domenica 18 dicembre 2016

Nostalgia

Quando
la notte è a svanire 
poco prima di primavera
e di rado
qualcuno passa

Su Parigi s'addensa 
un oscuro colore
di pianto

In un canto
di ponte
contemplo
l'illimitato silenzio
di una ragazza
tenue

Le nostre
malattie
si fondono

E come portati via
si rimane


(Giuseppe Ungaretti)

mercoledì 7 dicembre 2016

Si vorrebbe essere un balsamo...

Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite.


(Etty Hillesum; "Diario")

In fondo, io non ho paura

- 27 febbraio 1942, venerdì mattina, le dieci.

Mi sembra presuntuoso affermare che un uomo possa determinare il proprio destino dall'interno. Quel che invece un uomo ha in mano è il proprio orientamento interiore verso il destino.  I fatti esterni non bastano per capire la vita di una persona: bisogna conoscerne i sogni, il rapporto con la famiglia, gli stati d'animo, le delusioni, la malattia e la morte. (...) Mercoledì mattina presto, quando con un gruppo numeroso ci siamo trovati in quel locale della Gestapo, i fatti delle nostre vite erano tutti uguali: eravamo tutti nello stesso ambiente, gli uomini dietro la scrivania come quelli che venivano interrogati. Ciò che qualificava la vita di ciascuno era l'atteggiamento interiore verso quei fatti. Si notava subito un giovane che camminava su e giù con un'espressione palesemente scontenta, assillato e tormentato. Cercava in continuazione pretesti per urlare a quei disgraziati ebrei: "Mani fuori dalle tasche per favore...", ecc. Per me era da compiangere più di coloro a cui stava urlando; e questi, a loro volta, facevano pena nella misura in cui erano impauriti. Quando mi sono presentata davanti alla scrivania, mi ha urlato improvvisamente: "Che ci trova di ridicolo?". Avrei risposto volentieri: "Niente, tranne lei", ma per diplomazia m'è parso meglio lasciar stare. "Lei ride tutto il tempo" continuava a urlare lui. E io in tutta innocenza: "Non me ne accorgo proprio, è la mia faccia normale". E lui: "Per favore non dica scemenze, vada fffuori", con una faccia che voleva dire: tra poco mi sentirai. Credo che questo fosse il momento psicologico in cui avrei dovuto spaventarmi a morte, ma quel trucco l'ho capito troppo in fretta. In fondo, io non ho paura. Non per una forma di temerarietà, ma perché sono cosciente del fatto che ho sempre a che fare con degli esseri umani, e che cercherò di capire ogni espressione, di chiunque sia e fin dove mi sarà possibile. E il fatto storico di quella mattina non era che un infelice ragazzo della Gestapo si mettesse a urlare contro di me, ma che francamente io non ne provassi sdegno - anzi, che mi facesse pena, tanto che avrei voluto chiedergli: hai avuto una giovinezza così triste, o sei stato tradito dalla tua ragazza? Aveva un'aria così tormentata e assillata, del resto anche molto sgradevole e molle. Avrei voluto cominciare subito a curarlo, ben sapendo che questi ragazzi sono da compiangere fintanto che non sono in grado di fare del male, ma che diventano pericolosissimi se sono lasciati liberi di avventarsi sull'umanità. È solo il sistema che usa questo tipo di persone a essere criminale. E quando si parla di sterminare, allora che sia il male nell'uomo, non l'uomo stesso. Un'altra cosa ancora dopo quella mattina: la mia consapevolezza di non essere capace di odiare gli uomini malgrado il dolore e l'ingiustizia che ci sono al mondo, la coscienza che tutti questi orrori non sono come un pericolo misterioso e lontano al di fuori di noi, ma che si trovano vicinissimi e nascono dentro di noi. E perciò sono molto più familiari e assai meno terrificanti. Quel che fa paura è il fatto che certi sistemi possano crescere al punto da superare gli uomini e da tenerli stretti in una morsa diabolica, gli autori come le vittime: così, grandi edifici e torri, costruiti dagli uomini con le loro mani, s'innalzano sopra di noi, ci dominano, e possono crollarci addosso e seppellirci.


