mercoledì 1 ottobre 2025

Su questa terra

Su questa terra c'è ciò che merita la vita:
il ricorrere di aprile,
l'aroma del pane fresco all'alba,
le opinioni di una donna sugli uomini,
gli scritti di Eschilo,
il primo amore, l'erba su una pietra,
madri in piedi sulle note di un flauto,
e la paura dal ricordo degli invasori.

Su questa terra c'è ciò che merita la vita:
la fine di settembre,
una donna che saluta la quarantina con tutte le sue bellezze,
l'ora d'aria in prigione,
delle nuvole che imitano uno stormo di creature,
gli applausi di un popolo
per chi ascende alla morte sorridendo,
e la paura degli oppressori per le canzoni.


Su questa terra c'è ciò che merita la vita,
su questa Terra, la Signora della terra,
madre degli inizi e madre delle fini.
Si chiamava Palestina.
Continua a chiamarsi Palestina.
Mia Signora:
merito, perché sei la mia Signora,
merito anch’io la vita.


(Mahmoud Darwish)

Luna congelata

Con questa solitudine
infida
e tranquilla

con questa solitudine
di crepe consacrate
di ululati lontani
di mostri di silenzio
di forti ricordi
di luna congelata
di notte per gli altri
di occhi spalancati

con questa solitudine
inutile
e vuota

si può
a volte
capire l'amore.


(Mario Benedetti)

Ma il dolce viso...

Ma il dolce viso che s'inombra, gli occhi
sbiancati, la parola che vacilla
e sprofonda nel cuore, e quel fuggire
lungo, sparso, di tutto il sangue; il punto
in cui non c'è che una vita, la vita
col suo morire e ricrearsi eterno:
quello è pur nostro bene, palpitante
amicizia dei sensi, fuggitiva
luce di gioia, nostra disperatamente
breve ora d'immortalità.


(Diego Valeri)

Destarmi accanto a te

Destarmi accanto a te, nella prima
luce, e vederti dormire, 
così bianca, così fragile e fina
da sentirmi volontà di morire.

Baciare le tue palpebre molli,
bianche farfalle che volano via,
scoprendo due fiori divini
di nerazzurra malinconia.

Baciare il tuo viso mattutino
ancora bagnato di sonno, 
il tuo viso esiguo di bambino,
tutto bianco e tenero e biondo.

Baciare su le tue labbra il profumo
della tua profonda primavera, 
e tutta respirarti, con l'oscuro
mio cuore, bianca anima leggera.


(Diego Valeri)

Ma ora voglio tornare sulle alte rupi

Mio caro Tullio, grazie. Delle sue parole da Firenze, del libro di poesie. È stato così bello che, ritornando dal sole e dal mare e dalla rossa terra del Carso, io trovassi qui un po' della Sua anima, in attesa della mia, rinnovata lassù, sulla spianata dell'Acropoli. Rinnovata, ricostruita: o meglio, ritemprata nella volontà nuova di ricostruirsi. Quando lei venne qui, a marzo, io stavo vivendo giorni torbidi e tristi, perduta per le vie dure della realtà che non amo. Lei forse non se ne accorse: ma io mi sentivo così arida e atona, così diversa da quella lontana sera d'ottobre, in cui Lei venne per la prima volta nella mia casa chiusa - ricorda? Allora Lei ebbe poi a scrivermi che nella mia stanza era stato come se fossimo soli in cima a un'alta rupe, ed anche a me era parso che fosse proprio così, quella sera, tanto pure e vive erano le nostre anime, tanto concreto e nitido era il senso delle cose irreali a cui ci volgevamo, come un lembo di cielo nel sole. 
Ma poi io scesi molto in basso e traversai tanta palude: e mentre pensavo a nuovi problemi di cui ignoravo fin lì l'esistenza (la società, la politica, l'individualismo ed il collettivismo) perdevo il mio vero essere, il tono e l'equilibrio della mia personalità: crollato il regno dei sogni e delle poesie, dimenticato il mondo dove si parla di sempre e di mai, dove si commisura all'eterno il valore di ogni atto compiuto, io allentavo il freno della mia volontà, non m'impedivo il male, chiudevo gli occhi al domani, dicendo che esiste solo l'oggi ed il bene presente... Ho traversato tanta palude, Tullio. Forse bisognava che questo accadesse, perché io capissi, sentissi in me stessa, nel mio spirito e nella carne la tragedia dell'esser uomini, la sacra tragedia di vivere. Ma ora voglio tornare sulle alte rupi, dissetare alle sorgenti la bocca in cui è rimasto tanto amaro: la mia nuova salita spirituale è cominciata davanti alle dune di Tripoli, e poi accanto al marmo diafano dell'Eretteo: continua ora, come se in un mattino ancora incerto io camminassi fra i rododendri, con questi Suoi versi tra le mani, mio caro e fedele amico. (...)

Sua Antonia Pozzi


(Antonia Pozzi; lettera a Tullio Gadenz - 1934)

domenica 21 settembre 2025

Spuntarono lacrime negli occhi della soave creatura

Spuntarono lacrime negli occhi della soave creatura mentre queste parole venivano pronunciate; e quando una di quelle lacrime cadde sul fiore verso il quale ella si chinava, brillando entro il calice e rendendo il fiore ancor più bello, parve che il tenero cuore di lei si accomunasse spontaneamente a quanto vi è di più meraviglioso nella natura.


