- Venerdì mattina, le nove.
Ci si lamenta di come fa buio al mattino. Per me, invece, è spesso l'ora migliore del giorno - quando l'alba s'affaccia grigia e silenziosa alle mie pallide finestre. In quel grigiore e silenzio c'è allora una macchia luminosa e violenta, la piccola lampada velata che rischiara il grande piano scuro della mia scrivania. La settimana scorsa è stata proprio la mia ora migliore. Ero immersa nell' "Idiota", traducevo solennemente qualche riga in un quaderno, aggiungevo una breve annotazione mia, e di colpo erano le dieci. Allora ho pensato: si, così devi studiare, così assorta, così va bene. Stamattina una profonda tranquillità. Proprio come una tempesta che s'è calmata. Mi accorgo che questo stato d'animo si ripete ogni volta: dopo giorni di vita interiore terribilmente intensa, ricerca di chiarezza, doglie patite per sentimenti e pensieri che non sono affatto pronti per nascere, enormi pretese da parte mia, e la ricerca di una piccola forma propria che diventa di un'importanza capitale, ecc. ecc. ecc. - ecco che poi tutto quest'affanno, improvvisamente, mi cade di dosso; il mio cervello è piacevolmente stanco, c'è bonaccia di nuovo, sento quasi una sorta di dolcezza anche verso me stessa, e su di me cala un velo attraverso cui la vita filtra più mite, e spesso più ridente. Sento allora di essere tutt'uno con la vita. Inoltre: che non sono io individualmente a volere o a dovere fare questo o quello, ma che la vita è grande e buona e attraente e eterna - e se tu dai tanta importanza a te stessa, ti agiti e fai chiasso, allora ti sfugge quella grande, potente, e eterna corrente, che è appunto la vita. È proprio in questi momenti - e quanto ne sono riconoscente - che ogni aspirazione personale mi abbandona, la mia ansia, per esempio, di conoscere e sapere si acquieta, e un piccolo pezzo d'eternità scende su di me con un largo colpo d'ala.
(Etty Hillesum; "Diario")
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