(...) ...ti scrivo dal mio vecchio tavolo, dalla mia vecchia cara stanza. Fuori sta già venendo sera. Guardo dalla finestra bassa e larga le cime dei pini contro il cielo pallido: erano tre, qui davanti, fino all'anno passato; ma poi uno si ammalò e gli dovemmo tagliare tutta la punta. Adesso, a vederlo così monco, fa malinconia.
Dunque sono qui, dopo tanti mesi d'inverno, dopo tanta vita. Qui, a questo tavolo che io chiamo il mio porto. (...) Quando dico che qui sono le mie radici non faccio solo un'immagine poetica. Perché ad ogni ritorno fra questi muri, fra queste cose fedeli e uguali, di volta in volta ho deposto e chiarificato a me stessa i miei pensieri, i miei sentimenti più veri. E queste pareti se ne sono fatte custodi, così che, quando rientro qui, tutto il mio passato, tutto quello che sono stata, per cui sono - oggi - quella che sono, mi balza incontro ed io ritrovo la più completa me stessa. Qui non sono solo raccolte tangibilmente tutte le immagini delle persone care, dei luoghi amati e non più veduti, delle cose d'arte predilette, ma l'aria stessa è come se conservasse l'eco delle voci, l'ombra dei volti, il senso delle ore vissute.
Ho tanta voglia che anche tu venga qui. Sempre, tutte le persone a cui ho voluto più bene, ho desiderato che venissero qui; perché vederle qui è come una consacrazione, una benedizione dell'affetto che mi lega a loro e mi sembra che poi non potrò mai veramente perderle, che qui potrò sempre ritrovarle vive, anche quando saranno lontane e mi avranno dimenticata.
Oggi ho fatto una brave passeggiata fino a un bosco vicino. Fa ancora freddo, gli alberi sono completamente nudi. Ma nei prati ci sono moltissimi fiori: le viole, le primule, i giacinti, l'erica rossa sotto i castani. Le miosotidi sono piccole e chiuse: in maggio diventano alte, i prati sono tutti azzurri. Quando verrai, ci saranno più fiori che erba. A pensare che tu vedrai questo mio paese, queste cose umili, tutto mi sembra così angusto, misero, brullo: vorrei raccomandare alle cose di farsi il meno brutte possibile, all'aria d'essere dolce, al sole d'essere chiaro, sapendo che tu vieni.
Stamattina un uomo del paese, un vecchio, s'è fermato al cancello: ha voluto che portassi alla mamma un pezzo del ramo d'ulivo che aveva preso in chiesa. Mi ha tanto commosso. Qui non c'è che gente taciturna, rozza: ma io penso che se un giorno resterò sola e verrò a vivere qui, il saluto di questi vecchi baffuti, di queste donne sdentate, il sorriso dei bambini sudici che mi vengono nelle gambe, mi consolerà molto...
(Antonia Pozzi; lettera a Remo Cantoni - 1935)
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