(Charles Dickens; "Oliver Twist")

...ed è la voce dell'umanità che risuona in noi

L'immagine primordiale o archetipo è una figura, demone, uomo o processo, che si ripete nel corso della storia, ogniqualvolta la fantasia creatrice si esercita liberamente. Essa è in prima linea una figura mitologica. Esaminandola da presso, notiamo che essa è in certo qual modo la risultante d'innumerevoli esperienze tipiche di tutte le generazioni passate. Si potrebbero scorgere in essa i residui psichici d'innumerevoli avvenimenti dello stesso tipo. Essa rappresenta una media di milioni di esperienze individuali e dà un'immagine della vita psichica, suddivisa e proiettata nelle forme multiple del pandemonium mitologico. Ma anche le figure mitologiche sono di per sé stesse già dei prodotti elaborati della fantasia creatrice; esse attendono di essere tradotte in un linguaggio concettuale, di cui per ora non abbiamo che dei penosi inizi. Quei concetti, che in maggior parte sono ancora da creare, potrebbero procurarci una conoscenza astratta e scientifica dei processi dell'inconscio, processi che costituiscono la radice delle immagini primordiali. In ciascuna di queste immagini è racchiuso un frammento di psicologia e di destino umano, un frammento dei dolori e delle gioie che si sono succedute infinite volte, secondo un ritmo su per giù sempre uguale, nelle schiere dei nostri antenati. Sembra quasi che nell'anima si sia formato come il letto di un fiume, in cui la vita che prima tentennava nell'incertezza e si spandeva su superfici vaste, ma poco profonde, all'improvviso riesca a fluire con forza, se si è avverato quel particolare concatenarsi di circostanze, che contribuì sempre alla produzione delle immagini primordiali.
Il momento in cui appare la situazione mitologica è sempre contrassegnato da una particolare intensità emotiva, come se in noi fossero toccate corde che ordinariamente non risuonano mai, o come se si scatenassero potenze di cui non supponevamo l'esistenza. La lotta per l'adattamento è assai penosa, poiché abbiamo sempre a che fare con condizioni individuali, cioè, con condizioni atipiche. Perciò non deve stupirci il fatto che, nel momento preciso in cui giungiamo a una situazione tipica, proviamo un improvviso sentimento di liberazione, sentimento del tutto speciale; né deve stupirci di sentirci come trasportati o afferrati da una specie di potenza sovrumana. In tali momenti non siamo più degli esseri particolari, noi siamo la specie, ed è la voce dell'umanità che risuona in noi.


(Carl Gustav Jung; "Psicologia e poesia")

Tonnelle nord-ouest au Parc de Marquayrol

Pasturo, 25 agosto 1935

(...) dovrei andar via, vedere molta gente e molto mondo, sola e responsabile di me.


(Antonia Pozzi; Pasturo - 1935)

giovedì 18 settembre 2025

Mi ricordo di un discorso che mi facesti in treno...

Mio caro Vittorio, ti ringrazio con tutto il cuore della tua buona lettera. Forse, da un mese a questa parte, è stata l'unica gioia vera; mi è parso di ritrovarti di colpo e ho risentito tutto quello che  è ancora la tua amicizia per me, come quel giorno, sulle scale di casa mia, mentre l'Alba era di sopra e non capiva niente, e io piangevo per le tue poesie - meglio: per quel che mi facevano sentire le tue poesie in confronto dell'irrimediabile esteriorità di tutti gli altri miei rapporti - ti ricordi?
(...) Mi ricordo di un discorso che mi facesti in treno, quella famosa domenica dell'inutile gita a Monate: il tuo tormento era proprio questo, il senso di non saper vivere, di aver nelle vene un sangue fittizio e degli arabeschi davanti agli occhi invece che delle creature reali. Sono contenta, tanto tanto contenta di quello che mi scrivi ora. Soprattutto perché è una gioia immensa sentire che al mondo ci sono ancora degli esseri - come te - capaci di freschezza, di fiducia, di rinascita. Guai - io credo - anche per la poesia, se questa facoltà di valicare di quando in quando il distacco, di riaffondare e perdersi nella vita, venisse a mancare! Cristallizzarsi in una posizione unica è rinunciare per sempre alla spinta, al moto: questo nasce solo dall'oscillìo fra due poli contrari. Anche il fuoco non nasce da un sasso solo, ma da due sassi percossi insieme. E quindi è un bene se per un po' di tempo dimentichi di aver scritto poesie: quelle che scriverai domani avranno in sé tutta la forza della vita a cui ti abbandoni oggi.


