Fiorire è il fine - chi passa un fiore con uno sguardo distratto stenterà a sospettare le circostanze coinvolte in quel luminoso fenomeno costruito in modo così intricato e poi offerto, come una farfalla al mezzogiorno
domenica 27 dicembre 2015
Povera et nuda vai philosophia
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Francesco Petrarca
...non amerò mai se non ho amato Voi
- S. Giuliano d’Albaro, 9 dicembre 1907
(...) Ritornando qui, nel luogo stesso dove avevo ricevute le vostre prime lettere, il mio spirito si è ricongiunto al tempo nel quale ancora Voi eravate per me "Amalia Guglielminetti". E tutto quanto il Destino volle fare di noi, mi pare lo spasimo d’un febbricitante; e della cosa cattiva più nulla resta fuor che una dolcezza un po' acre sulle labbra e sulle gengive, come quando si è troppo a lungo masticato la corolla di certe violette... Il mare è pur sempre il grande purificatore: io mi sento l’anima leggera e monda, nata da ieri! C’è un tepore, una gaiezza nell'aria! Tutto l’orizzonte che traspare dalla mia finestra non è che l’armonia di due fascie azzurre: una più cupa: il mare; una più chiara: il cielo - Vi scrivo come posso, amica mia! Sono quasi ginocchioni su di una seggiola col foglio sopra un libro e il libro sopra il canterano: non ho ancora una scrivania! Ma c’è il mare di fuori... Rabbrividisco al pensiero che Voi potreste vedermi così, Voi che soffrite tanto delle cose volgari! Sono spettinato, barbuto, vestito d’una maglia rozza e di una giubba logora: mi sono spezzata l’unghia del mignolo nell’aprire una valigia e ho il dito ripugnantemente ingrommato di sangue... Ma c’è il mare di fuori! (...) Lasciando Torino ho avuto come un senso di liberazione. Per tante cose. E principalmente per Voi. Era tempo! Era tempo di frapporre tra noi due molti mesi e molti chilometri! Non già che io fossi per commettere qualche pazzia, (non ho amato pur troppo fin ora e forse non amerò più; non amerò mai se non ho amato Voi!) ma il desiderio della vostra persona cominciava ad accendermi il sangue con una crudeltà spaventosa; ora l’idea di accoppiare una voluttà acre e disperata alla bellezza spirituale di una intelligenza superiore come la vostra mi riusciva umiliante, mostruosa, intollerabile... Quando l’altro giorno uscii dal vostro salotto con la prima impronta della vostra bocca sulla mia bocca mi parve d’aver profanato qualche cosa in noi, qualche cosa di ben più alto valore che quel breve spasimo dei nostri nervi giovanili, mi parve di veder disperso per un istante d’oblio un tesoro accumulato da entrambi, per tanto tempo, a fatica. E ieri, l’altro, quando scendeste disfatta nel vestito nel cappello nei capelli, e mi lasciaste solo in quella volgare vettura di piazza, io mi abbandonai estenuatissimo contro la spalliera, dove alla finezza del vostro profumo andava succedendo l’acredine del cuoio logoro... E nel ritorno (orribile!) verso la mia casa, sentivo il sangue irrompermi nelle vene e percuotermi alla nuca come un maglio, e, col ritmo fragoroso dei vetri, risentivo sulla mia bocca, la crudeltà dei vostri canini. Sono rientrato in casa con un desiderio solo: partire, lasciare Torino subito. E quest’oggi ho il mare d’innanzi! Sono libero e sono felice. V’ho scritto giorni fa che in questa pace l’imagine vostra sarebbe risorta nella mia memoria, "come la fronda nell’acqua che s’acqueta" - È vero! Già siete ritornata per me la buona sorella che - vicina - "non vi sentivate di essere". - Vado a vedere il mare prima di salutarvi. Il mare è furibondo: s’accartoccia sotto la mia finestra ribollendo con voce sorda... Non m’ha salutato e non mi lascia di salutarvi. Io penso, guardandolo ed ascoltandolo, a un giudice iroso che ci ammonisca entrambi. È così!
GUIDO vostro
(Guido Gozzano, Lettera ad Amalia Guglielminetti)
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sabato 26 dicembre 2015
Lasceremo solo le nostre anime un poco vicine
- Lunedì sera, 2 dicembre 1907
Mio caro Guido,
io ho fatto molto male ad amareggiarvi con la mia amarezza. Sono io che mi devo accusare, non Voi. Ieri non v’ho atteso: ho passato la giornata in una sospensione vaga, non ansiosa, pensando che certo vi tratteneva una causa indipendente dalla vostra volontà. Ma non è possibile che partiate così. Verrete mercoledì: non mi chiederete perdono, non ci daremo delle spiegazioni, non ci diremo niente. Lasceremo solo le nostre anime un poco vicine e le nostre mani un poco congiunte prima di lasciarci per tanto tempo. Sarà una piccola tregua di sogno per Voi e per me. Dimenticheremo che ci sono le cose e gli uomini e le donne. Ci parrà d’essere soli nel mondo, o d’essere fuori del mondo. Se vorrete vegliare ci guarderemo in silenzio, se vorrete dormire poserete la testa sulla mia spalla. E poi ci diremo addio.
