- S. Giuliano d'Albaro, 15 Gennaio 1908
Mia cara Amica!
Volevo ubbidirvi subito, senza commenti, e ho tentato, vedete, ma questi giorni di silenzio mi sono pesati sull'animo terribilmente. Sento che non posso accettare questo intervallo di morte volontaria, questo esiglio che vi piace imporci, senza dirvi prima una parola d’addio: non sapremmo, al ritorno, stringerci la mano con tutta serenità. Va bene. Si taccia. Se questo credete possa giovare alla pace della vostra anima. Alla mia è quasi indifferente. Quando mi distendo sulla spiaggia, seguendo il gioco del risucchio o le vele all'ultimo orizzonte o le prime stelle che si accendono col Faro, sento che comunico con Voi più assai che accingendomi a comporre le cose dette parole con le cose dette carta e inchiostro... Per questo dico ben venga il silenzio. Anzi, è forse questo: la scontentezza del mezzo d’espressione che traspare fra linea e linea, nelle mie lettere, e che a Voi fa male. Si taccia, dunque. Perché volete ch'io vi renda il sonetto? Ubbidirò se replicherete la domanda. Ma sarebbe inutile oramai: potrei rendervi la carta di visita: ma i versi restano: li so a memoria...
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