(Antonia Pozzi; lettera a Vittorio Sereni - 1935)

L'opera d'arte è come un sogno

L'opera d'arte è come un sogno che, nonostante sia manifesto, non si autointerpreta, e che non ha mai un significato solo. Nessun sogno dice "devi" oppure: "questa è la verità"; esso presenta un'immagine come la natura fa crescere una pianta; siamo noi che dobbiamo trarne le conseguenze. Se sogniamo un sogno pauroso vuol dire che abbiamo troppa o troppo poca paura; se sogniamo di un saggio, vuol dire che siamo troppo studiosi o che invece abbiamo bisogno di un maestro. In modo sottile i due significati s'identificano; ce ne accorgiamo soltanto quando lasciamo che l'opera d'arte agisca su di noi come ha agito sul poeta. Per comprenderne il significato, bisogna lasciarsi plasmare da lei come essa ha plasmato il poeta. Allora comprendiamo anche quale sia stata la sua esperienza primigenia: egli ha toccato quella profondità psichica salutare e liberatrice nella quale ancora nessuna coscienza singola si è isolata, per seguire la via degli errori e del dolore, dove tutti ancora sono presi nello stesso ritmo, dove il sentire e l'agire del singolo si ripercuotono ancora sull'umanità intera.


(Carl Gustav Jung; "Psicologia e poesia")

...i suoni sconosciuti spaventano

(...) "Bambino mio!" disse l'anziano gentiluomo, protendendosi al di sopra della scrivania. Oliver trasalì al suono di queste parole. E si può giustificarlo per questo, poiché quelle parole erano state pronunciate con bontà, e i suoni sconosciuti spaventano. Oliver tremò violentemente e scoppiò in lacrime.


(Charles Dickens; "Oliver Twist")

domenica 31 agosto 2025

Fuori sta già venendo sera

(...) ...ti scrivo dal mio vecchio tavolo, dalla mia vecchia cara stanza. Fuori sta già venendo sera. Guardo dalla finestra bassa e larga le cime dei pini contro il cielo pallido: erano tre, qui davanti, fino all'anno passato; ma poi uno si ammalò e gli dovemmo tagliare tutta la punta. Adesso, a vederlo così monco, fa malinconia.
Dunque sono qui, dopo tanti mesi d'inverno, dopo tanta vita. Qui, a questo tavolo che io chiamo il mio porto. (...) Quando dico che qui sono le mie radici non faccio solo un'immagine poetica. Perché ad ogni ritorno fra questi muri, fra queste cose fedeli e uguali, di volta in volta ho deposto e chiarificato a me stessa i miei pensieri, i miei sentimenti più veri. E queste pareti se ne sono fatte custodi, così che, quando rientro qui, tutto il mio passato, tutto quello che sono stata, per cui sono - oggi - quella che sono, mi balza incontro ed io ritrovo la più completa me stessa. Qui non sono solo raccolte tangibilmente tutte le immagini delle persone care, dei luoghi amati e non più veduti, delle cose d'arte predilette, ma l'aria stessa è come se conservasse l'eco delle voci, l'ombra dei volti, il senso delle ore vissute.
Ho tanta voglia che anche tu venga qui. Sempre, tutte le persone a cui ho voluto più bene, ho desiderato che venissero qui; perché vederle qui è come una consacrazione, una benedizione dell'affetto che mi lega a loro e mi sembra che poi non potrò mai veramente perderle, che qui potrò sempre ritrovarle vive, anche quando saranno lontane e mi avranno dimenticata.
Oggi ho fatto una brave passeggiata fino a un bosco vicino. Fa ancora freddo, gli alberi sono completamente nudi. Ma nei prati ci sono moltissimi fiori: le viole, le primule, i giacinti, l'erica rossa sotto i castani. Le miosotidi sono piccole e chiuse: in maggio diventano alte, i prati sono tutti azzurri. Quando verrai, ci saranno più fiori che erba. A pensare che tu vedrai questo mio paese, queste cose umili, tutto mi sembra così angusto, misero, brullo: vorrei raccomandare alle cose di farsi il meno brutte possibile, all'aria d'essere dolce, al sole d'essere chiaro, sapendo che tu vieni. 
Stamattina un uomo del paese, un vecchio, s'è fermato al cancello: ha voluto che portassi alla mamma un pezzo del ramo d'ulivo che aveva preso in chiesa. Mi ha tanto commosso. Qui non c'è che gente taciturna, rozza: ma io penso che se un giorno resterò sola e verrò a vivere qui, il saluto di questi vecchi baffuti, di queste donne sdentate, il sorriso dei bambini sudici che mi vengono nelle gambe, mi consolerà molto...


(Antonia Pozzi; lettera a Remo Cantoni - 1935)

I colori veri sono delicati

Oliver si destò, la mattina dopo, di umore migliore, e si dedicò alle consuete occupazioni del primo mattino con più speranza e più piacere di quanto gli fosse accaduto da molti giorni. Gli uccelli si trovavano, una volta di più, nei loro nascondigli e cantavano; e i più soavi fiori selvatici che esistessero vennero colti, una volta di più, per allietare Rose con la loro bellezza e la loro fragranza. La malinconia che agli occhi tristi e ansiosi del bambino era parsa gravare su ogni cosa, per quanto bella, si dileguò come per magia. La rugiada sembrava scintillare più luminosa sulle foglie verdi; l'aria sembrava frusciare tra esse con una musica più soave, e il cielo stesso era più azzurro e luminoso. Gli uomini che osservano la natura e i loro simili e dichiarano che tutto è cupo e tenebroso, non si sbagliano, ma i colori cupi sono un riflesso dei loro occhi e dei loro cuori ostili. I colori veri sono delicati e richiedono che li si osservi con occhi più limpidi.


