Fiorire è il fine - chi passa un fiore con uno sguardo distratto stenterà a sospettare le circostanze coinvolte in quel luminoso fenomeno costruito in modo così intricato e poi offerto, come una farfalla al mezzogiorno
lunedì 30 novembre 2015
Troppa anima!
domenica 29 novembre 2015
Vagando nella sera
Sulla strada polverosa, a tarda sera me ne vado,
ombre di muri cadono oblique,
e tra i sarmenti vedo la luce
della luna su sentiero e ruscello.
Canzoni che un tempo ho cantato
riprendo a intonare sommessamente,
di innumerevoli viaggi errabondi
ombre si incrociano sulla mia via.
Vento e neve e vampa assolata
di molti anni risuonano a me,
notti d'estate e azzurri bagliori,
tempesta e di viaggi asperità.
Cotto dal sole ed imbevuto
dalla pienezza di questo mondo
più oltre ancora mi sento attratto
finché il mio cammino sprofondi nel buio.
(Hermann Hesse)
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sabato 28 novembre 2015
E vogliatemi bene, così
-Torino, 14 novembre 1907
Mio caro Guido,
la vostra telepatia che credete così fine s’inganna e vi inganna. Io non ho forse mai pensato tanto a Voi come in questi giorni che per analogia di date mi facevano rivivere le ore del nostro primo incontro. Io piuttosto dubitavo di Voi così a lungo taciturno, sognante in solitudine e in oblio. Che buona cosa è la solitudine che godete Voi fra la natura e il sogno: l’uno che tortura l’altra che blandisce, dolci entrambi alla vostra anima pensosa. È triste invece la mia, la solitudine fra la gente così vicina e così lontana da me, e fra cui è necessario ch'io sia, sempre e dovunque, "quella che va sola". C’è pure, è vero, un’altera dolcezza in questa malinconia ma è una dolcezza amara che fa piangere un poco quando non c’è nessuno che vede. (...) Io sono già al ventiduesimo capitoletto delle mie Seduzioni che mi sembrano ogni giorno meno seducenti. Beato Voi che possedete il dono dell’autocritica! Io mi smarrisco così facilmente tra le perplessità e i dubbi da soffrirne persino incubi notturni. Qualche volta un verso mi tortura durante il sonno in modo da togliermi ogni beneficio di riposo. Mi sveglio affaticata come se avessi ascoltato una conferenza dantesca di Isidoro del Lungo. Le terzine - otto, per due endecasillabi - che mandai a Francesco Chiesa furono da lui giudicate "versi bellissimi, così ben martellati, saldi e snelli"; ma ciò malgrado sono tentata di non lasciarglieli più pubblicare. Mi sembra troppo presto e troppo pretensioso per un lavoro ancora incompiuto. Che ne dite? Una curiosità: la vetrina dell’orafo dinanzi alla quale io rimasi mezz'ora incantata e le cui gemme volli incastonare in quelle mie terzine, fu la stessa sera assalita e svaligiata dai ladri. Vi prego di non denunziarmi all'autorità. Ma è strano: le cose belle attirano i poeti e i ladri. (...) Vedete che anch'io vi parlo di letteratura (passatemi il francesismo) e letterati con uno zelo commovente. Forse tutto questo non vi interessa che ben poco, pure non vorrei parlarvi d’altro perché sono in collera con Voi "calcolatore freddissimo". Cinque giorni, Amico mio, sono ben pochi e ben brevi, e una visita sola è quasi nulla per la nostra amicizia. L’autunno è bello anche a Torino e in certi viali gialli e rossi e verdi si passeggia su le foglie secche e fruscianti come in un sentiero di campagna. Io me li godo, sapete, tutta sola in qualche crepuscolo pallido che infiltra fra la ramaglia un po’ d’oro scolorito e un po’ di rosa vecchio, e penso talvolta con desiderio a un compagno ideale, come Voi, col quale scambiare qualche parola rara fra i passi lenti. E vi rivolgo idealmente una domanda qualsiasi su una pianta, su una nube, su gli occhi di un bimbo che passa per il piacere sottile d'imaginare la vostra risposta, d’indovinarla fra le molte che mi si presentano al pensiero. (...) Non mi sfuggite, Guido, non abbiate paura di me, io non voglio farvi del male. Sarete qui il venticinque? Venite da me il ventisei, senza indugio, portandomi ancora un poco della pura grazia del vostro tiglio verde, e della sua viva freschezza dentro gli occhi e dentro il cuore. Addio, scrivetemi che verrete, non ancora per il viatico della partenza, ma per una comunione d’anime unite in desiderio di serenità e di bene.
