sabato 15 novembre 2014

Continuo a esistere quaggiù

Ho di nuovo smesso di fumare. La notte scorsa mi sono svegliato con un tale odio per il tabacco che, quando mi sono alzato, ho distrutto l'ultimo pacchetto di sigarette che avevo, il bocchino e tutto il piccolo arsenale della più grottesca intossicazione che esista. Inutile cercare di togliersi un'abitudine con la volontà; si smette solo quando si arriva al punto di saturazione, alla nausea e all'esasperazione. Si trionfa solo di ciò che si odia, dopo averlo amato.
...
Continuo a esistere quaggiù perché il mio orrore del mondo è insufficiente e non del tutto sincero.


(Emil Cioran)

martedì 11 novembre 2014

Un no più grande

Possiamo vivere come vivono gli altri e tuttavia nascondere un no più grande del mondo: è l'infinito della malinconia…

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Nous pouvons vivre comme les autres vivent et pourtant cacher un non plus grand que le monde : c'est l'infini de la melancolie...


(Emil Cioran)

Storia della notte

Lungo il tempo delle generazioni
Gli uomini eressero la notte.
Era al principio cecità e sonno
E spine che lacerano il piede nudo

E la paura dei lupi.
Mai sapremo chi forgiò la parola
Per l'intervallo d'ombra
Che divide i due crepuscoli;
Mai sapremo in che secolo fu cifra
Dello spazio stellato.
Altri generarono il mito.
La fecero madre delle parche tranquille
Che tessono il destino
E le sacrificavano pecore nere
E il gallo che ne annuncia la fine.
Dodici case le diedero i caldei;
Infiniti mondi, il portico.
Esametri latini la modellarono
E il terrore di Pascal.
Luis de Léon vide in essa la patria
Della sua anima trasalita.
Ora la sentiamo inesauribile
Come un antico vino
E nessuno può contemplarla senza vertigine
E il tempo l'ha affollata d'eternità.


E pensare che non esisterebbe
Senza questi tenui strumenti, gli occhi.

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A lo largo de sus generaciones
los hombres erigieron la noche.
En el principio era ceguera y sueño
y espinas que laceran el pie desnudo
y temor de los lobos.
Nunca sabremos quién forjó la palabra
para el intervalo de sombra
que divide los dos crepúsculos;
nunca sabremos en qué siglo fue cifra
del espacio de estrellas.
Otros engendraron el mito.
La hicieron madre de las Parcas tranquilas
que tejen el destino
y le sacrificaban ovejas negras
y el gallo que presagia su fin.
Doce casas le dieron los caldeos;
infinitos mundos, el Pórtico.
Hexámetros latinos la modelaron
y el terror de Pascal.
Luis de León vio en ella la patria
de su alma estremecida.
Ahora la sentimos inagotable
como un antiguo vino
y nadie puede contemplarla sin vértigo
y el tiempo la ha cargado de eternidad.

Y pensar que no existiría
sin esos tenues instrumentos, los ojos.


(Jorge Luis Borges)

domenica 9 novembre 2014

Alfabeto del mondo

Invano mi attardo a decifrare
l'alfabeto del mondo.
Leggo nelle pietre un oscuro singhiozzo,
echi soffocati tra torri e palazzi,
grazie al tatto indovino la terra
piena di fiumi, paesaggi e colori,
ma quando li copio mi sbaglio sempre.
Per scrivere devo aggrapparmi a una linea
sul libro dell'orizzonte.
Disegnare il miracolo di quei giorni
che galleggiano avvolti nella luce
e si liberano in canti di uccelli.
Quando in strada gli uomini che oscillano
dal rancore alla fatica, cavillosi,
mi si rivelano più che mai innocenti.
Quando il baro, il furfante, l'adultera,
i martiri dell'oro o dell'amore
sono soltanto segnali che non ho saputo leggere,
che ancora non riesco ad annotare nel mio quaderno.
Quanto vorrei che almeno per un istante
questa pagina febbricitante di poesia
incidesse ogni lettera nella sua trasparenza:
la o del ladro, la t del santo
il gotico dittongo del corpo e del suo desiderio,
con la stessa scrittura del mare sulle sabbie,
la stessa cosmica pietà
che la vita distende davanti ai miei occhi.


