Fiorire è il fine - chi passa un fiore con uno sguardo distratto stenterà a sospettare le circostanze coinvolte in quel luminoso fenomeno costruito in modo così intricato e poi offerto, come una farfalla al mezzogiorno
giovedì 30 novembre 2017
E non c'è nessuno che mi possa fare veramente del male
...misura l'animo umano, dimmi quanto è grande
Omero era un filosofo (...) Infatti, ora fanno di lui uno stoico, cioè un uomo che approva soltanto la virtù e rifugge i piaceri e che non si allontana dall'ideale dell'onestà neppure in cambio dell'immortalità, ora un epicureo, che apprezza la condizione di una città pacifica e che trascorre la vita tra banchetti e canti, ora un peripatetico, che ammette tre generi di beni, ora un seguace dell'Accademia, il quale afferma che tutto è incertezza. È evidente che nessuna di queste dottrine sussiste in lui, perché ci sono tutte, ma esse si escludono a vicenda. Concediamo pure a loro che Omero fosse un filosofo; in questo caso non c'è dubbio che egli divenne saggio prima di avere alcuna nozione di poesia. Cerchiamo dunque di apprendere ciò che rese Omero un filosofo. A mio parere, ricercare se sia vissuto prima Omero o Esiodo attiene al nostro problema non più di quanto interessi sapere perché mai Ecuba, pur essendo più giovane di Elena, portasse tanto male i propri anni. E allora, dico io, tentare di stabilire l'età di Patroclo e di Achille pensi che abbia qualche importanza? Cerchi in quali terre Ulisse abbia errato invece di fare in modo che noi non cadiamo perennemente in errore? Non ho tempo di stare a sentire se Ulisse fu sbattuto tra l'Italia e la Sicilia o al di là del mondo a noi conosciuto (infatti non avrebbe potuto errare tanto a lungo in uno spazio così angusto): le tempeste dell'animo ci agitano ogni giorno con violenza e la nostra depravazione ci spinge irresistibilmente in tutte le disavventure incontrate da Ulisse. Non manca la bellezza che stimola i nostri occhi; non manca il nemico; da una parte, mostri efferati e ghiotti di sangue umano, dall'altra, insidiosi allettamenti delle orecchie; e ancora ne derivano naufragi e ogni varietà di sventure. Insegnami come amare la patria, mia moglie, mio padre, come navigare anche dopo un naufragio verso quelle mete così nobili. (...) Il geometra mi insegna a misurare i latifondi invece di insegnarmi a misurare quanto basta per l'uomo: mi insegna a fare i conti e predispone le mie dita alla cupidigia invece di insegnarmi che codesti calcoli non servono a nulla, che non è più felice chi ha un patrimonio tale da affaticare una squadra di contabili. Dovrà anzi insegnarmi quanti beni superflui possiede colui che si sentirà infelicissimo, se sarà costretto a calcolare da sé quanto realmente possiede. Che cosa mi giova saper dividere in parti un campicello, se non so dividerlo con mio fratello? Che cosa importa calcolare con precisione i piedi di un iugero e valutare se qualche frazione è sfuggita a una pertica, qualora sia amareggiato da un vicino prepotente, uno che carpisce qualcosa del mio? Mi insegna come non perdere alcuno dei terreni di cui sono legittimo proprietario; ma io voglio imparare a perderli tutti con animo sereno. "Sono cacciato" si dice "dal campo di mio padre e di mio nonno." E allora? Prima di tuo nonno chi lo occupava? Sei in grado di spiegarmi non dico quale uomo, ma quale popolo lo abbia posseduto in origine? Non vi sei entrato come padrone, ma come colono. Colono di chi? Se per te tutto va liscio, del tuo erede. Gli esperti di diritto sostengono che nessun bene pubblico è soggetto a usucapione; ebbene, ciò che possiedi, ciò che definisci tuo, appartiene a tutti e, per essere più precisi, al genere umano. O che arte egregia! Sai misurare i cerchi, trasformi in quadrato qualsiasi figura ti si presenti, determini le distanze fra le costellazioni, non c'è nulla che non cada sotto la tua misura. Se sei un maestro nella tua arte, misura l'animo umano, dimmi quanto è grande, dimmi quanto è piccolo. Sai che cosa è la retta. Bene, ma che ti giova se ignori ciò che sia nella vita la rettitudine?
(Seneca; "Lettere a Lucilio")
Death of Sappho
L'ultima
L’ultima foglia trema sul platano, perché sa bene
che ciò che non vacilla non è saldo.