E vogliatemi bene, così.
(Amalia Guglielminetti, Lettera a Guido Gozzano)
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martedì 24 novembre 2015
Pasturo, estate 1938
(...) di queste montagne consuete, il sole abbagliante di lassù mi appare come specchiato in un lago placido, piano. Le cose si fanno ricordi, l'amore delle cose nostalgia. Ma è una nostalgia che ha in sé tanta pace: proprio la pace che è nel cuore di chi sta su di una riva e vede il cielo riflesso nell'acqua mite. Sto tanto bene qui: è la casa della mia prima infanzia. E in questa casa ho cominciato a meditare e soffrire. Qui, in questa solitudine di ogni ora, vengono le anime chiare, dei vivi e dei Morti, e la popolano di presenze silenziose. E forse è proprio l'essere qui, in questo raccoglimento di cella che mi riconduce alla più vera me stessa, che ha fatto risalire sulle mie labbra il Suo nome e mi ha dato la forza di spezzare il greve silenzio per tornare a Lei. Tante immagini risorgono, con la dolcezza suasiva del sogno: rivivo una lontana sera, l'assorto silenzio Suo e mio nel vocìo confuso di tante persone ignote; rivedo le sue mani, nel gesto rapido con cui mi donarono alcuni dei Suoi versi più belli - si rammenta? -
"ed esser vorrei - di un grand'albero -
in una oscura sera - la più profonda - radice..."
Come una radice profonda, su dalla terra segreta dell'anima, risale fino ai miei occhi la luce pensosa dei Suoi occhi. E domandarle perdono del mio silenzio cattivo, non oso più, Tullio. Ma ecco, vorrei stringerLe con tanta devozione, le mani e chiederLe (se Lei ancora si ricorda di me, se non le sembra di dover cancellare dalla Sua memoria il mio nome) chiederLe, umilmente, fervidamente, di non ricambiare il mio silenzio, con un altro silenzio, di non togliermi la Sua amicizia e la Sua parola. Posso sperare, posso sognare, Tullio, di averLa ritrovata?
Con tanto affetto, con tanta devozione fedele.
La sua Antonia Pozzi
(Antonia Pozzi, lettera a Tullio Gadenz)
Sono andata a guardare le stelle
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domenica 22 novembre 2015
Il Cervello - è più esteso del Cielo -
Il Cervello - è più esteso del Cielo -
Perché - mettili fianco a fianco -
L'uno l'altro conterrà
Con facilità - e Te - in aggiunta -
Il Cervello è più profondo del mare -
Perché - tienili - Azzurro contro Azzurro -
L'uno l'altro assorbirà -
Come le Spugne - i Secchi - assorbono -
Il Cervello ha giusto il peso di Dio -
Perché - Soppesali - Libbra per Libbra -
Ed essi differiranno - se differiranno -
Come la Sillaba dal Suono -
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The Brain - is wider than the Sky -
For - put them side by side -
The one the other will contain
With ease - and You - beside -
The Brain is deeper than the sea -
For - hold them - Blue to Blue -
The one the other will absorb -
As Sponges - Buckets - do -
The Brain is just the weight of God -
For - Heft them - Pound for Pound -
And they will differ - if they do -
As Syllable from Sound -
(Emily Dickinson)
venerdì 20 novembre 2015
Pensando, mi sono creato eco e abisso
Pensando, mi sono creato eco e abisso. Approfondendomi, mi sono moltiplicato. Il più piccolo episodio - un'alterazione della luce, il cadere contorto di una foglia secca, il petalo che si stacca ingiallito, la voce dall'altra parte del muro o i passi di chi pronuncia quella voce insieme ai passi di chi la deve ascoltare, il portone socchiuso della vecchia tenuta, il patio che si apre con un arco sulle case strette sotto il chiarore della luna - tutte queste cose, che non mi appartengono, imprigionano con corde di risonanza e di nostalgia la mia meditazione sensitiva. In ognuna di codeste sensazioni sono altro, mi rinnovo dolorosamente in ogni impressione indefinita. Vivo di impressioni che non mi appartengono, dissipatore di rinunce, altro nel mio essere io.