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En vano me demoro deletreando
el alfabeto del mundo.
Leo en las piedras un oscuro sollozo,
ecos ahogados en torres y edificios,
indago la tierra por el tacto
llena de ríos, paisajes y colores,
pero al copiarlos siempre me equivoco.
Necesito escribir ciñéndome a una raya
sobre el libro del horizonte.
Dibujar el milagro de esos días
que flotan envueltos en la luz
y se desprenden en cantos de pájaros.
Cuando en la calle los hombres que deambulan
de su rencor a su fatiga, cavilando,
se me revelan más que nunca inocentes.
Cuando el tahúr, el pícaro, la adúltera,
los mártires del oro o del amor
son sólo signos que no he leído bien,
que aún no logro anotar en mi cuaderno.
Cuánto quisiera al menos un instante
que esta plana febril de poesía
grabe en su transparencia cada letra:
la o del ladrón, la t del santo
el gótico diptongo del cuerpo y su deseo,
con la misma cósmica piedad
que la vida despliega ante mis ojos.


(Eugenio Montejo)

venerdì 7 novembre 2014

Pausa

Mi pareva che questa giornata
senza te
dovesse essere inquieta,
oscura. Invece è colma
di una strana dolcezza, che s'allarga
attraverso le ore -
forse com'è la terra
dopo uno scroscio,
che resta sola nel silenzio a bersi
l'acqua caduta
e a poco a poco
nelle più fonde vene se ne sente
penetrata.

La gioia che ieri fu angoscia,
tempesta -
ora ritorna a brevi
tonfi sul cuore,
come un mare placato:
al mite sole riapparso brillano,
candidi doni,
le conchiglie che l'onda
lasciò sul lido.


(Antonia Pozzi)

La timidezza

La timidezza è fonte inesauribile di disgrazie nella vita pratica, eppure è la causa diretta, anzi unica, di ogni ricchezza interiore.


(Emil Cioran)

Che cos’è l’inferno?

Che cos’è l’inferno? - chiesi.

Amare
Senza eco,

Chiedere
Senza una risposta,

Scrivere
Senza avere lettori,

Dormire
Senza che nessuno riempia i tuoi sogni,

Fare voti
Senza che ci siano dei,

Avere una chiave
E non avere casa,

Aprire la mano
E non trovare una donna che la legga.


(Ahmed Al-Shahawi)

Autumn Leaves


giovedì 6 novembre 2014

La sentenza

Ed è caduta la parola di pietra
sul mio petto ancor vivo.
Non è nulla, vi ero preparata,
ne verrò a capo in qualche modo.

Ho molto da fare, oggi:
bisogna uccidere fino in fondo la memoria,
bisogna che l’anima si pietrifichi,
bisogna di nuovo imparare a vivere,

se no… L’ardente stormire dell’estate,
come una festa oltre la finestra.
Da tempo avevo presentito questo
giorno radioso e la casa vuota.


(Anna Achmatova)

La solitudine

La solitudine, sì, la solitudine! La conosci tu la solitudine? Sì, quella dei poeti e degli impotenti. La solitudine? Quale solitudine? Ma non lo sai che non si è mai soli? E che dovunque ci portiamo addosso tutto il peso del nostro passato e anche quello del nostro futuro? Tutti quelli che abbiamo ucciso sono sempre con noi. E fossero solo loro, poco male. Ma ci sono anche quelli che abbiamo amato, quelli che non abbiamo amato e ci hanno amato, il rimpianto, il desiderio, il disincanto e la dolcezza, le puttane e la banda degli dei! Solo! Ah, se soltanto potessi godere la vera solitudine, non questa mia solitudine infestata di fantasmi, ma quella vera, fatta di silenzio e tremore d’alberi — sentire tutta l’ebbrezza del flusso del mio cuore. La solitudine! Ma no, Scipione. La solitudine risuona di denti che stridono, chiasso, lamenti perduti.


