oggi soltanto dopo tre giorni dalla fuga ho dato al mondo notizie mie. Mi sono riservato la tua lettera per ultima, come un premio e come un riposo... È così: provo nello scriverti quasi la dolcezza di non pensare, di abbandonarti le tempia fra le mani e di parlare, prono sulle tue ginocchia, senza vederti. Mai ti sento così dolce e così presente come quando mi sei lontana... Tu che studi e canti le cose sottili dell’anima, spiegami questo enimma strano... - Cara Amalia, sono un po’ triste. E tanto stanco. E così spaventosamente solo! Questo romitorio dista da Torino due ore di treno, quasi tre di diligenza, due e più di mulo e quasi una a piedi, fra dirupi e macigni di asprezza dantesca. Il luogo è bello, ma il mio ricovero è così mistico e così squallido che la stamberga di Ronco diventa una reggia al raffronto. Mi rassegno tuttavia sorridendo, per quel gusto che tu mi conosci delle cose modeste: una specie di dilettantesimo d’umiltà letteraria... Senza considerare che non potrei trovare di meglio per la mia pace fisica e per la mia vita interiore da tanti mesi offuscata... - Che silenzio, Amalia mia! Ti scrivo su di una loggia rustica con dinnanzi un fascio di grossi ranuncoli raccolti or ora, e immersi in un bicchiere da cucina. Oltre la ringhiera in legno si sprofonda il vuoto smeraldino della valle... È bello. Ma io non so non essere un poco triste. (Passano in quest’istante due sorelle giovinette che hanno venduto i capelli or ora...) Mi rimorde il pensiero di mia Madre, m’inquieta la mia salute, non ho ritrovato ancora il filo dei miei sogni... Scrivimi. Aduna tutta la tua tenerezza pura ed impura e baciami anche, a lungo a lungo, in una prossima tua... Io ti mando uno di questi fiori.
GUIDO
(Guido Gozzano, Lettera ad Amalia Guglielminetti)
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