(Fernando Pessoa; "Il libro dell'inquietudine")
giovedì 19 novembre 2015
Canonica
(...) Mi sono appoggiato alla fontana ed ho disegnato la casa, con la porta verde, che è la cosa che mi piace maggiormente, e con il campanile dietro. È possibile che abbia fatto la porta più verde di com'è ed abbia allungato il campanile. L'importante è che in questa casa ho trovato, per un quarto d'ora, patria. Per questa casa parrocchiale che ho visto solo da fuori e nella quale non conosco nessuno, un giorno proverò nostalgia come per un vero e proprio paese natale, come per i luoghi nei quali sono stato fanciullo e felice. Perché anche qui, per un quarto d'ora, sono stato fanciullo e sono stato felice.
(Hermann Hesse)
martedì 10 novembre 2015
L'avidità dei miei occhi
Chi sono io, cosa sono, e così via
Non credo di annoiarmi mai. A volte sono un po' spenta; ma ho una capacità di recupero - che ho sperimentata; che sto sperimentando ora per la cinquantesima volta. Devo ancora stare molto attenta alla mia testa: ma d'altra parte, come ho detto oggi a Leonard, mi piace un certo epicureismo sociale; sorseggio e poi chiudo gli occhi per assaporare. Mi godo quasi tutto. Eppure c'è in me qualcuno indefessamente alla ricerca. Perché la vita non offre una scoperta? Qualcosa su cui mettere le mani e dire "Eccolo, l'ho trovato?". La mia depressione è un sentimento opprimente di ansia. Guardo; ma non è quello - non è quello. Cos'è? E morirò prima di poterlo trovare? Poi (mentre camminavo per Russel Square ieri sera) vedo le montagne nel cielo: le grandi nubi; e quella stessa luna che sorge sulla Persia; ho una grande stupefatta sensazione di qualcosa laggiù, che è "quello" - Non è esattamente la bellezza quel che intendo. È che la cosa basta a se stessa: è pacificante, compiuta. C'è anche la sensazione della stranezza del mio camminare sulla terra: della infinita bizzarria della condizione umana; trotterellare per Russel Square con la luna lassù, e quelle nubi come montagne. Chi sono io, cosa sono, e così via: queste domande mi aleggiano sempre intorno; e poi mi scontro con qualche fatto preciso - una lettera, una persona, e vado loro incontro e ritorno a esse con una grande sensazione di freschezza. E così via. Ma nel corso di questo manifestarsi, che è vero, credo, lo incontro spesso, "quello"; e allora mi sento in pace.
(Virginia Woolf - 27 Febbraio 1926)
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lunedì 9 novembre 2015
...e tenerla così, un giorno dopo l'altro
Così passano i giorni, e talvolta mi chiedo se non si resti ipnotizzati dalla vita, come un bambino da una sfera d'argento; e se questo sia vivere. È molto intenso, luminoso, eccitante. Ma superficiale forse. Mi piacerebbe prendere quella sfera tra le mani e sentirla con calma: tonda, liscia, pesante. E tenerla così, un giorno dopo l'altro.
