Fiorire è il fine - chi passa un fiore con uno sguardo distratto stenterà a sospettare le circostanze coinvolte in quel luminoso fenomeno costruito in modo così intricato e poi offerto, come una farfalla al mezzogiorno
domenica 25 gennaio 2015
Si faccia una vita interiore
Abisso
Guardo il Tago in modo tale
che guardando dimentico di guardare,
e d’improvviso ciò mi getta
in braccio al vaneggiare-
cos’è essere-fiume, e scorrere?
Cos’è il mio starlo a guardare?
Sento, d’improvviso, poco,
vacuo, il momento, il luogo.
Tutto d’improvviso è vano –
anche il mio stare pensando.
Tutto – io e il mondo intorno –
È più che esteriore.
Perde tutto l’essere, restare,
e svanisce dal mio pensare.
Resto senza poter legare
con nome Essere, idea, anima
a me, alla terra e ai cieli…
E d’improvviso incontro Dio.
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Olho o Tejo, e de tal arte
Que me esquece olhar olhando,
E súbito isto me bate
De encontro ao devaneando —
O que é sério, e correr?
O que é está-lo eu a ver?
Sinto de repente pouco,
Vácuo, o momento, o lugar.
Tudo de repente é oco —
Mesmo o meu estar a pensar.
Tudo — eu e o mundo em redor —
Fica mais que exterior.
Perde tudo o ser, ficar,
E do pensar se me some.
Fico sem poder ligar
Ser, idéia, alma de nome
A mim, à terra e aos céus…
E súbito encontro Deus.
(Fernando Pessoa)
Perquisite il mio taschino
(...)
Perquisite il mio taschino
Vi troverete piume in funzione di uccello
briciole in cerca di pane tarlate divinità
frasi d'amore eterno senza
carta d'imbarco
e gli occulti sentieri delle onde.
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Registrad mi bolsillo
Encontraréis en él plumas en virtud de pájaro
migas en busca de pan dioses apolillados
palabras de amor eterno sin
carta de aterrizaje
y la escondida senda de las olas.
(Gererdo Diego)
(Gererdo Diego)
C’è una foresta vergine in ciascuno di noi
Gli esseri umani non procedono tenendosi per mano per tutto il cammino della vita. C’è una foresta vergine in ciascuno di noi, un campo di neve dove anche l’impronta delle zampe d’uccello è sconosciuta. Qui ci addentriamo da soli e preferiamo che sia così. Avere sempre la solidarietà, essere sempre accompagnati, essere sempre compresi, sarebbe intollerabile.
(Virginia Woolf)
Per un istante d'estasi
Per un istante d'estasi
noi paghiamo in angoscia
una misura esatta e trepidante
proporzionata all'estasi.
Per un'ora diletta
compensi amari d'anni,
centesimi strappati con dolore,
scrigni pieni di lacrime.
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For each ecstatic instant
We must an anguish pay
In keen and quivering ratio
To the ecstasy.
For each beloved hour
Sharp pittances of years,
Bitter contested farthings
And coffers heaped with tears.
(Emily Dickinson)
sabato 24 gennaio 2015
La crocetta d'oro
martedì 20 gennaio 2015
E se un epitaffio dovesse esser la mia storia
Le anime dolci e pacifiche
Le anime dolci e pacifiche in cui la collera è impossibile, che vogliono far regnare attorno a sé la loro profonda pace interiore, sanno esse sole quanta forza sia necessaria per tali lotte, quali abbondanti fiotti di sangue affluiscono al cuore prima di intraprendere il combattimento, quale stanchezza si impadronisca dell'essere loro quando dopo aver lottato, nulla è raggiunto.
(Honoré de Balzac)
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House of Neptune and Amphitrite at Herculaneum
lunedì 19 gennaio 2015
Se avess'io
Monologo del Non so
Io non so se questa mia vita sta spianata su un
buco vuoto. Non so se il silenzio che indago
è intrecciato alla mia sostanza molle.
Io non so se quello che cerco e ho cercato e
cercherò, non so se quello che cerco
è un insulto a quel vuoto.
Non so se questo fatto di non avere
un paio d’ali sia premio o castigo,
io non so se la polveriera
della mia inquietudine sia un trono
su cui mi siedo minacciato, se la fuga che
a scatti regolari mi pungola, se quel
puerile sogno di fuga sia uno sgambetto
d’angelo, d’un buffone d’angelo che
mi vuole inciampare.
