martedì 23 giugno 2015

Ce ne sono altri?

Se leggo un libro che mi gela tutta, così che nessun fuoco possa scaldarmi, so che è poesia. Se mi sento fisicamente come se mi scoperchiassero la testa, so che quella è poesia. È l'unico modo che ho di conoscerla. Ce ne sono altri?


(Emily Dickinson)

Esempi

Anima, sii come il pino:
che tutto l'inverno distende
nella bianca aria vuota
le sue braccia fiorenti
e non cede, non cede,
nemmeno se il vento,
recandogli da tutti i boschi
il suono di tutte le foglie cadute,
gli sussurra parole d'abbandono;
nemmeno se la neve,
gravandolo con tutto il peso
del suo freddo candore,
immolla le fronde e le trae
violentemente
verso il nero suolo.

Anima, sii come il pino:
e poi arriverà la primavera
e tu la sentirai venire da lontano,
col gemito di tutti i rami nudi
che soffriranno, per rinverdire.
Ma nei tuoi rami vivi
la divina primavera avrà la voce
di tutti i più canori uccelli
ed ai tuoi piedi fiorirà di primule
e di giacinti azzurri
la zolla a cui t'aggrappi
nei giorni della pace
come nei giorni del pianto.

Anima, sii come la montagna:
che quando tutta la valle
è un grande lago di viola
e i tocchi delle campane vi affiorano
come bianche ninfee di suono,
lei sola, in alto, si tende
ad un muto colloquio col sole.
La fascia l'ombra
sempre più da presso
e pare, intorno alla nivea fronte,
una capigliatura greve
che la rovesci,
che la trattenga
dal balzare aerea
verso il suo amore.

Ma l'amore del sole
appassionatamente la cinge
d'uno splendore supremo,
appassionatamente bacia
con i suoi raggi le nubi
che salgono da lei.
Salgono libere, lente
svincolate dall'ombra,
sovrane
al di là d'ogni tenebra,
come pensieri dell'anima eterna
verso l'eterna luce.


(Antonia Pozzi)

domenica 21 giugno 2015

L'immagine che egli osservava più spesso

L'immagine che egli osservava più spesso era racchiusa nella cornice dello specchio appeso alla stessa parete. Non c'era nulla che studiasse con più cura del proprio volto, nulla che lo tormentasse di più e in nulla (anche se ciò gli costava uno sforzo accanito) riponeva maggior fiducia.


(Milan Kundera)

Il mondo interiore

Il mondo interiore! Erano parole altisonanti, e Jaromil le ascoltò con immensa soddisfazione. Non aveva mai dimenticato che già a cinque anni veniva considerato un bambino eccezionale, diverso dagli altri; anche il comportamento dei suoi compagni di scuola, che lo prendevano in giro per la cartella o per la camicia, gli avevano sempre confermato (seppure amaramente) la sua eccezionalità. Ma fino ad ora quell'eccezionalità per lui non era stata altro che una nozione vuota e incerta; era stata una speranza incomprensibile o un incomprensibile rifiuto; adesso invece aveva ricevuto un nome: un originale mondo interiore... Jaromil sapeva di essere arrivato a quella ammirevole scoperta [...] per puro caso, questo gli suggerì l'idea confusa che l'originalità del suo mondo interiore non fosse il risultato di uno sforzo laborioso, ma che consistesse in tutto ciò che passava casualmente e involontariamente nella sua testa; che gli fosse data come un dono. Da quel momento seguì con molta più attenzione le proprie idee e cominciò ad ammirarle. [...] Camminava lungo la riva del fiume, ogni tanto chiudeva gli occhi e si chiedeva se il fiume esisteva anche quando lui aveva gli occhi chiusi. La cosa gli parve oltremodo interessante, consacrò almeno una mezza giornata a osservazioni del genere...


(Milan Kundera)

giovedì 18 giugno 2015

Se voi mi domandate perchè

Se voi mi domandate perchè un poeta scrive,
in che modo si è deciso a scrivere,
se voi ricordate quel ragazzo seduto
nella sua stanza diroccata,
comprenderete perchè
la poesia appartenga agli uomini che non si difendono,
che passano nella vita,
lungo tutta la vita,
senza appropriarsene,
amandola anche per gli altri
che credono di averla spesa
o di poterla spendere
senza nemmeno mai riuscire a destarla.


