mercoledì 3 febbraio 2016

...se fosse debolezza, o una sfida alla mia angoscia, non so

Questa notte avevo subito una grossa umiliazione: di quelle che ci colgono in mezzo alla gente senza che la gente se ne accorga. Continuammo a sorridere,  io e i miei interlocutori, come se nulla fosse avvenuto, e per loro infatti nulla era avvenuto: semplicemente era stata detta una parola che per tutti, me compreso, era uno scherzo. Ma un attimo dopo respiravo a fatica e me ne stavo aggobbito nel mio angolo, stordito e assorto come uno smemorato. Fortuna che nessuno mi badò e tutti pensavano a parlare e farsi ascoltare. Riuscii anzi poco dopo a interloquire anch'io: cercai di riportare il discorso alla frase di prima; se fosse debolezza, o una sfida alla mia angoscia, non so. Quando tutti se ne furono andati, io che pure mi mostravo assonnato e cascante, accompagnai verso casa l'amico P. L'amico taceva di buon umore e, visto che non parlavo, mi sbirciava incuriosito. Io mi chiedevo perché mi fossi messo con lui; e anelavo la solitudine del ritorno per abbandonarmi all'avvilimento e toccarne il fondo. C'era qualcosa di non detto tra noi, e la cautela dell'amico inconsapevole aggiungeva disagio alla mia disperazione. Perché quella notte ero davvero disperato. (...) Era notte di giugno, e l'oscurità palpitava. Io misuravo la mia angoscia a tanta dolcezza, e scavavo scavavo a ogni passo nel mio dolore come se tutta la tenebra ne fosse intrisa e bastasse avanzare per sentirsene addosso il peso sempre più intollerabile. M'accorsi a un tratto - e mi fermai - che mi era caduta di mente l'innocua parola da cui tutto era cominciato.


(Cesare Pavese)

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