Io non so se l’amore sia una guerra o una tregua,
non so se l’abbandono d’amore
sia una legge che la vita cuce fino al
ricamo finale. Io non so
che farmene di questi nemici che premono,
non so che farmene oggi di questo oggi
e me lo ciondolo fra le dita perplesse,
non so parlare quello che
è sentito nel profondo me, non so parlarlo
quell’essere che è qui presente fra le vite degli
altri.
Io non so spiegarmi l’imperturbabilità
di Dio, e non mi spiego di non udire il
suo grave lamento, il suo urlo di collera o
d’amore, e non so vederlo che sono in cecità
ma vorrei sentirlo almeno piangere come piango io
guardando le facce indolorate, guardando le
facce con grave malattia terrestre,
io non so invocarlo né bestemmiarlo che
è troppo nella sottrazione e troppo
astratto per i miei chili umani.
Io non so forse non voglio
consegnarmi negli uffici del mondo,
e stare buono nelle sale d’aspetto della
vita. Io non so nient’altro
che la vita e molte nuvole intorno che
me la confondono me la confondono e non
so cosa aspetto, cosa sto aspettando in questo
sporgermi al tempo che viene. Io non so
e vorrei, vorrei, non so stare
fuori misura, fuori misura umana,
fuori da questa taglia finita.
Io non so perché guardando l’acqua del mare
mi salta in petto una gioia di figlio con la
madre. Non so se questa uscita mia in un secolo
a caso, se questo essere qui a casaccio,
io non so spiegarmi questa malattia
all’attacco del mondo, non so guarire
questa malattia che indolora e vorrei
sistemare ogni cosa, in un sogno puerile di
tregua, in un’arcadia anche retorica,
in un dormire abbracciato dei guerrieri
che si innamorano.
Io non ho capito e dovrei,
non ho capito il mondo della
vita, io non ho capito la legge sottostante
e non ho da fare la consegna a
questi cuccioli che aspettano, che esigono
da me l’aver capito.
Io non so la canzone
che spensiera e non so soccorrervi
non so pur volendolo
con quella forza di cagna
che dà il latte, non so soccorrervi nel vostro
sbando, io non so farvi da balsamo
io non so mettervi nel coraggio essenziale,
nello slancio, nel palpito.
Il mio Graal l’ho ritrovato e perso cento
volte.
Io non so se la bellezza è questa accademia di
centimetri, se la bellezza, la bellezza è questa
carnevalesca decadenza di saltimbanchi,
io non mi spiego la crocifissione
della grazia, e non mi spiego perché
mi trovo qui, in questo covo rivoltato
in questa fossa con gli orchi attuali
in questo lato barbarico della specie,
e non so perché stando ad occidente non si
ode quell’alleluia delle cose.
Io non so se in questa schiena
senza ali ci son grandi pianure da cui fare
il decollo, se in questa spina dorsale
ci sono istruzioni
per la manovra di decollo, se sono io la freccia
di questo arco della schiena, se sono io
arco e freccia, non so in quale mano
non mano o zampa di Dio mi stanno
torchiando, e sottoponendo al duro
allenamento dei dolori terrestri.
Io non so se la solitudine, se quello
strazio chiamato solitudine, se quell’andare
via dei corpi cari, se quel restare soli
dei vivi, io non so se quel lamento della
solitudine, se quel portarci via le facce
se quel loro sparire
di facce che avevamo dentro il respiro, non so
se il dono sia questo portarci via le
carezze, questa slacciatura.
È poco il poco che so e di questo
poco io chiedo perdono. Io chiedo
perdono per quello che so, perdono io chiedo
per tutto quello che so.
(Mariangela Gualtieri)
sabato 17 gennaio 2015
Ciò che mi sta a cuore è altrove
Dovunque vada, lo stesso senso di non appartenenza, di gioco inutile e idiota, di menzogna, non negli altri, ma in me: fingo di interessarmi a cose di cui non m'importa niente, recito costantemente un ruolo per ignavia o per salvare le apparenze; ma non partecipo: ciò che mi sta a cuore è altrove. Proiettato fuori dal paradiso, dove potrei trovare il mio posto, una casa? Deluso, mille volte deluso. C'è in me qualcosa come un osanna folgorato, inni ridotti in polvere, un'esplosione di rimpianti. Uno per cui quaggiù non c'è patria.