Tremo, mio Dio, perché intuisco
che presto morirò e dovrei essere saldo.
Da ogni albero cadrà anche l’ultimissima foglia,
perché esso non è privo di fiducia nella terra.
Da ogni uomo cadrà anche l’ultima finzione,
perché la tavola nell’obitorio è del tutto semplice.
La foglia non deve, Dio mio, supplicarti di nulla,
l’hai fatta crescere e non ha guastato il tuo intento.
Ma io...
(Vladimír Holan)
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Vladimír Holan
martedì 21 novembre 2017
...il sentimento dell'infinito
Dopo la malattia, cominciò per me un fruttuoso periodo di lavoro, molte delle mie opere principali furono scritte solo allora. La conoscenza o l'intuizione che avevo avuto della fine di tutte le cose mi diede il coraggio di intraprendere nuove formulazioni. Da allora in poi non mi sono mai liberato completamente dall'impressione che questa vita sia solo un frammento dell'esistenza che si svolge in un universo tridimensionale disposto a tale scopo. Pur rifuggendo dalla parola "eterno", posso descrivere la mia esperienza solo come beatitudine della condizione non temporale, nella quale presente, passato e futuro sono una cosa sola. È decisivo che l'uomo sia orientato verso l'infinito, è il problema essenziale della sua vita; quanto più un uomo corre dietro ai falsi beni e quanto meno è sensibile a ciò che è essenziale, tanto meno soddisfacente è la sua vita, si sentirà limitato, perché limitati sono i suoi scopi. Se riusciamo a capire e a sentire che già in questa vita abbiamo un legame con l'infinito, i nostri desideri e i nostri atteggiamenti mutano, ma possiamo raggiungere il sentimento dell'infinito solo se siamo differenziati al massimo livello possibile, se so di essere unico nella mia combinazione individuale e cioè limitato, posso prendere coscienza anche dell'illimitato, perciò, l'uomo ha bisogno per prima cosa di conoscere se stesso, guardando senza reticenze quanto bene può fare, ma anche di quale infamia è capace.
(Carl Gustav Jung)
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Frank Cadogan Cowper
Ma cos'è la luce?
- Venerdì 4 gennaio 1929
Vediamo: la vita è molto solida o molto sfuggente? Sono ossessionata da queste due idee opposte. È sempre stato così: sarà sempre così; affonda fino alle radici del mondo - sul quale mi trovo in questo momento. È anche transitoria, fuggevole, diafana. Passerò come una nube sulle onde. Forse, sebbene cambiamo, volando uno dietro l'altro, così rapidi così rapidi, pure in qualche modo siamo successivi e continui - noi esseri umani; e la luce ci attraversa. Ma cos'è la luce?
(Virginia Woolf; "Diari")
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Virginia Woolf
Troppe cose hanno accolto le tue palpebre
Troppe cose hanno accolto le tue palpebre
l’attenzione t’ha consumato le ciglia.
Troppe vie t’hanno ripetuta,
stretta, inseguita.
La città da secoli ti divora
ma per te travede, sogno e sfacelo,
di luci e piogge, lacrime senili
sulla ragazza che passa
febbrile, indomabile, oltre il tempo, oltre un angolo.
Ritorna! Gridano i vecchi di Santa Maria del Pianto,
la ronda della piscina di Siloè
con i cani, gl’ibridi, gli spettri
che non si sanno e tu sai
radicati con te
nel glutine blu dell’asfalto
e credono al tuo fiore che avvampa, bianco −
poiché tutti viviamo di stelle spente.
(Cristina Campo)
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William-Adolphe Bouguereau
sabato 11 novembre 2017
O piuttosto: il cielo vive dentro di me
- 15 settembre 1942, di pomeriggio, le tre.
