei versi che incominciano con questo. Ma non mentitemi più, è meglio.
Addio, mi siete vicino e lontano.
A.


(Amalia Guglielminetti, Lettera a Guido Gozzano)

giovedì 4 febbraio 2016

La signora dei baci

Una signora voleva tanto dargli dei baci
non dico tanti, anche solo sette otto
(mila). Invece era proibito perciò non glieli dava.
Se però non fosse stato proibito glieli avrebbe dati tutti
dal primo all'ultimo.
A cosa servono i baci se non si danno?


(Vivian Lamarque)

Anna

Anna entrò giocherellando con le nappe del suo cappuccio. Aveva il capo basso, ma il viso raggiante di una luce che non era di gioia ma somigliava al cupo rosseggiare di un incendio in una notte tenebrosa.


(Lev Tolstoj; "Anna Karenina")

mercoledì 3 febbraio 2016

...se fosse debolezza, o una sfida alla mia angoscia, non so

Questa notte avevo subito una grossa umiliazione: di quelle che ci colgono in mezzo alla gente senza che la gente se ne accorga. Continuammo a sorridere,  io e i miei interlocutori, come se nulla fosse avvenuto, e per loro infatti nulla era avvenuto: semplicemente era stata detta una parola che per tutti, me compreso, era uno scherzo. Ma un attimo dopo respiravo a fatica e me ne stavo aggobbito nel mio angolo, stordito e assorto come uno smemorato. Fortuna che nessuno mi badò e tutti pensavano a parlare e farsi ascoltare. Riuscii anzi poco dopo a interloquire anch'io: cercai di riportare il discorso alla frase di prima; se fosse debolezza, o una sfida alla mia angoscia, non so. Quando tutti se ne furono andati, io che pure mi mostravo assonnato e cascante, accompagnai verso casa l'amico P. L'amico taceva di buon umore e, visto che non parlavo, mi sbirciava incuriosito. Io mi chiedevo perché mi fossi messo con lui; e anelavo la solitudine del ritorno per abbandonarmi all'avvilimento e toccarne il fondo. C'era qualcosa di non detto tra noi, e la cautela dell'amico inconsapevole aggiungeva disagio alla mia disperazione. Perché quella notte ero davvero disperato. (...) Era notte di giugno, e l'oscurità palpitava. Io misuravo la mia angoscia a tanta dolcezza, e scavavo scavavo a ogni passo nel mio dolore come se tutta la tenebra ne fosse intrisa e bastasse avanzare per sentirsene addosso il peso sempre più intollerabile. M'accorsi a un tratto - e mi fermai - che mi era caduta di mente l'innocua parola da cui tutto era cominciato.


(Cesare Pavese)