(Etty Hillesum; "Diario")

L'età dell'anima

- 12 ottobre 1942

L'età dell'anima è diversa da quella registrata all'anagrafe. Credo che l'anima abbia una determinata età fin dalla nascita, e che questa età non cambi più. Si può nascere con un'anima che ha dodici anni. Si può anche nascere con un'anima che ne ha mille, esistono ragazzini dodicenni in cui si sente un'anima simile. Credo che l'anima sia la parte più inconscia dell'uomo, soprattutto in Occidente, penso che un orientale "viva" la propria anima molto di più. L'occidentale non sa bene che farsene e se ne vergogna come di una cosa immorale. L'anima è diversa da ciò che noi chiamiamo "sentimento". Ci sono persone che hanno molto "sentimento" ma poca anima.


(Etty Hillesum; "Diario")

...anch'io credo, so che esiste un'altra vita

- 27 settembre 1942

Che si possa essere un fuoco così sfavillante! Tutte le parole ed espressioni adoperate sinora mi sembrano grigie, pallide e scolorite, se paragonate all'intensa gioia di vivere, all'amore e alla forza che si sprigionano ora da me. (...) ...anch'io credo, so che esiste un'altra vita. Credo persino che certe persone siano in grado di vederla e di viverla anticipatamente. Quello è un mondo in cui gli eterni sussurri mistici si sono fatti viva realtà, e in cui gli oggetti e le parole comuni hanno acquistato un significato più alto.


(Etty Hillesum; "Diario")

domenica 13 novembre 2016

Dicono che la mia...

Dicono che la mia
sia una poesia d’inappartenenza.
Ma s’era tua era di qualcuno:
di te che non sei più forma, ma essenza.
Dicono che la poesia al suo culmine
magnifica il Tutto in fuga,
negano che la testuggine
sia più veloce del fulmine.
Tu sola sapevi che il moto non è diverso dalla stasi,
che il vuoto è il pieno e il sereno è la più diffusa delle nubi.
Così meglio intendo il tuo lungo viaggio
imprigionata tra le bende e i gessi.
Eppure non mi dà riposo
sapere che in uno o in due noi siamo una sola cosa.


(Eugenio Montale)

La vita è così curiosa e sorprendente

- 7 luglio 1942

(...) La  vita è così curiosa e sorprendente e infinitamente piena di sfumature, a ogni curva del suo cammino si apre una vista del tutto diversa. La maggior parte delle persone ha nella propria testa delle idee stereotipate su questa vita, dobbiamo nel nostro intimo liberarci di tutto, di ogni idea esistente, parola d'ordine, sicurezza; dobbiamo avere il coraggio di abbandonare tutto, ogni norma e appiglio convenzionale, dobbiamo osare il gran salto nel cosmo, e allora, allora si che la vita diventa infinitamente ricca e abbondante, anche nei suoi più profondi dolori.


(Etty Hillesum; "Diario")

In ascolto


Ho nell'anima tanta calma e dolcezza

Ho nell'anima tanta calma e dolcezza, e un senso di appagamento che riposa in Dio.


(Etty Hillesum; "Diario")

Sento allora di essere tutt'uno con la vita

- Venerdì mattina, le nove.