(Charles Dickens; "Oliver Twist")

giovedì 24 luglio 2025

Le mando una corolla di papavero...

(...) Le mando una corolla di papavero: l'ho colta all'alba del 20 aprile, sulla spianata dell'Acropoli, intanto che il sole lievemente saliva di fronte ai Propilei e pareva penetrare le vene dei marmi come una linfa d'oro. Tornai lassù al tramonto: allora la luce non pareva più trapelare dall'interno delle colonne diafane, come dal cuore di una lampada d'alabastro, ma la luce nasceva ai piedi dei templi come un cespite di fiamme ed arrossava le scanalature, intiepidiva le volute aeree, così che ciascun tempio era una mano viva alzata con le sue dita rosee sopra il mare celeste di Salamina... 
Le mando anche un povero piccolo fiore arido: l'ho colto camminando verso le dune, alla soglia della tenda di un vecchio beduino che mi ospitò e mi offerse il tè forte verde degli arabi, intanto che il vento correva, a ondate lunghe, sulla pianura deserta, portando i profumi delle acacie e il respiro del mare...
Le racconterò tante cose, Tullio, quando verrà. 
E mi dica: posso tenere fino ad allora le Sue poesie, oppure le occorrono prima?


(Antonia Pozzi; lettera a Tullio Gadenz - 1934)

Formazioni

Una parola circonda la nera nudità
dei laghi sprofondati nella nebbia.

Quella parola si leva attorno
alle acque, le infiamma, rischiara

e ne estrae un'irradiazione
di daghe, un sudore forgiato di maschere.

Laghi. Una parola. Ma quale,
in che dimensione del potere enunciativo?

Lux, Weltanschauung o becoming,
forse oltre a "goccia", "luminescenza"...

I laghi si spiegarono con una forza
di mormorio, sulla pagina della nebbia.

La parola della voce diventò
un ruscello testuale. E formò nuovi laghi.

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Una palabra rodea la negra desnudez
de los lagos hundidos en la niebla.

Esa palabra se levanta alrededor
de las aguas, las enciende, aclara

y saca de ellas una irradiación
de dagas, un sudor labrado de máscaras.

Lagos. Una palabra. Pero ¿cuál,
en qué dimensión del poder enunciativo?

Lux, Weltanschauung o becoming,
acaso nada más "gota", "luminiscencia"...

Los lagos se desdoblaron con una fuerza
de murmullo, sobre la página de la niebla.

La palabra de la voz se volvió
un arroyo textual. Y formó nuevos lagos.


(David Huerta) 

Pensa agli altri

Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,
non dimenticare il cibo delle colombe.
Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,
non dimenticare coloro che chiedono la pace.
Mentre paghi la bolletta dell’acqua, pensa agli altri,
coloro che mungono le nuvole.
Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri,
non dimenticare i popoli delle tende.
Mentre dormi contando i pianeti, pensa agli altri,
coloro che non trovano un posto dove dormire.
Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri,
coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.
Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso,
e dì: magari fossi una candela in mezzo al buio.


(Mahmoud Darwish)

sabato 28 giugno 2025

La linea essenziale del nostro destino

La linea essenziale del nostro destino è fatta di queste esperienze che nessuno vede.


(Hermann Hesse; "Demian")

...la vita è per sempre destinata a manifestarsi alla luce

Ma nel lupetto agivano anche altre forze, la più potente delle quali era la spinta a crescere. L'istinto e la legge esigevano da lui sottomissione. Ma lo sviluppo gli imponeva di disobbedire. La madre ed il padre gli avevano impresso nella mente di tenersi lontano dalla parete bianca. Ma lo sviluppo è vita e la vita è per sempre destinata a manifestarsi alla luce. Finalmente un giorno la paura e l'obbedienza furono sopraffatte dall'impeto della vita e il lupacchiotto, strisciando, si avvicinò all'imbocco della tana.
Contrariamente alle altre pareti, di cui egli aveva già pratica, questa, a mano a mano che egli si avvicinava, sembrava allontanarsi da lui. Nessuna superficie dura colpì il suo tenero naso, che egli protendeva davanti a sé, come a tentare la strada. La sostanza di quella parete sembrava permeabile e cedevole come la luce. E siccome aveva creduto che tutto ciò fosse una sostanza solida, egli entrò in quella che per lui era stata una parete, immergendovisi.
Era cosa sbalorditiva. Stava strisciando attraverso una cosa solida e la luce si faceva sempre più diffusa. La paura lo spingeva a tornare indietro, ma l'impulso alla vita lo spingeva in avanti. Improvvisamente egli si trovò all'imboccatura della caverna. La parete, dentro alla quale egli si era immaginato di essere, ad un tratto si ritirò davanti a lui ad una distanza incommensurabile. La luce diventò acutissima ed egli ne fu quasi accecato. Nello stesso tempo egli si sentì stordito per la repentina e spaventosa estensione dello spazio. Automaticamente i suoi occhi si adattarono alla luce viva, e le pupille si misero a fuoco giusto, per dargli la possibilità di una visione esatta degli oggetti posti ora ad una distanza molto maggiore di prima. La parete, nel primo istante, si era ritirata davanti a lui, ma ora egli la vedeva di nuovo, solo che era andata a finire molto più lontano da lui ed anche il suo aspetto era cambiato. Era oramai una parete screziata, composta dagli alberi che fiancheggiavano il fiume, dalle montagne di fronte che torreggiavano al di sopra degli alberi e dal cielo che giganteggiava al di sopra delle montagne.
Il lupacchiotto si sentì prendere da una paura folle. Tutto questo era molto peggio che non il terribile ignoto. Egli si accostò all'uscita della tana e guardò in giro per il mondo. Ed era davvero spaventoso, perché tutto ciò che vedeva gli era sconosciuto e perciò ostile. Gli si rizzò il pelo sulla schiena e le sue labbra tremolarono leggermente in un debole tentativo di ringhio feroce ed intimidatorio. Al di sopra della sua piccolezza e della sua paura, egli sfidò e minacciò tutto l'immenso mondo.