(Virginia Woolf - 28 Novembre 1928)
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venerdì 6 novembre 2015
Non so perché sento che mi andate dimenticando...
-Il Meleto, 12 novembre 1907
Amalia, mia cara Amica,
Non so perché sento che mi andate dimenticando, nonostante l’offerta recente dei tre pensieri. In questi giorni dovete aver pensato poco a me: sento questo per quella telepatia psichica che si acutizza morbosamente nella solitudine. Perché sono solo, unico superstite del Meleto. Mio fratello è in collegio, mia Madre è via da più settimane ed io sono qui con l’ultime foglie. Le voglio vedere cadere tutte prima d’"inurbarmi": e ce ne sono ancora tante! sul frutteto, sul pergolato a zone di porpora e d’oro... D’innanzi a me, nel quadrato della finestra c’è un tiglio che quest’anno non vuole ingiallire: è ancora intatto, tutto verde, come la Speranza; credo che la prima neve lo troverà con tutte le sue foglie... Io e quel tiglio ci somigliamo un poco. (...) E Voi? Che fate? "fare bisogna, fare bisogna". Dov'è che lessi questo? Ah! Sì! Nella "Fiaccola" d’annunziana. Siete l’unica donna dalla quale la Poesia (parlo d’Arte) attende un nuovo ornamento e dovete pensare ad ogni risveglio, non senza panico, alla responsabilità intellettuale che grava sulla vostra piccola mano. Io mi sento ogni giorno più borghese e primitivo. Forse è il metodo di vita e l’ambiente al quale sono condannato da tanti mesi (e sarò per tanti ancora) forse è un naturale fenomeno inesplicabile della mia sostanza psichica, il fatto si è che mi sento diventare piccolo come l’ideale d’un ricevitore del registro in un borgo di montagna. E sia pure se "questo deve essere". (...) Ma che lettera savia, nevvero? Sono al quarto cartoncino e non v’ho parlato che di letteratura. È un buon sintomo, sapete, per la mia pace; è segno che risorge in Voi il buon compagno d’arte, il buon fratello di sogni, e che la bellissima creatura è già un poco annebbiata agli occhi miei, già innocua, confinata nel rettangolo della fotografia. Così non sarebbe stato se fossi rimasto a Torino. Ma io sono un grande egoista e un freddissimo calcolatore e a Torino non mi fermerò quasi. Mi fermerò il tempo necessario per rifornirmi dal sarto e dal libraio e per baciarvi una volta le mani, se me lo permetterete. Sarò in riviera al 1° di Dicembre (ho già fissata ogni cosa) e ne ritornerò a Giugno, per la montagna. Dimodoché noi non saremo concittadini che fra un anno e più. È bene, sapete, è molto bene. Vi siete mai domandata ciò che succederebbe se io non dovessi esiliarmi? Io sì. Succederebbe più o meno questo. Un giorno, un bel giorno, io sarei a casa vostra, nel vostro salotto, con Voi. Sarebbe un crepuscolo, un crepuscolo della prima primavera, in febbraio, mettiamo. Da molte ore io sarei con Voi; avremmo parlato molto, avremmo esaurito ogni pretesto non volgare di conversazione. Da qualche istante si tacerebbe. L’ombra si farebbe più densa. Voi vi alzereste per accendere il lume. Io vi pregherei di no, vi tratterrei seduta col gesto. Si farebbe notte, più notte, nel quadrato della finestra, rabescato dalle cortine, il vostro profilo apparirebbe appena... Solo a tratti, l’asta scintillante d’un carrozzone elettrico illuminerebbe la penombra per un secondo. E in quel secondo il vostro volto apparirebbe e scomparirebbe come una visione non sostenibile. Allora io - che avrei le vostre mani nelle mie mani - crederei