(Emil Cioran)
mercoledì 14 gennaio 2015
Non voglio fare nulla
Membri di un universo ufficiale, dobbiamo occuparvi un posto, in virtù di un destino rigido, che non si allenta se non in favore dei folli; essi, almeno, non sono costretti ad avere una fede, ad aderire ad un'istituzione, a sostenere un'idea, a perseguire un'iniziativa. Da quando la società si è costituita, coloro che hanno voluto sottrarvisi sono stati perseguitati e scherniti. Vi si perdona tutto purché abbiate un mestiere, una qualifica sotto il vostro nome, un sigillo sul vostro nulla. Nessuno ha l'audacia di esclamare "non voglio fare nulla" - si è più indulgenti con un assassino che con uno spirito affrancato dagli atti. Moltiplicare la possibilità di sottomissione, rinunciare alla propria libertà, uccidere in sé il vagabondo: così l'uomo ha raffinato la propria schiavitù e si è infeudato ai fantasmi. Uscito dalle caverne, ne ha conservato la superstizione, era loro prigioniero, ne è divenuto l'architetto.
(Emil Cioran)
lunedì 12 gennaio 2015
Il mare
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Byclette Vesinet
Per un momento posseggo la libertà
La libertà è la possibilità dell'isolamento. Sei libero se puoi allontanarti dagli uomini senza che ti obblighi a cercarli il bisogno di denaro, o il bisogno gregario, o l'amore, o la gloria, o la curiosità, che non si addicono al silenzio e alla solitudine. Se è impossibile per te vivere da solo, sei nato schiavo. Puoi avere ogni grandezza, ogni nobiltà d'animo: sei uno schiavo nobile, o un servo intelligente; non sei libero. E la tragedia non ti riguarda, perché la tragedia del fatto che tu sia nato così non riguarda te ma riguarda soltanto il Destino. Povero te, però, se l'oppressione della vita ti obbliga ad essere schiavo. Povero te se, nonostante tu sia nato libero, capace di bastare a te stesso e di appartarti, la necessità ti costringe a convivere. Questa è la tua tragedia, la tragedia che porti con te. Il fatto di nascere libero è la maggiore grandezza dell'uomo, ciò che rende l'umile eremita superiore ai re e addirittura agli dèi, che sono sufficienti a se stessi per la forza, ma non per il disprezzo di essa. Stanco, chiudo le imposte delle finestre, escludo il mondo e per un momento posseggo la libertà. Domani sarò di nuovo schiavo; ma ora, solo, senza bisogno di nessuno, con l'unico timore che una voce o una presenza vengano a interrompermi, ho la mia piccola libertà, i miei momenti eccelsi. Seduto su questa sedia, dimentico la vita che mi opprime. E mi addolora soltanto il fatto che essa mi abbia addolorato.
(Fernando Pessoa; "Il libro dell'inquietudine")
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martedì 6 gennaio 2015
Biglietto lasciato prima di non andare via
lunedì 5 gennaio 2015
Ho agitato le acque della conversazione
domenica 4 gennaio 2015
L'angoscia
Natura, niente di te mi sommuove, né i campi
generosi, né l’eco vermiglia delle pastorali
siciliane, né gli sfarzi aurorali,
né la dolente solennità dei tramonti.
Rido dell’Arte, rido anche dell'Uomo, dei canti,
dei versi, dei templi greci e delle torri a spirale
che le cattedrali tendono nel cielo vuoto,
e guardo col medesimo occhio buoni e cattivi.
Non credo in Dio, abiuro e rinnego
ogni pensiero, e quanto alla vecchia ironia,
l’Amore, vorrei che non me se ne parlasse più.
Stanca di vivere, con la paura di morire, simile
al vascello perduto in balia dei flutti,
la mia anima salpa per orrendi naufragi.
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Nature, rien de toi ne m’émeut, ni les champs
Nourriciers, ni l’écho vermeil des pastorales
Siciliennes, ni les pompes aurorales,
Ni la solennité dolente des couchants.
Je ris de l’Art, je ris de l’Homme aussi, des chants,
Des vers, des temples grecs et des tours en spirales
Qu’étirent dans le ciel vide les cathédrales,
Et je vois du même oeil les bons et les méchants.
Je ne crois pas en Dieu, j’abjure et je renie
Toute pensée, et quant à la vieille ironie,
L’Amour, je voudrais bien qu’on ne m’en parlât plus.
Lasse de vivre, ayant peur de mourir, pareille
Au brick perdu jouet du flux et du reflux,
Mon âme pour d’affreux naufrages appareille.
(Paul Verlaine)
La capra
Ho parlato a una capra.
Era sola sul prato, era legata.
Sazia d'erba, bagnata
dalla pioggia, belava.
Quell'uguale belato era fraterno
al mio dolore. Ed io risposi, prima
per celia, poi perché il dolore è eterno,
ha una voce e non varia.
Questa voce sentiva
gemere in una capra solitaria.