Ecco, l'albero è sempre lì, l'albero che potrebbe scrivere la mia biografia. Però non è più lo stesso albero - o forse sono io che non sono più la stessa persona? E a un metro dal mio letto c'è la sua libreria, basta che allunghi il braccio sinistro e ho in mano Dostoevskij o Shakespeare o Kierkegaard. Ma non lo farò, ho un gran capogiro. Mi metti davanti ai tuoi massimi enigmi, mio Dio. Ti sono riconoscente per questo, ho anche la forza di affrontarli, di sapere che non c'è risposta. Bisogna saper sopportare i tuoi misteri. Dovrei proprio dormire, per giorni e giorni, dovrei lasciar andare tutto quanto. Il medico diceva ieri che ho una vita interiore troppo intensa, che vivo troppo poco sulla terra, anzi, che vivo quasi ai confini col cielo, che il mio fisico non può reggere a tutto ciò. Forse ha ragione. Quest'ultimo anno e mezzo, mio Dio! E questi ultimi due mesi, che da soli sono stati come una vita intera. E non ho forse avuto delle ore di cui ho detto: se dovessi morire tra poco, quest'ora mi è valsa una vita? Ho avuto spesso delle ore simili. E perché poi non dovrei vivere in cielo? Il cielo esiste, perché non ci si potrebbe vivere? O piuttosto: il cielo vive dentro di me. Devo pensare a un'espressione di una poesia di Rilke: "spazio interno del mondo". Ora devo dormire, e lasciar andare tutto. Mi gira tanto la testa. Non c'è niente che funzioni nel mio corpo. Vorrei guarire presto, ma dalle tue mani accetto tutto come viene, mio Dio. So che è sempre un bene. Ho imparato che un peso può esser convertito in bene se lo si sa sopportare.
(Etty Hillesum; "Diario)
Un grande sogno di piacere scende insieme col crepuscolo
- Napoli, 13 settembre 1891
...Muoio a poco a poco di accoramento. E non ho la forza né di allontanarmi, né di cercare un oblio. Sento il tempo fuggire e la vita scorrere ed il mio tedio ed il mio dolore farsi più profondi ad ogni ora e te lontana lontana... Dammi notizie della tua salute... di tutto quello che mi piace del tuo corpo. E adorami. È una sera calda, tutta chiara, mollissima. Davanti al mio balcone spalancato il Vesuvio fumiga, così da presso che quasi mi sembra tangibile. Napoli e Portici e Resina e tutti i villaggi sono rosei su un mare pallidissimo, dove corrono i battelli a sciami. Un grande sogno di piacere scende insieme col crepuscolo. Ti giuro sull’anima mia, Barbarella, che per averti consentirei a morir domani.
(Gabriele D'Annunzio, a Barbara Leoni)
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Lettere d'Amore
E ti ringrazio di questo dono di poter leggere negli altri
Malinconia
Calante malinconia lungo il corpo avvinto
al suo destino
Calante notturno abbandono
di corpi a pien'anima presi
nel silenzio vasto
che gli occhi non guardano
ma un'apprensione
Abbandono dolce di corpi
pesanti d'amaro
labbra rapprese
in tornitura di labbra lontane
voluttà crudele di corpi estinti
in voglie inappagabili
Mondo
Attonimento
in una gita folle
di pupille amorose
In una gita che se ne va in fumo
col sonno
e se incontra la morte
è il dormire più vero
(Giuseppe Ungaretti)
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Louis-Jean-François Lagrenée
In memoria
Moammed Sceab
Discendente
di emiri di nomadi
suicida
perché non aveva più
Patria
Amò la Francia
e mutò nome
Fu Marcel
ma non era Francese
e non sapeva più
vivere
nella tenda dei suoi
dove si ascolta la cantilena
del Corano
gustando un caffè
E non sapeva
sciogliere
il canto
del suo abbandono
L’ho accompagnato
insieme alla padrona dell’albergo
dove abitavamo
a Parigi
dal numero 5 della rue des Carmes
appassito vicolo in discesa.
Riposa
nel camposanto d’Ivry
sobborgo che pare
sempre
in una giornata
di una
decomposta fiera
E forse io solo
so ancora
che visse
(Giuseppe Ungaretti, Locvizza il 30 settembre 1916)
(Giuseppe Ungaretti, Locvizza il 30 settembre 1916)
domenica 5 novembre 2017
Perché non era la conoscenza che lei desiderava, ma l'unità
Seduta per terra, abbracciata alle ginocchia della signora Ramsay, più vicina possibile, sorridendo al pensiero che la signora Ramsay non avrebbe mai saputo la ragione di quella stretta, immaginò che nelle stanze della mente e del cuore della donna con la quale era materialmente a contatto vi fossero, come i tesori delle tombe dei re, lapidi recanti iscrizioni sacre, che a saperle leggere dicevano ogni verità, ma che non venivano mai offerte apertamente, mai rese pubbliche. Quale arte, nota all'amore o all'astuzia, era necessaria per penetrare quelle stanze segrete? Quale artificio era necessario per diventare, come acque travasate in una stessa brocca, una sola cosa inestricabile con l'oggetto di adorazione? Poteva il corpo raggiungere tale traguardo, o la mente, insinuandosi scaltra nei meandri intricati del cervello? Oppure il cuore? Poteva l'amore, come lo chiamava la gente, rendere una sola cosa lei e la signora Ramsay? Perché non era la conoscenza che lei desiderava, ma l'unità, non le iscrizioni sulle lapidi, niente che si potesse scrivere in una lingua nota agli uomini, ma l'intimità, che è poi sapienza, aveva pensato appoggiando la testa sulle ginocchia della signora Ramsay.