(Jack London; "Zanna Bianca")

Summer days

venerdì 27 giugno 2025

...alzavi sempre davanti a te una poesia

(...) alzavi sempre davanti a te una poesia, perché ti nascondesse.


(Rainer Maria Rilke; "I quaderni di Malte Laurids Brigge")

Cotogni in fiore

Son fioriti al limite degli orti 
i cotogni, tardiva leggiadria: 
tremano al sole i ramicelli corti,
verde la siepe, ed è bianca la via.

O tu che oscilli, dove mi riporti?
Una fragranza nel mio cuor dormia
lieve e soave fra i ricordi morti:
mele cotogne fra la biancheria.

Più dolci assai che non lo spigonardo
od ogni altro profumo casalingo
odoravan l'inverno entro gli armadi;

ed or, traverso a' ramicelli radi
che April rinfiora, i miei sogni di bimbo
io ritrovo, alberello esile e tardo.


(Guelfo Civinini)

lunedì 16 giugno 2025

Ogni uomo però non è soltanto lui stesso

Ogni uomo però non è soltanto lui stesso; è anche il punto unico, particolarissimo, in ogni caso importante, curioso, dove i fenomeni del mondo s'incrociano una volta sola, senza ripetizione. Perciò la storia di ogni uomo è importante, eterna, divina, perciò ogni uomo fintanto che vive in qualche modo e adempie il volere della natura è meraviglioso e degno di ogni attenzione. In ognuno lo spirito ha preso forma, in ognuno soffre il creato, in ognuno si crocifigge un Redentore.


(Hermann Hesse; "Demian")

Molte sono le vie

Molte sono le vie per le quali Dio può isolarci e ricondurci a noi stessi.


(Hermann Hesse; "Demian")

Tu mi rappresenti la mia pianura lombarda

(...) Non so come sia, ma tu sei l'unica persona della mia famiglia a cui io mi senta stretta da veri legami di sangue, davanti alla quale io senta la continuità di una razza. Tu mi rappresenti la mia pianura lombarda, malinconica, forte e reale, coi rossi tramonti sulle risaie, l'odore caldo di stalla e la terra nera e umida: la pianura che ho tanto poco goduto eppure mi sento nel sangue e verso la quale mi porta la nostalgia, quando, a settembre, le mandrie di qui scendono scampanando dai pascoli alti e come fiumi biondi scompaiono allo svolto dello stradone...


(Antonia Pozzi; lettera alla nonna - 1938)

martedì 3 giugno 2025

Ora ho dinnanzi a me una settimana di contemplazione

...un momento solo di silenzio ricordo, tra i balzi inquieti del vento: a Mergellina, presso il parapetto del lungomare, dinnanzi al golfo che si sbiancava nelle brume scialbe, sotto un cielo pieno di ditate rosa.
E stamattina, su di un balcone del castello di S. Martino, con uno strapiombo sotto, di cinquanta metri e tutta Napoli, galleggiante nell'azzurro, che ci mandava un dondolio discorde di campane... Eravamo, verso il mezzogiorno, in un chiostro; avorio - ruggine contro il turchino...
Ora ho dinnanzi a me una settimana di contemplazione: qui tutto è bello di una bellezza che fa persino male; dinnanzi a cui non senti che il tormento di non saperti estasiare abbastanza. Ti racconterò a voce di questi tramonti che paiono ricalcati da un ventaglio giapponese, di queste notti intente nel silenzio, striate di lumi tremuli che fanno il solletico al mare.
Non sono né triste né lieta: sono una forma di sensazioni indefinite.
Stasera, dinnanzi alla prima stella, stavo per farmi, istintivamente, il segno della croce...