In una capra dal viso semita
sentiva querelarsi ogni altro male,
ogni altra vita.
(Umberto Saba)
sabato 3 gennaio 2015
Forse questo è il piacere più intenso che io conosca
Forse è la mia capacità di ricevere scosse che fa di me una scrittrice. Posso azzardare la spiegazione che ad ogni scossa nel mio caso segue immediatamente il desiderio di spiegarla. Lo sento, il colpo, ma non è più, come credevo da bambina, un colpo sferrato da un nemico nascosto dietro l’ovatta della vita. È, o diventerà, la rivelazione di un altro ordine. È un segno di qualcosa di reale che si cela dietro le apparenze, e sono io che lo rendo reale esprimendolo in parole. Solo con l’esprimerlo in parole gli conferisco unità, e questa unità significa che ha perduto il potere di farmi del male. Forse questo è il piacere più intenso che io conosca. È l’ebbrezza che provo quando scrivendo mi sembra di scoprire collegamenti precisi.
(Virginia Woolf)
Il sogno ad occhi aperti
Vale la pena di essere matto
Nella primavera del 1937, mentre passeggiavo nel parco dell'ospedale psichiatrico di Sibiu, in Transilvania, un "pensionante" mi avvicinò. Scambiammo due parole, io gli dissi: "Si sta bene qui". "Certo. Vale la pena di essere matto" mi rispose. "Ma lei è pur sempre in una specie di carcere". "Si, forse, ma qui si vive senza la minima preoccupazione. Per di più la guerra si avvicina, lo sa quanto me. Questo posto è sicuro. Non c'è richiamo alle armi, e poi nessuno bombarda un asilo di alienati. Al suo posto mi farei internare subito". Turbato, meravigliato, lo lasciai, e cercai di sapere qualcosa di più su di lui. Mi assicurarono che era realmente folle. Folle o no, nessuno mi ha mai dato consiglio più ragionevole.
(Emil Cioran)
giovedì 1 gennaio 2015
Anno, portami lontano
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Carlo Levi,
Friedrich Wilhelm Schadow
Ode al primo giorno dell’anno
Lo distinguiamo dagli altri come se fosse un cavallino
diverso da tutti i cavalli.
Gli adorniamo la fronte
con un nastro,
gli posiamo sul collo sonagli colorati,
e a mezzanotte
lo andiamo a ricevere
come se fosse
un esploratore che scende da una stella.
Come il pane assomiglia
al pane di ieri,
come un anello a tutti gli anelli: i giorni
sbattono le palpebre
chiari, tintinnanti, fuggiaschi,
e si appoggiano nella notte oscura.
Vedo l'ultimo giorno
di questo
anno
in una ferrovia, verso le piogge
del distante arcipelago violetto,
e l'uomo
della macchina,
complicata come un orologio del cielo,
che china gli occhi
all'infinito
modello delle rotaie,
alle brillanti manovelle,
ai veloci vincoli del fuoco.
Oh conduttore di treni
sboccati
verso stazioni
nere della notte.
Questa fine dell'anno
senza donna e senza figli,
non è uguale a quello di ieri, a quello di domani?
Dalle vie e dai sentieri
il primo giorno, la prima aurora
di un anno che comincia,
ha lo stesso ossidato
colore di treno di ferro:
e salutano gli esseri della strada,
le vacche, i villaggi,
nel vapore dell'alba,
senza sapere che si tratta
della porta dell'anno,
di un giorno scosso da campane,
fiorito con piume e garofani.
La terra non lo sa: accoglierà questo giorno
dorato, grigio, celeste,
lo dispiegherà in colline
lo bagnerà con frecce
di trasparente pioggia
e poi lo avvolgerà
nell’ombra.
Eppure
piccola porta della speranza,
nuovo giorno dell’anno,
sebbene tu sia uguale agli altri
come i pani
a ogni altro pane,
ci prepariamo a viverti in altro modo,
ci prepariamo a mangiare, a fiorire,
a sperare.
Ti metteremo come una torta
nella nostra vita,
ti infiammeremo
come un candelabro,
ti berremo
come un liquido topazio.
Giorno dell'anno nuovo,
giorno elettrico, fresco,
tutte le foglie escono verdi
dal tronco del tuo tempo.
Incoronaci
con acqua,
con gelsomini aperti,
con tutti gli aromi spiegati,
sì,
benché tu sia solo un giorno,
un povero giorno umano,
la tua aureola palpita
su tanti cuori stanchi
e sei,
oh giorno nuovo,
oh nuvola da venire,
pane mai visto,
torre permanente!
(Pablo Neruda)
(Pablo Neruda)
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