Ci si lamenta di come fa buio al mattino. Per me, invece, è spesso l'ora migliore del giorno - quando l'alba s'affaccia grigia e silenziosa alle mie pallide finestre. In quel grigiore e silenzio c'è allora una macchia luminosa e violenta, la piccola lampada velata che rischiara il grande piano scuro della mia scrivania. La settimana scorsa è stata proprio la mia ora migliore. Ero immersa nell' "Idiota", traducevo solennemente qualche riga in un quaderno, aggiungevo una breve annotazione mia, e di colpo erano le dieci. Allora ho pensato: si, così devi studiare, così assorta, così va bene. Stamattina una profonda tranquillità. Proprio come una tempesta che s'è calmata. Mi accorgo che questo stato d'animo si ripete ogni volta: dopo giorni di vita interiore terribilmente intensa, ricerca di chiarezza, doglie patite per sentimenti e pensieri che non sono affatto pronti per nascere, enormi pretese da parte mia, e la ricerca di una piccola forma propria che diventa di un'importanza capitale, ecc. ecc. ecc. - ecco che poi tutto quest'affanno, improvvisamente, mi cade di dosso; il mio cervello è piacevolmente stanco, c'è bonaccia di nuovo, sento quasi una sorta di dolcezza anche verso me stessa, e su di me cala un velo attraverso cui la vita filtra più mite, e spesso più ridente. Sento allora di essere tutt'uno con la vita. Inoltre: che non sono io individualmente a volere o a dovere fare questo o quello, ma che la vita è grande e buona e attraente e eterna - e se tu dai tanta importanza a te stessa, ti agiti e fai chiasso, allora ti sfugge quella grande, potente, e eterna corrente, che è appunto la vita. È proprio in questi momenti - e quanto ne sono riconoscente - che ogni aspirazione personale mi abbandona, la mia ansia, per esempio, di conoscere e sapere si acquieta, e un piccolo pezzo d'eternità scende su di me con un largo colpo d'ala.


(Etty Hillesum; "Diario")

Riprender contatto con un frammento d'eternità...

- Venerdì mattina, le nove.

Mi sento come uno che si stia rimettendo da una grave malattia. Con la testa abbastanza leggera e con le gambe ancora un po' incerte. Era proprio brutto ieri. Non vivo abbastanza semplicemente. Mi abbandono troppo a "sfrenatezze", a baccanali dello spirito. E forse m'identifico troppo con quel che leggo e studio: Dostoevskij mi distrugge ancora, in un modo o nell'altro. Devo proprio diventare più semplice. Lasciarmi vivere un po' di più. Non pretendere di vedere già dei risultati. Ora conosco la mia cura: accoccolarmi in un angolino e ascoltare quel che ho dentro, ben raccolta in me stessa. Tanto, col pensiero non ci arriverò mai. Pensare è una bella, una superba occupazione quando studi, ma non puoi "pensarti fuori" da uno stato d'animo penoso. Allora devi fare altro, farti passiva e ascoltare, riprender contatto con un frammento d'eternità...


(Etty Hillesum; "Diario")

sabato 5 novembre 2016

A volte mi sento proprio come una grande officina...

A volte mi sento proprio come una grande officina in cui si lavora duramente, si picchia col martello, e sa Dio che cosa. E altre volte mi sento come se dentro fossi di granito, un pezzo di roccia battuto senza posa da forti correnti - una roccia di granito che diventa sempre più scavata, e in cui contorni e forme s'intagliano col passar del tempo. Forse verrà un giorno in cui quelle forme saranno belle e pronte, ben nette nei loro contorni...


(Etty Hillesum; "Diario")