(Antonia Pozzi; lettera a Lucia Bozzi - 1929)

Piangere non è un sussulto di scapole

Piangere non è un sussulto di scapole
e adesso che ho pianto
non ho parole migliori di queste
per dire che ho pianto
le parole più belle
le parole più pure
non sono lo zampettío delle sillabe
sull'inverno frusciante dei fogli
stanno così come stanno
né fuoco né cenere
fra l'ultima parola detta
e la prima nuova da dire
è lì che abitiamo


(Pierluigi Cappello)

mercoledì 21 maggio 2025

20 giugno 1935

E questo soprattutto è terribile: la mia assoluta inadattabilità alla vita pratica, il frantumarsi di tutta la mia unità di vita quando mi si porti fuori dell'atmosfera irreale in cui m'ha cresciuta la solitudine. 


(Antonia Pozzi)

Come vengono formate allora le anime?

(...) Ho detto "formazione dell'anima"... distinguendo l'anima dall'intelletto. L'intelletto, o scintilla divina, è presente in milioni di persone, ma non è anima finché non si acquista un'identità, finché ciascuna persona non è sé stessa. I vari intelletti sono atomi di percezione: riconoscono, vedono e sono puri... in breve, sono divini. Come vengono formate allora le anime? Come viene data un'identità a queste scintille divine, in modo che ognuna abbia la sua particolare gioia relativa alla sua esistenza individuale? Come altro se non attraverso un mondo come il nostro? (...) Cercherò di esporlo nei termini più semplici possibili, in modo che possiate giudicare più facilmente. Dirò che il mondo è una scuola istituita al fine di insegnare ai bambini piccoli a leggere. Dirò che il cuore umano è l'abbecedario usato in quella scuola... e dirò che il bambino in grado di leggere è l'anima formata in quella scuola con quell'abbecedario. Non vedete anche voi quanto sia necessario, per educare l'intelletto e farlo diventare anima, un mondo di stenti e difficoltà... un luogo in cui il cuore senta e soffra mille cose diverse? Il cuore non è semplicemente un abbecedario: è la Bibbia della mante, è fonte d'esperienza per la mente, è la mammella da cui la mente, o intelletto, succhia la propria identità. Tanto sono varie le vite degli uomini, tanto diventano varie le loro anime... e così Dio crea creature individuali (anime, anime identiche) dalle scintille della propria essenza.


(John Keats; lettera a George e Georgiana Keats - 1819)

Non mi sento di questo mondo

Cara sig.ra Brawne,
poche parole serviranno a descrivere la traversata e dire in che condizioni ci troviamo... e se sono poche è anche perché siamo stati messi in quarantena e le nostre lettere dovranno essere aperte all'Ufficio di Sanità per essere disinfestate. Saremo costretti a restare sulla nave per dieci giorni, e al momento siamo bloccati in fila con altre navi. Gli effetti positivi dell'aria di mare sono stati annullati da quelli negativi di burrasche e vitto e alloggio scadente. Perciò sto più o meno come prima. Un saluto affettuoso a Fanny. Le dica che, se mi sentissi bene, ci sarebbero tante di quelle cose in questo porto di Napoli da poter riempire una risma di carta... ma tutto sembra un sogno... tutti questi uomini che riescono a remare sulle loro barche, a camminare e a parlare sembrano creature diverse da me. Non mi sento di questo mondo.


(John Keats; lettera a Frances Brawne - 1820)

martedì 20 maggio 2025

Principio e intergrità

Non devi, per una singola persona, cambiare il significato di parole come principio e integrità.


(Jane Austen; "Orgoglio e pregiudizio")

Madonna del coniglio


 

Cerca di capire questo, amore mio

(...) Non avevo mai conosciuto un amore come quello che mi hai fatto provare. Non credevo che esistesse: lo immaginavo con terrore, temendo che potesse consumarmi del tutto. (...) Cerca di capire questo, amore mio: io ti ho così a cuore che sento il dovere di farti da guida se penso che possa capitarti qualcosa di male. Non voglio vedere mai altro che gioia nei tuoi occhi, amore sulle tue labbra e felicità nei tuoi passi.


(John Keats; lettera a Fanny Brawne - 1819)

...ma su mille mondi

Ogni giorno che passa, col rafforzarsi della mia immaginazione, sento sempre di più di non vivere soltanto su questo mondo, ma su mille mondi.


(John Keats; lettera a George e Georgiana Keats - 1818)

Ah, potessi fare questo sogno ogni giorno!

Il quinto canto di Dante mi piace sempre di più. È quello in cui incontra Paolo e Francesca. Ero da molti giorni d'umore piuttosto cupo quando ho sognato di trovarmi in quella regione dell'inferno. È stata una delle sensazioni più belle che abbia mai provato in vita mia. Fluttuavo, come descritto nel poema, in un turbine d'aria insieme a una bella figura a cui ero congiunto per le labbra. Mi è sembrato che durasse per un'eternità... e in mezzo a tutto quel freddo e quel buio, mi sentivo riscaldato. Sono spuntate persino delle cime fiorite, su cui a volte ci posavamo, leggeri come nuvole, finché il vento poi non ci trascinava via di nuovo. Ho provato a scrivere un sonetto al riguardo... contiene quattordici versi, ma neanche un briciolo di quello che ho provato. Ah, potessi fare questo sogno ogni giorno!...

