giovedì 18 settembre 2025

Mi ricordo di un discorso che mi facesti in treno...

Mio caro Vittorio, ti ringrazio con tutto il cuore della tua buona lettera. Forse, da un mese a questa parte, è stata l'unica gioia vera; mi è parso di ritrovarti di colpo e ho risentito tutto quello che  è ancora la tua amicizia per me, come quel giorno, sulle scale di casa mia, mentre l'Alba era di sopra e non capiva niente, e io piangevo per le tue poesie - meglio: per quel che mi facevano sentire le tue poesie in confronto dell'irrimediabile esteriorità di tutti gli altri miei rapporti - ti ricordi?
(...) Mi ricordo di un discorso che mi facesti in treno, quella famosa domenica dell'inutile gita a Monate: il tuo tormento era proprio questo, il senso di non saper vivere, di aver nelle vene un sangue fittizio e degli arabeschi davanti agli occhi invece che delle creature reali. Sono contenta, tanto tanto contenta di quello che mi scrivi ora. Soprattutto perché è una gioia immensa sentire che al mondo ci sono ancora degli esseri - come te - capaci di freschezza, di fiducia, di rinascita. Guai - io credo - anche per la poesia, se questa facoltà di valicare di quando in quando il distacco, di riaffondare e perdersi nella vita, venisse a mancare! Cristallizzarsi in una posizione unica è rinunciare per sempre alla spinta, al moto: questo nasce solo dall'oscillìo fra due poli contrari. Anche il fuoco non nasce da un sasso solo, ma da due sassi percossi insieme. E quindi è un bene se per un po' di tempo dimentichi di aver scritto poesie: quelle che scriverai domani avranno in sé tutta la forza della vita a cui ti abbandoni oggi.


(Antonia Pozzi; lettera a Vittorio Sereni - 1935)

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