La parola scritta m'ha insegnato ad ascoltare la voce umana

Come chiunque altro, io non dispongo che di tre mezzi per valutare l'esistenza umana: lo studio di se stessi è il metodo più difficile, il più insidioso, ma anche il più fecondo; l'osservazione degli uomini, i quali nella maggior parte dei casi s'adoperano per nasconderci i loro segreti o per farci credere di averne; e il libri, con i caratteristici errori di prospettiva che sorgono tra le righe. Ho letto, più o meno, tutto quel che è stato scritto dai nostri storici, dai nostri poeti, persino dai favolisti, benché questi ultimi siano considerati frivoli, e son loro debitore d'un numero d'informazioni, forse, maggiore di quante ne abbia raccolte nelle esperienze pur tanto varie della mia stessa vita. La parola scritta m'ha insegnato ad ascoltare la voce umana, press' a poco come gli atteggiamenti maestosi e immoti delle statue m'hanno insegnato ad apprezzare i gesti degli uomini. Viceversa, con l'andar del tempo, la vita m'ha chiarito i libri. Ma questi mentono, anche i più sinceri. I meno abili, in mancanza di parole e di frasi nelle quali racchiuderla, colgono, della vita, un'immagine povera e piatta; altri, come Lucano, l'appesantiscono, l'ammantano di una dignità che non possiede. Altri ancora, al contrario, come Petronio, l'alleggeriscono, ne fanno una palla vuota e saltellante, che è facile prendere e lanciare in un universo senza peso. I poeti ci trasportano in un mondo più vasto, o più bello, più ardente o più dolce di quello che ci è dato; per ciò appunto, diverso, e, in pratica, pressoché inabitabile. I filosofi sottopongono la realtà, per poterla studiare allo stato puro, press' a poco alle stesse trasformazioni che subiscono i corpi sotto l'azione del fuoco e del macero: di un essere o di un avvenimento, quali li abbiamo conosciuti noi, pare non sussista nulla in quei cristalli o in quella cenere. Gli storici ci propongono una visione sistematica del passato, troppo completa, una serie di cause ed effetti troppo esatta e nitida per aver mai potuto esser vera del tutto; rimodellano questa docile materia inanimata, ma io so che anche a Plutarco sfuggirà sempre Alessandro. (...) L'osservazione diretta degli uomini è una norma ancora meno completa, limitata com'è, nella maggior parte dei casi, alle constatazioni piuttosto grette di cui la maldicenza umana si pasce. Il rango, la posizione, i casi della nostra vita restringono inoltre il campo visivo dell'osservatore: il mio schiavo ha possibilità completamente diverse da quelle che io ho per osservar lui; e tanto brevi quanto le mie. Son venti anni che il vecchio Euforione mi porge il flacone dell'olio e la spugna, ma la mia conoscenza di lui si ferma al suo compito, e la sua di me al mio bagno; e qualsiasi tentativo per saperne di più fa presto a sembrare indiscrezione, sia all'imperatore sia allo schiavo. Quel che sappiamo sul conto degli altri è quasi tutto di seconda mano. Se per caso qualcuno si confida, non fa che perorare la sua causa; la sua apologia è già pronta. Se lo osserviamo, non è solo. Mi è stato rimproverato di leggere con piacere i rapporti della polizia di Roma; vi scopro continuamente di che stupire; amici o sospetti, sconosciuti o familiari, questa gente mi sorprende; le loro follie mi servono di scusante alle mie. Non mi stanco mai di paragonare la persona tutta vestita all'uomo nudo. Ma questi rapporti ingenuamente circostanziati aumentano il fascio dei miei documenti e non mi danno l'ombra d'un aiuto per emettere un verdetto. Che il tale magistrato dall'aspetto austero abbia commesso un delitto non mi consente affatto di conoscerlo meglio. Ormai, mi trovo in presenza di due fenomeni anziché di uno solo, l'apparenza del magistrato e il suo delitto. Quanto all'osservazione di me stesso, mi ci costringo, non foss' altro che per entrare a far parte di questo individuo in compagnia del quale mi toccherà vivere fino all'ultimo giorno; ma una familiarità che dura da quasi sessant'anni comporta ancora parecchie probabilità di errore. Nel profondo, la mia conoscenza di me stesso è oscura; interiore, inespressa, segreta come una complicità. Dal punto di vista più impersonale, è gelida, tanto quanto le teorie che posso elaborare sui numeri: mi valgo di quel po' d'intelligenza che ho per esaminare più dall'alto, da lontano, la mia vita, che, in tal modo, diventa la vita di un altro. Ma questi due procedimenti della conoscenza di sé sono difficili, ed esigono, l'uno che ci si cali entro se stessi, l'altro che ci si ponga all'esterno. Per inerzia, tendo come tutti a sostituirvi mezzi meramente consuetudinari, un'idea della mia vita parzialmente modificata dall'idea che se ne forma il pubblico: giudizi bell'e fatti, cioè a dire mal fatti, come un modello già preparato sul quale un sarto maldestro adatti a fatica la nostra stoffa. Strumenti di valore ineguale, utensili più o meno logori; ma non ne possiedo altri: me ne servo per foggiarmi alla meglio un'idea del mio destino d'uomo.


(Marguerite Yourcenar; "Memorie di Adriano")