Come Ermes leggero si librò
dopo aver visto Argo addormentato, 
così il mio pigro spirito suonò
delfiche note e, avendo conquistato 

 il mondo - drago e spento i suoi cento occhi, 
si involò... ma non verso l'Ida, dove 
nel gran gelo la neve scende a fiocchi, 
o Tempe, dove andò a dolersi Giove,
 
ma verso il triste cerchio dell'inferno 
in cui gli amanti, muti tra i tormenti, 
roteano in preda a un gorgo d'aria eterno.
 
Là vidi labbra pallide e suadenti, 
là le baciai... e la splendida figura 
fluttuava insieme a me nella tempesta oscura.


(John Keats; lettera a George e Georgiana Keats - 1819)

mercoledì 7 maggio 2025

...niente era vero ed eterno come la vita della mia anima

(...) Però ieri sera, entrando in S. Stefano, che è l'unica cosa antica e quindi sacra e quindi veneranda della città, ebbi la fortuna di sentire l'inizio di un grande concerto d'organo. Tutta la chiesa ormai buia, sai: le altissime volte tutte gonfie di suono e i Santi con le mani protese, come a lavarsele nelle invisibili onde. A poco a poco io mi sentivo tornare verso il profondo di me: ed ogni eco dura cadeva nel fluire di tutti i ricordi. Pensavo alle cose compiute, all'amore al dolore vissuti, a tutti i lontani: e niente era concreto come quello che io, col mio cuore, avevo creato; niente era vero ed eterno come la vita della mia anima...


(Antonia Pozzi)

Mi pare di affacciarmi a una gran luce...

Spessissimo ho la gioia di vedermi ricordata dal Professor Cervi, che ha poi la pazienza di chiarirmi per iscritto tutte le difficoltà che incontro nello studio, e che mi manda in dono sino a qui molti bellissimi libri. Così le buone letture non mi mancano. Ritiro anche, sempre con le schede firmate dal Professore, molti volumi a Brera. Altri ne compro. E sono sempre libri sulle origini, lo sviluppo, la storia, il contenuto filosofico dell'arte, libri di storia greca e romana, di letteratura, di filosofia soprattutto.
Sento che questo studio mi fa un bene immenso. Mi pare di affacciarmi a una gran luce, mi sembra di cominciare a vivere adesso.


(Antonia Pozzi; Pasturo - 1928)

Verrà?

(...) Anch'io andrò sulle montagne, dopo il Capodanno, fino al 7 o all'8, a Madonna di Campiglio. Perché non viene lassù a trovarmi? Potremmo fare qualche lunga gita insieme, andare molto in alto, vicino alla roccia. Io porterò lassù i miei quaderni: là tutti i pini delle foreste e le nuvole degli altipiani mi conoscono e mi vogliono bene, e ascoltano le mie parole. Verrà?


(Antonia Pozzi; lettera a Tullio Gadenz - 1933)

domenica 27 aprile 2025

4 gennaio 1934

Bisogna custodire con gioia il piccolo sole che noi portiamo nella vita, e vigilare su tutte le nebbie.


(Tullio Gadenz; lettera ad Antonia Pozzi - 1934)

...non temere che la vita ti sciupi questa tua purezza

Oh Dino, con quanta forza ho sentito, fino in fondo al mio essere, il pulsare dei tuoi sogni. Vedi: ogni volta che tu mi apri così un lembo della tua anima più nuda, tu svegli tutta la giovinezza che dorme in me, sotto la coltre delle fantasie oziose, degli egoismi inutili. Ed ecco: io sono di nuovo la ragazzetta di diciassette anni, dalle lunghe gambe nervose, dagli occhi chiari e dai polmoni capaci, che fuggiva sola, con il suo sacco ed un paio di enormi scarpe chiodate, verso le rocce il vento il silenzio delle Dolomiti di Brenta: per ore, accoccolata su un masso, spiava il nascere dell'acqua dalla bocca annerita del nevaio; s'insanguinava le dita per staccare dalla pietra zolle di sassifraghe rosa; e d'un balzo, affidata alla forza dei ginocchi sulla colata fragorosa delle ghiaie, piombava a valle, sui pascoli cosparsi di rocce bianche come enormi cimiteri abbandonati - Fragranza amara dei rododendri sotto il sole - intrico di corolle fragili e di rami duri fino alla cintola - nuotare nel folto verde e rosa. Poi, a sera, i rami lunghi morbidi frangiati dei làrici che la chiamavano verso casa, verso un lume nella penombra viola... Ah, l'aria della mia adolescenza, Dino: così limpida, aromatica, fulgente di bianchezze inverosimili, come un piccolo triangolo di vela disperatamente gonfio e teso di vento. Ed ecco: tutto questo che credevo sopito, spento per sempre, mi rinasce vicino a te, si riapre, si riscopre come un cielo lontanissimo, perduto in fondo a cumuli di nubi. Per questo ti dico: non temere, non temere che la vita ti sciupi questa tua purezza, questa tua meravigliosa forza di ascesa e di sogno. Come potrebbe soffocarla in sé se tu sai destarla così vivamente negli altri?
(...) tu mi conosci abbastanza bene per sapere - ormai - che il tuo sogno di un angolo di terra, di un modestissimo focolare, di una vita che torna alla sua origine è anche il mio sogno. Sai: ieri un sacerdote che conosciamo e che era qui da noi guardava i miei albi di fotografie e a un certo punto mi disse: "Ma lei ha tutto, ha visto tutto, ha goduto tutto: che cosa può desiderare ancora nella vita?". Che cosa posso ancora desiderare? - Avrei voluto rispondergli -: Ma precisamente il contrario di quel tutto: spogliarmi di tutto il superfluo, dimenticare i volti ben rasi, le labbra dipinte, gli alberghi di lusso, rinunciare alle comodità di cui - grazie a Dio - non mi sono mai fatta delle schiavitù, andare dalla povera gente, imparare il dialetto, ricominciare. Senza cavalli, senza auto, senza troppi vestiti, senza troppe posate, ma che cosa m'importerà - in nome del cielo - di avere soltanto due grembiuli (uno addosso e l'altro al fosso - dice il proverbio delle nostre campagne) pur che alla sera mi sia dato aspettare un volto caro e mettere sul fuoco una minestra che non sia soltanto per me e rammendare delle calze che non siano soltanto le mie, ma che siano magari le calze piccine e le magline e i corpetti di un topolino nostro? Dinin, vedi, e quando la mia vita di donna sarà equilibrata, completa, allora anch'io scriverò. Ho tante cosa da dire, io pure. Sarò passata attraverso tante vite, saprò la pena di tante creature, la gioia di tante strade. Allora (come mi ha detto anche Banfi, un giorno) quando sarò veramente una donna, placata, serena, forte, potrò dire delle buone cose.


