mercoledì 24 luglio 2019

Perciò chiedo ai miei pazienti di trascrivere i loro sogni

Infine, il paziente e io ci rivolgiamo all'uomo di due milioni di anni che si cela in ciascuno di noi. In ultima analisi, la maggior parte delle nostre difficoltà deriva dall'aver perduto il contatto con i nostri istinti, con l'antichissima ma non dimenticata saggezza che conserviamo dentro di noi. Ma dove possiamo entrare in contatto con l'antico uomo che è in noi? Nei sogni. I sogni sono chiare manifestazioni dell'inconscio. Rappresentano il punto d'incontro della storia della razza e dei nostri attuali problemi esterni. Nel sonno noi consultiamo l'uomo di due milioni di anni di cui ciascuno di noi è il portavoce. Con lui ci scontriamo anche in altre espressioni della fantasia. Perciò chiedo ai miei pazienti di trascrivere i loro sogni. E di solito i sogni indicano al paziente qual è la sua strada come individuo.
 
 
(Carl Gustav Jung; "Jung parla - interviste e incontri")

Sibylla Palmifera


...vorrei esser soltanto come tutti gli altri, nulla di più

- Monte Ilice, 3 Settembre 1854
 
Mia cara Marianna.
Avevo promesso di scriverti ed ecco come tengo la mia promessa! In venti giorni che son qui, a correr pei campi, sola! tutta sola! intendi? dallo spuntar del sole insino a sera, a sedermi sull'erba sotto questi immensi castagni, ad ascoltare il canto degli uccelletti che sono allegri, saltellano come me e ringraziano il buon Dio, non ho trovato un minuto, un piccolo minuto, per dirti che ti voglio bene cento volte dippiù adesso che son lontana da te e che non ti ho più accanto ad ogni ora del giorno come laggiù, al convento. Quanto sarei felice se tu fossi qui, con me, a raccogliere i fiorellini, ad inseguire le farfalle, a fantasticare all'ombra di questi alberi, allorché il sole è più cocente, a passeggiare abbracciate in queste belle sere, al lume di luna, senz'altro rumore che il ronzìo degli insetti, che mi sembra melodioso perché mi dice che sono in campagna, in piena aria libera, e il canto di quell'uccello malinconico di cui non so il nome, ma che mi fa venire agli occhi lagrime dolcissime quando la sera sto ad ascoltarlo dalla mia finestra.
(…) Tutto qui è bello, l'aria, la luce, il cielo, gli alberi, i monti, le valli, il mare! Allorché ringrazio il Signore di tutte queste belle cose, io lo faccio con una parola, con una lagrima, con uno sguardo, sola in mezzo ai campi, inginocchiata sul musco dei boschi o seduta sull'erba. Ma mi pare che il buon Dio debba esserne più contento perché lo ringrazio con tutta l'anima, e il mio pensiero non è imprigionato sotto le oscure volte del coro, ma si stende per le ombre maestose di questi boschi, e per tutta l'immensità di questo cielo e di quest'orizzonte.
(…) Adesso sono allegra, felice, e mi stupisco come tutta quella gente abbia paura e maledica il coléra… Benedetto coléra che mi fa star qui, in campagna! Se durasse tutto l'anno! No, io ho torto! Perdonami, Marianna. Chi sa quanta povera gente piange mentre io rido e mi diverto!... Mio Dio! bisogna che io sia ben disgraziata se non devo esser felice che allorquando tutti gli altri soffrono! Non mi dire che son cattiva; vorrei esser soltanto come tutti gli altri, nulla di più, e godere coteste benedizioni che il Signore ha date a tutti: l'aria, la luce, la libertà!...
 
 
(Giovanni Verga; "Storia di una capinera")

lunedì 22 luglio 2019

...identità e unione pervadente l'universo

(…) Ferecide diceva che Zeus, quando stava per creare, si era trasformato in Eros, appunto perché, foggiando il mondo dai contrari, lo condusse alla concordia e all'amicizia, e in tutte le cose seminò identità e unione pervadente l'universo.
 