(Alfonso Gatto)

William-Adolphe Bouguereau in studio painting Two Sisters


mercoledì 17 giugno 2015

Il senso della poesia

Il senso della poesia non sta nell'abbagliarci con un'idea sorprendente, ma nel rendere un istante dell'essere indimenticabile e degno di un'insostenibile nostalgia.


(Milan Kundera; "L'immortalità")

I limoni

Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.
Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall'azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell'aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest'odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l'odore dei limoni.

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s'abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l'anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d'intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno più languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.
Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta
il tedio dell'inverno sulle case,
la luce si fa avara - amara l'anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d'oro della solarità.


(Eugenio Montale)

D'improvviso e per sempre

Ho seriamente pensato alla morte, a causa delle mie mediocri facoltà naturali. Le doti straordinarie di mio fratello mi obbligavano a rendermene conto. Non invidiavo i suoi successi esteriori, ma il non poter sperare di entrare in quel regno trascendente dove entrano solamente gli uomini di autentico valore, e dove abita la verità. Preferivo morire piuttosto che vivere senza di essa. Dopo mesi di tenebre interiori, ebbi d'improvviso e per sempre la certezza che qualsiasi essere umano, anche se le sue facoltà naturali sono pressoché nulle, penetra in questo regno della verità riservato al genio, purché desideri la verità e faccia un continuo sforzo d'attenzione per raggiungerla.


(Simone Weil)

domenica 14 giugno 2015

Eccomi rassicurato

Ho sempre avuto paura di finire liberato-in-vita, di contrariare i miei abissi, di trionfare sulle mie tare.

Tale paura era infondata. Eccomi rassicurato.


(Emil Cioran)

Il sentimento del nulla

Per viltà sostituiamo al sentimento del nostro nulla il sentimento del nulla. Il fatto è che il nulla generale ci inquieta appena: vi scorgiamo troppo spesso una promessa, un'assenza rapsodica, un ostacolo che cade. A lungo mi sono ostinato a cercare qualcuno che sapesse tutto di sé e sugli altri, un saggio-demone, divinamente chiaroveggente. Ogni volta che credevo di averlo trovato, dovevo, dopo averlo valutato, ricredermi: il nuovo eletto aveva ancora qualche macchia, qualche punto oscuro, non so quale recesso di inconsapevolezza o di debolezza che lo riconduceva al livello degli umani. Scorgevo in lui delle tracce di desiderio e di speranza o un'ombra di rimpianto. Evidentemente il suo cinismo era incompleto. Che delusione! E proseguivo sempre la ricerca, e sempre i miei idoli peccavano in qualche punto: "l'uomo" era presente in loro, nascosto, mimetizzato o eluso. Compresi infine il dispotismo della Specie, e cessai di vagheggiare un non-uomo, un mostro che fosse totalmente penetrato del suo nulla. Era follia il suo concepirlo: non poteva esistere, la lucidità assoluta essendo incompatibile con la realtà degli organi.


(Emil Cioran)

lunedì 8 giugno 2015

Innocenza

Sotto tanto sole
nella barca ristretta
il brivido
di sentire contro le mie ginocchia
la nudità pura d'un fanciullo
e l'ebbro strazio di covare nel sangue
quello ch'egli non sa.


(Antonia Pozzi)

venerdì 5 giugno 2015

I fiori

Non c'è nessuno,
non c'è nessuno che vende
i fiori
per questa strada maledetta?
E questo mare nero
e questo cielo livido
e questo vento avverso -
oh, le camelie di ieri
le camelie di ieri
le camelie bianche rosse ridenti
nel chiostro d'oro -
oh, l'illusione primaverile!
Chi mi vende oggi un fiore?
Io ne ho tanti nel cuore:
ma serrati
in grevi mazzi -
ma calpesti -
ma uccisi.
Tanti ne ho che l'anima
soffoca e quasi muore
sotto l'enorme cumulo
inofferto.
Ma in fondo al nero mare
è la chiave del cuore -
in fondo al nero cuore
peserà
fino a sera
la mia inutile messe
prigioniera -
O chi mi vende
un fiore - un altro fiore
nato fuori di me
in un vero giardino
che io possa donarlo a chi mi attende?
Non c'è nessuno,
non c'è nessuno che vende
i fiori
per questo tristo cammino?