(Antonia Pozzi; lettera a Dino Formaggio - 1937)

venerdì 18 aprile 2025

Mi hai abbagliato

(...) Mi hai abbagliato. Non esiste nulla al mondo così splendente e delicato.


(John Keats; lettera a Fanny Brawne - 1819)

...nel mio mondo sentimentale, c'è un grande senso di continuità

...Come uniscono, come cuciscono le persone le cose, le povere stupide dolcissime cose di tutti i giorni!
...Da Roma, dalla basilica di Massenzio, trasmettono un concerto bellissimo e questo m'invita a stare alzata ancora. Stanno sonando la "Pavana per una infanta defunta" di Ravel, un pezzo breve che mi piace molto. A quante cose penso, ascoltando questi concerti!
Te lo dissi una sera - ricordi? - quando tu mi chiedesti il perché dei miei occhi fissi e io dicevo: cose lontane...
(...) Tu mi hai detto un giorno che io sembro sempre colta alla sprovvista dalle cose, svegliata alla vita ogni giorno e ogni giorno stupita e impreparata: eppure dentro di me, nel mio mondo sentimentale, c'è un grande senso di continuità. Alti e bassi, sì, burroni e vette: ma fra le vette, cioè fra i momenti di più intensa sincerità spirituale, come una linea ininterrotta, come il crinale delle montagne, ed una, l'ultima, la più alta, non ci sarebbe se non ci fossero le precedenti...


(Antonia Pozzi; lettera a Remo Cantoni - 1935)

domenica 13 aprile 2025

...leggerò un brano di Shakespeare ogni domenica alle dieci

(...) leggerò un brano di Shakespeare ogni domenica alle dieci. Anche voi ne leggerete uno alla stessa ora, e saremo vicini l'uno all'altro come dei corpi ciechi nella stessa stanza.


(John Keats; lettera a George e Georgiana Keats - 1818)

Milano, 8 maggio 1933 - ore 4 pom

(...) E perciò, Antonello, io ti ho detto: "Che Dio ti benedica" - e così vorrei che le tue tristi e buone parole: "Io ti auguro di essere felice" si mutassero in queste meno tristi e ancora più buone: "Io ti auguro che Dio santifichi la tua solitudine e il tuo pianto".


(Antonia Pozzi; lettera ad Antonio Maria Cervi - 1933)

...con uno sguardo conscio e degno

Qui tutto è bello di una bellezza violenta, che fa persino male; che ti prostra in un'ammirazione opprimente e angosciosamente inadeguata allo sfarzo di tutta questa natura. Se una finestra ti ammannisce una porzioncina di mare spazzato dal vento, tu butti lì sopra tutti i tuoi pensieri e stai a vederli giocherellare con le folate che fanno il solletico alla pellicina dell'acqua, la quale, poverina, si raggrinza tutta e s'increspa in striature tanto fini che sembra il capino di un uccello quando qualcuno, soffiandovi delicatamente sopra, rovesci le piume in rotelline trepide. Il cervello continua a mulinare così, nel vuoto: e più il cielo si fa languido di lunghe carezze rosa, più gli occhi si affisano nel tormento di guardare tutto, di viver tutto, con uno sguardo conscio e degno. E poi, quando l'ovatta grigia delle nubi ha asciugato, all'orizzonte, tutto il sudore perlaceo del mare, il bagliore mite della prima stella ti sembra la divampante voce di tutto questo cielo, che si tende ad essa con uno sforzo supremo...
Contemplare così non è un riposo; ma è una vita intensissima e bella.


(Antonia Pozzi; Sorrento - 1929)