 
(Proclo; "Commento al Timeo di Platone")

Avevo visto una povera capinera chiusa in gabbia

Avevo visto una povera capinera chiusa in gabbia: era timida, triste, malaticcia ci guardava con occhio spaventato; si rifuggiva in un angolo della sua gabbia, e allorché udiva il canto allegro degli altri uccelletti che cinguettavano sul verde del prato o nell'azzurro del cielo, li seguiva con uno sguardo che avrebbe potuto dirsi pieno di lagrime. Ma non osava ribellarsi, non osava tentare di rompere il fil di ferro che la teneva carcerata, la povera prigioniera. Eppure i suoi custodi, le volevano bene, cari bambini che si trastullavano col suo dolore e le pagavano la sua malinconia con miche di pane e con parole gentili. La povera capinera cercava rassegnarsi, la meschinella; non era cattiva; non voleva rimproverarli neanche col suo dolore, poiché tentava di beccare tristamente quel miglio e quelle miche di pane; ma non poteva inghiottirle. Dopo due giorni chinò la testa sotto l'ala e l'indomani fu trovata stecchita nella sua prigione. Era morta, povera capinera! Eppure il suo scodellino era pieno. Era morta perché in quel corpicino c'era qualche cosa che non si nutriva soltanto di miglio, e che soffriva qualche cosa oltre la fame e la sete. Allorché la madre dei due bimbi, innocenti e spietati carnefici del povero uccelletto, mi narrò la storia di un'infelice di cui le mura del chiostro avevano imprigionato il corpo, e la superstizione e l'amore avevano torturato lo spirito: una di quelle intime storie, che passano inosservate tutti i giorni, storia di un cuore tenero, timido, che aveva amato e pianto e pregato senza osare di far scorgere le sue lagrime o di far sentire la sua preghiera, che infine si era chiuso nel suo dolore ed era morto; io pensai alla povera capinera che guardava il cielo attraverso le gretole della sua prigione, che non cantava, che beccava tristamente il suo miglio, che aveva piegato la testolina sotto l'ala ed era morta.

Ecco perché l'ho intitolata: Storia di una capinera.
 
 
(Giovanni Verga; "Storia di una capinera")

giovedì 18 luglio 2019

...e il momento presente è pari all'eterno

In diverse occasioni il dottor Jung parlò di fenomeni parapsicologici. Disse che secondo lui i dati osservati si potevano spiegare solo con l'ipotesi che il tempo sia un fenomeno psichico, cioè un condizionamento della psiche o della coscienza. Una volta che ci si riesca a porre al di fuori di questo condizionamento dell'Io, il tempo diventa del tutto relativo e il momento presente è pari all'eterno.
 
 
(Esther Harding; "Jung parla - interviste e incontri")

...miele di rose, il più adorato, il più prezioso!

Dunque, pare che alle anime viventi possano toccare due sorti: c'è chi nasce ape, e chi nasce rosa. Che fa lo sciame delle api, con la sua regina? Va, e ruba a tutte le rose un poco di miele, per portarselo nell'arnia, nelle sue stanzette. E la rosa? La rosa l'ha in se stessa il proprio miele: miele di rose, il più adorato, il più prezioso! La cosa più dolce che innamora essa l'ha già in se stessa: non le serve cercarla altrove. Ma qualche volta sospirano di solitudine, le rose, questi esseri divini! Le rose ignoranti non capiscono i propri misteri. La prima di tutte le rose è Dio. Fra le due: la rosa e l'ape, secondo me, la più fortunata è l'ape. E l'Ape Regina, poi, ha una fortuna sovrana! Io, per esempio, sono nato Ape Regina. E tu Wilhelm? Secondo me tu, Wilhelm mio, sei nato col destino più dolce e col destino più amaro: tu sei l'ape e sei la rosa.
 
 
(Elsa Morante; "L'isola di Arturo")