(Virginia Woolf; "Gita al faro")
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Alla solitudine
venerdì 3 novembre 2017
Le donne devono sempre ricordarsi chi sono
Le donne devono sempre ricordarsi chi sono, e di cosa sono capaci. Non devono temere di attraversare gli sterminati campi dell'irrazionalità, e neanche di rimanere sospese sulle stelle, di notte, appoggiate al balcone del cielo. Non devono aver paura del buio che inabissa le cose, perché quel buio libera una moltitudine di tesori. Quel buio che loro, libere, scarmigliate e fiere, conoscono come nessun uomo saprà mai.
(Virginia Woolf)
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...il mio stile è di non contrariare mai la mia natura
Mia adorata Eleonora,
gioia e tormento, ormai, della mia vita. Ogni volta che apro una tua lettera, tanto attesa, l'esultanza si annebbia di sconcerto. So che m'attende una lettura faticosa, fra trattini e puntini e sincopi e fratture.
Sempre mi chiedo per quale sortilegio malefico proprio a me - operaio della lingua, e suo artefice - sia toccata la sorte di un amore che ignora le più semplici leggi del ritmo, della sintassi e della punteggiatura. Tante volte te l'ho detto. È come se nel mezzo di una tua recita meravigliosa balbettassi, o parlassi nel più barbarico dei dialetti. Non è servito, e ormai mi adatto al tuo dire, come portando una croce. La porto con l'amore che ti debbo e che ti voglio dare.
Ma perché, allora, tu mi tormenti anche con le tue gelosie? Il bisogno imperioso della vita violenta - della vita carnale, del piacere, del pericolo fisico, dell'allegrezza - mi hanno tratto lontano. E tu - che talvolta ti sei commossa fino alle lacrime dinanzi a un mio movimento istintivo come ti commuovi dinanzi alla fame di un animale o dinanzi allo sforzo d'una pianta per superare un muro triste - tu puoi farmi onta di questo bisogno?
Più triste di ciò, è che so già cosa risponderai, perché se la dolcezza dell'amore è nella conoscenza, la sua amarezza è nella ripetizione. "Quale amore potrai tu trovare, degno e profondo, che vive solo di gaudio?" Così dirai, cercando - lo sai - di spegnere ogni mio anelito di vita. Ebbene, cuore, non te lo permetterò, anche se il tuo cuore dovesse cessare di battere per me.
Ricordo, non lo scorderò mai, quando arrivai in gondola al luogo della tua consunzione notturna dell'attesa. Tu, "la nomade" sempre in tournée, fermasti solo per un momento la tua vita per me, e ora vorresti che pietrificassi la mia. È vero, sono circondato da donne attiranti e ostili, nel loro bisogno di potere su di me - ingenue - ma pronte a donarsi. Vuoi, tu, impedire ch'io riceva il dono?
Io ti ho fatto grandi doni, oltre me stesso. Ho soddisfatto l'ansia di ideale e il desiderio di poesia che vibrava nella tua immaginazione sempre viva. E tu, "La vita scorre - afferrala nell'arte - figlio! - Non attardarti più sulla tua strada - non attardarti!", mi scrivevi e mi scrivi, come se l'arte non sgorgasse dalle viscere del mio corpo, con le passioni. Tu sei, e sarai sempre il mio incantesimo solare e hai fatto sboccare nella mia anima fiumi di poesia. Ma io sono un uomo di disordine, e voglio rimanere tale perché il mio stile è di non contrariare mai la mia natura. Che a volte è fatta di salotti, battute di caccia e corteggiamenti alacri di donne disponibili.
Io ho scritto per te un grande romanzo che traspone in allegoria il mio amore per te, dove eterno i nostri strazii di amanti innamorati, eppure mi tormenti con la gelosia piccina, con l'invidia per le donne più giovani, con l'ira per le forcine bionde che trovi nel mio letto. Ti amo, ma non posso permettere che tu ponga limiti alla mia unica, fragile, preziosissima vita.
Addio, Eleonora.
Tuo per sempre.
(Gabriele D'Annunzio, a Eleonora Duse)
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