(Albert Camus; "Caligola")

domenica 2 novembre 2014

La poesia

La poesia attraversa la terra in solitudine,
appoggia la sua voce sul dolore del mondo
e niente chiede
- nemmeno parole.

Arriva da lontano e senza orario, non avverte mai;
ha la chiave della porta.
Entrando si sofferma sempre ad osservarci.
Poi apre la sua mano e ci offre
un fiore o un ciottolo, qualcosa di segreto,
ma tanto intenso che il cuore palpita
troppo veloce. E ci svegliamo.

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La poesía cruza la tierra sola,
apoya su voz en el dolor del mundo
y nada pide
- ni siquiera palabras.

LLega de lejos y sin hora, nunca avisa;
tiene la llave de la puerta.
Al entrar siempre se detiene a mirarnos.
Después abre su mano y nos entrega
una flor o un guijarro, algo secreto,
pero tan intenso que el corazón palpita
demasiado veloz. Y despertamos.


(Eugenio Montejo)

Le finestre

Chi guarda da fuori attraverso una finestra aperta non vede mai tante cose quante ne vede chi guarda una finestra chiusa. Non c'è oggetto più profondo, più misterioso, più fecondo, più tenebroso, più abbagliante di una finestra illuminata da una candela. Ciò che si può vedere alla luce del sole è sempre meno interessante di quello che avviene dietro un vetro. In questo buco nero o luminoso, vive la vita, sogna la vita, soffre la vita.

Al di là delle onde dei tetti, scorgo una donna matura, povera, già invecchiata, sempre curva su qualcosa, che non esce mai. Con il suo viso, il suo vestito, i suoi gesti, senza sapere quasi niente, io ripercorro la storia, o piuttosto la leggenda, di questa donna, e a volte la racconto a me stesso piangendo.

Se fosse stato un povero vecchio, avrei ricostruito la sua altrettanto facilmente.

Così me ne vado a letto, fiero di aver vissuto e sofferto per qualcuno che non sono io.

Forse mi direte: "Sei proprio sicuro che la leggenda sia quella vera?". Ma che cosa importa la realtà, se la mia leggenda mi ha aiutato a vivere, a sentire che io sono, e ciò che sono?

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Celui qui regarde du dehors à travers une fenêtre ouverte, ne voit jamais autant de choses que celui qui regarde une fenêtre fermée. Il n’est pas d’objet plus profond, plus mystérieux, plus fécond, plus ténébreux, plus éblouissant qu’une fenêtre éclairée d’une chandelle. Ce qu’on peut voir au soleil est toujours moins intéressant que ce qui se passe derrière une vitre. Dans ce trou noir ou lumineux vit la vie, rêve la vie, souffre la vie.

Par delà des vagues de toits, j’aperçois une femme mûre, ridée déjà, pauvre, toujours penchée sur quelque chose, et qui ne sort jamais. Avec son visage, avec son vêtement, avec son geste, avec presque rien, j’ai refait l’histoire de cette femme, ou plutôt sa légende, et quelquefois je me la raconte à moi-même en pleurant.

Si c’eût été un pauvre vieux homme, j’aurais refait la sienne tout aussi aisément.

Et je me couche, fier d’avoir vécu et souffert dans d’autres que moi-même.

Peut-être me direz-vous :  « Es-tu sûr que cette légende soit la vraie ? » Qu’importe ce que peut être la réalité placée hors de moi, si elle m’a aidé à vivre, à sentir que je suis et ce que je suis ?


(Charles Baudelaire; "Lo spleen di Parigi")