di sognare, e inconscio irresponsabile come in un sogno, mi chinerei sulle vostre dita, salirei lungo le falangi con le labbra, fino a mordervi le vene del polso. Voi mi sollevereste la fronte, dicendomi con rampogna indulgente: "Stiamo savi!" Ma, per un evento sciagurato, il mio volto sollevandosi si troverebbe all'altezza della vostra spalla; io, nell'ombra, non me ne accorgerei: e credendo di abbandonare la guancia contro la spalliera del divano, incontrerei invece la mollezza d’una trina o il gelo d’una catenella. Istintivamente, sempre come in sogno, la mia bocca si troverebbe dietro il vostro orecchio; alla radice dei capelli fini, e vi morderei alla nuca (il morso è il mio vizio preferito)... Allora Voi vi alzereste di scatto, accendereste il lume: e due cose potrebbero accadere. O mi fareste accomiatare dalla vostra donna, come nelle commedie, col tradizionale "accompagna il Signore". E resterei male. O mi perdonereste dopo lunghe condizioni. E resterei male, ugualmente. Al 1° di Dicembre v’ho detto, sono a Genova, ai 25 c.m. sono a Torino. Nell’intervallo mi concedete di venire a prendere il viatico dalle vostre mani sotto le specie di una tazza di the?
Addio.
Guido vostro affezionatissimo
(Guido Gozzano, Lettera ad Amalia Guglielminetti)
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mercoledì 4 novembre 2015
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lunedì 2 novembre 2015
Inno alla Bellezza
Vieni, o Bellezza, dal profondo cielo
o sbuchi dall'abisso? Infernale e divino
versa insieme, confusi, carità e delitto
il tuo sguardo: assomigli, in questo, al vino.
versa insieme, confusi, carità e delitto
il tuo sguardo: assomigli, in questo, al vino.
Racchiudi nei tuoi occhi alba e tramonto. Esali
profumi come un temporale a sera.
Sono un filtro i tuoi baci, la tua bocca un'ampolla
che l’eroe fanno vile e il fanciullo ardito.
Sono un filtro i tuoi baci, la tua bocca un'ampolla
che l’eroe fanno vile e il fanciullo ardito.
Esci dal gorgo nero o discendi dagli astri?
Il Destino, innamorato, ti segue come un cane;
sémini capricciosa felicità e disastri,
disponi di tutto, non rispondi di niente.
sémini capricciosa felicità e disastri,
disponi di tutto, non rispondi di niente.
Cammini, Bellezza, su morti, e di loro sorridi;
fra i tuoi gioielli l’Orrore non è il meno attraente
e, in mezzo ai tuoi gingilli preferiti, l’Assassinio
danza amorosamente sul tuo ventre orgoglioso.
e, in mezzo ai tuoi gingilli preferiti, l’Assassinio
danza amorosamente sul tuo ventre orgoglioso.
Abbagliata l’effimera s’abbatte in te candela
e crepita bruciando e la tua fiamma benedice.
Così, chino fremente sul suo amore, chi ama
sembra un moribondo che accarezza la sua tomba.
Così, chino fremente sul suo amore, chi ama
sembra un moribondo che accarezza la sua tomba.
Che importa che tu venga dall'inferno o dal cielo,
o mostro enorme, ingenuo, spaventoso!
se grazie al tuo sorriso, al tuo sguardo, al tuo piede
penetro un Infinito che ignoravo e che adoro?
se grazie al tuo sorriso, al tuo sguardo, al tuo piede
penetro un Infinito che ignoravo e che adoro?
Che importa se da Satana o da Dio? se Sirena
o Angelo, che importa? se si fanno per te
- fata occhi-di-velluto, ritmo, luce, profumo, mia regina -
meno orrendo l’universo, meno grevi gli istanti?
meno orrendo l’universo, meno grevi gli istanti?
(Charles Baudelaire)
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