(Antonia Pozzi)

Abbiamo vagato con la mente nello spazio costellato di pianeti

Sono appena tornata dalla casa dei miei amici. Abbiamo ragionato a lungo intorno a cose grandi, troppo grandi per noi; e abbiamo detto del principio e della fine del mondo, dell'origine della materia; abbiamo vagato con la mente nello spazio costellato di pianeti, abbiamo discusso della vita dell'aldilà. (...) È strana l'impressione che provo io nel pensare alla vastità della terra: spingo più che posso lo sguardo al limite dell'orizzonte... E lo stesso provo pensando all'eternità; "sempre", ripeto a me stessa; "sempre"... "sempre"... Mi scuoto con un brivido: "sempre"! Parola terribile, terribile come "mai"!


(Antonia Pozzi - 7 Febbraio 1926)

Ancient Poetry


Largo

O lasciate lasciate che io sia
una cosa di nessuno
per queste vecchie strade
in cui la sera affonda -

O lasciate ch'io mi perda
ombra nell'ombra -
gli occhi
due coppe alzate
verso l'ultima luce -

E non chiedetemi - non chiedetemi
quello che voglio
e quello che sono
se per me nella folla è il vuoto
e nel vuoto l'arcana folla
dei miei fantasmi -
e non cercate - non cercate
quello ch'io cerco
se l'estremo pallore del cielo
m'illumina la porta di una chiesa
e mi sospinge a entrare -
Non domandatemi se prego
e chi prego
e perché prego -

Io entro soltanto
per avere un po' di tregua
e una panca e il silenzio
in cui parlino le cose sorelle -
Poi ch'io sono una cosa -
una cosa di nessuno
che va per le vecchie vie del suo mondo -
gli occhi
due coppe alzate
verso l'ultima luce -


(Antonia Pozzi)

lunedì 1 giugno 2015

E vivo della poesia come le vene vivono del sangue

(...) Perché non per astratto ragionamento, ma per un’esperienza che brucia attraverso tutta la mia vita, per una adesione innata, irrevocabile, del più profondo essere, io credo, Tullio, alla poesia. E vivo della poesia come le vene vivono del sangue. Io so che cosa vuol dire raccogliere negli occhi tutta l’anima e bere con quelli l’anima delle cose e le povere cose, torturate nel loro gigantesco silenzio, sentire mute sorelle al nostro dolore. Perché per me Dio è e non può essere altro che un Infinito, il quale, per essere perennemente vivo e quindi più Infinito, si concreta incessantemente entro forme determinate che ad ogni attimo si spezzano per l’urgere del fluire divino e ad ogni attimo si riplasmano per esprimere e concretare quella Vita che, inespressa, si annienterebbe. Ora Lei vede che un Dio così non si può né chiamare né pregare né porre lungi da noi per adorarLo; Lo si può soltanto vivere nel profondo, poiché è Lui l’occhio che ci fa vedere, la voce che ci fa cantare, l’amore, ed il dolore che ci fa insonni. E questa nostra vita irrimediabile, questo nostro cammino fatale, in cui ad ogni istante noi realizziamo, noi creiamo, per così dire, Dio nel nostro cuore, altro non può essere che l’attesa del gran giorno in cui l’involucro si spezzerà e la scintilla divina balzerà nuovamente in seno alla grande Fiamma. Ora, di questo Dio che non si lascia staccare dalla vita, dove possiamo avere più immediato il senso che nei momenti in cui più la lotta si acuisce tra lo spirito e le forme che inceppano il suo fluire? E non è la poesia uno di questi momenti? L’estasiata gioia del sogno non si sconta forse nel bisogno e nella fatica di gettare quel sogno in parole? E un po’ dell’assolutezza divina non riluce forse nell’atto di quella fatica? Io credo che il nostro compito, mentre attendiamo di tornare a Dio, sia proprio questo: di scoprire quanto più possiamo Dio in questa vita, di crearLo, di farLo balzare lucendo dall’urto delle nostre anime con le cose (poesia e dolore), dal contatto delle nostre anime fra di loro (carità e fraternità). Per questo, Tullio, a me è sacra la poesia; per questo mi sono sacre le rinunce che mi hanno tolto tanta parte della giovinezza, per questo mi sono sacre le anime ch’io sento, di là dalla veste terrena, in comunione con la mia anima. (...)


(Antonia Pozzi; Lettera a Tullio Gadenz - Milano, 29 gennaio 1933)