C'è un punto solo nel quale mi sento superiore alla generalità degli uomini: io sono più libero e, al tempo stesso, più sottomesso di quel che non osino esserlo gli altri. Quasi tutti ignorano del pari in che cosa consista la loro autentica libertà e il loro vero servaggio. Imprecano alle loro catene; a volte, si direbbe che se ne vantino. D'altro canto, trascorrono il tempo in trasgressioni vane; non sanno imporre a se stessi il giogo più lieve. Quanto a me, ho cercato la libertà più che la potenza, e quest'ultima soltanto perché, in parte, secondava la libertà. Quel che m'interessava non era una filosofia dell'uomo libero - mi hanno sempre tediato tutti, quelli che vi si provano - ma bensì una tecnica: volevo trovare la cerniera ove la nostra volontà s'articola al destino; ove la disciplina, anziché frenarla, asseconda la natura. Comprendimi bene: qui non si tratta della dura volontà degli stoici, di cui tu ti esageri il potere, e neppure di una qualsiasi accettazione, o di astratto diniego, che offende le condizioni reali del nostro mondo che è pieno, continuo, formato di sostanze e di corpi. Io ho aspirato a una acquiescenza, a un consenso più segreto, più duttile. La vita, per me, era un destriero, di cui si sposano i movimenti, ma dopo averlo addestrato quanto meglio ci riesce. Dato che in fin dei conti tutto consiste in un atto volitivo interiore - lento, insensibile, tale da implicare l'adesione del corpo - mi studiavo di raggiungere gradualmente questa condizione di libertà, o di sottomissione, quasi allo stato puro.
(Marguerite Yourcenar; "Memorie di Adriano")
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