L'ultimo pomeriggio passato in montagna, mi è rimasto impresso nella memoria visiva in maniera singolare per me che ritengo quasi esclusivamente i caratteri morali, direi, dei luoghi che percorro; che ad ogni luogo, cioè, do nel ricordo la fisionomia che la mia anima gli diede nell'attimo in cui l'accolse in sé, lo sentì cornice ai propri sentimenti. Mi rivedo per l'ampia strada da cui dovevamo, il mattino dopo, discendere per ore e ore in diligenza verso la via ferrata, verso il Benaco. L'atmosfera era grigia ed umida. Tuttavia ogni cosa ed ogni suono avevano una nitidezza straordinaria; tutto sembrava più vasto, e formidabile e fisso. Noi che andavam lenti fra tanta aria cinerea, che cosa eravamo se non dei piccolissimi punti transitori che la Terra proteggeva con austero amore? Per la prima volta forse in vita mia abbracciavo questa Terra con pensiero riverente, figliale. Il tempo e lo spazio mi pareva diventassero fluidi, che mi trasportassero sulla loro corrente: ero l'Umanità in viaggio, l'Umanità senza mèta e pur accesa d'ideale: l'Umanità schiava di leggi certe, e pure spinta da una ribelle volontà a spezzarle, a rifarsi una esistenza superiore a quelle... Quel dì appunto avevo terminato di rileggere il libro che m'aveva tanto afferrata settimane innanzi, e che mi era stato compagno discreto e costante per tutto il soggiorno in montagna. Fondevo le due emozioni successive, quella suscitatami dalle idee svoltesi nella mia mente intorno a quella lettura, con quella ond'era autrice la Natura che mi circondava e che stavo per lasciare. Ne emanava un fervore occulto che conoscono solo i grandi credenti e i grandi innamorati: coloro che adorano la Vita fuor di sé stessi. Io scomparivo, con la mia miseria; davanti ai miei occhi non era più che la bellezza di quell'umano sforzo ergentesi nella vastità del mondo. Spettacolo che l'anima gelosamente accoglieva e serbava. Non era la gran rivelazione: era il lavorìo sotterraneo dei germi che già sentono il calore del sole vicino e ne temono e ne desiderano il pieno splendore.
(Sibilla Aleramo; "Una donna")
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