Venite.
A.
(Amalia Guglielminetti, Lettera a Guido Gozzano)
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Come un piccolo nulla di cui nessuno si cura
- Sabato sera, 30 novembre 1907
Il vostro telegramma color di fiamma è giunto troppo tardi. Alle due e cinque minuti io guardavo intensamente senza vederli i soldati i marinai le donne di pietra che ricordano non so perché la Crimea. E tremano un poco d’un tremore interno forse di irritazione, forse di pena. Pena di me stessa; sapete, mi facevo pena d’essere là come un piccolo nulla di cui nessuno si cura. Cioè no: c’erano alcuni scalpellini che sogghignavano alle mie spalle tra due colpi di martello ed io sentivo quella trivialità su di me come una cosa nauseante. Mio caro Guido, credo di non aver passato nella mia vita molte mezz’ore più cattive. Devo aver fatto due o tre volte lentamente il giro di quel mausoleo, devo aver percorso due o tre volte quel pezzetto di viale che lo fronteggia. Una serva da una finestra spolverando un gatto di marmo le contava forse meglio di me. Quel gatto doveva avere molta molta polvere. Sentivo la gola chiusa e la lingua arida come se avessi gridato tanto, e mi toccavo le dita nel manicotto sotto un mazzo di viole fresche che avrei volentieri calpestato. Erano le due e mezza, me ne andai, giunsi fino alla metà del ponte nuovo e mi fermai a guardare l’acqua senza pensiero, senza volontà come se il fiume si portasse via con sé la mia anima. Rialzando gli occhi fui ripresa dal mio affanno, tornai sui miei passi in fretta, quasi con incoscienza voluta seguendo con lo sguardo qualche rara figura maschile che subito riconoscevo sconosciuta. Non sostai più presso il mausoleo, nemmeno lo accostai tanto m’era divenuto odioso. Passò un ragazzo con un carretto cantando: "E aspetta il fidanzato"... Allora fuggii davvero umiliata, avvilita, annientata dinanzi a me stessa, pensando di voi tutto il male possibile, soffrendo in me tutto il male possibile. Non osai rincasare subito per non lasciar sospettare alle mie sorelle la mia disdetta. Ho errato quasi un’ora per il Valentino mordendomi le labbra per trattenere in me qualche cosa d’amaro che mi saliva dal cuore, una pietà ironica e aspra per me stessa, per il mio orgoglio, per tutti i piccoli e i grandi colpi già ricevuti in silenzio sussultando, a cui s’aggiungeva ancora questo, inatteso. Sono folle, Guido, a scrivervi queste cose, lo so che voi lo pensate. Vorrei che mi vedeste piangere ancora, mentre scrivo, tanto. Neppure il foglietto rosso che mi portava le vostre scuse ha potuto consolarmi. Ho dovuto lasciar sgorgare tutta quell’amarezza accumulata goccia a goccia, minuto per minuto in umiliazione e in tristezza. Ora sto un poco meglio, ma bisogna ch’io non vi pensi, ch’io non mi ricordi per non soffrirne ancora. Domani sarò in casa tutto il giorno, ma non oserò aspettarvi. Potreste non venire e mi dorrebbe troppo. Perché m’avete detto che non mi volete bene?
Ho pensato molto oggi a quelle parole.
Addio.
(Amalia Guglielminetti, Lettera a Guido Gozzano)
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sabato 12 dicembre 2015
...così il tempo presente
giovedì 10 dicembre 2015
Mondo splendido
Sempre e poi sempre, o vecchio o giovane torno a
avvertire:
una montagna notturna e al balcone una donna
silenziosa,
bianca una strada al chiaro di luna in lieve pendio
e ciò mi lacera il cuore nel petto atterrito di
struggimento.
O mondo ardente, o tu chiara donna al balcone,
cane che abbai nella valle, treno lontano che passi,
come mentite, come atroci ingannate me ancora,
e pur tuttavia voi siete sempre il mio sogno e
delirio più dolce.
Spesso ho tentato la strada per la tremenda
"realtà"
dove hanno valore mode, assessori, leggi, e denaro,
ma solitario mi sono involato, deluso e liberato,
verso là dove sogno e beata follia zampilla.
Afoso vento notturno negli alberi, scura zigana,
mondo ricolmo di nostalgia pazza e profumo di poesia,
mondo splendente, di cui sono schiavo eternamente,
dove a me guizzano i tuoi bagliori, dove riecheggia
per me la tua voce.
(Hermann Hesse)
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martedì 8 dicembre 2015
Il cacciatore
venerdì 4 dicembre 2015
Chi sono?
Son forse un poeta?
No, certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell’anima mia:
"follia".
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non ha che un colore
la tavolozza dell’anima mia:
"malinconia".
Un musico, allora?
Nemmeno.
Non c’è che una nota
nella tastiera dell’anima mia:
"nostalgia".
Son dunque... che cosa?
Io metto una lente
davanti al mio cuore
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell’anima mia.
(Aldo Palazzeschi)
giovedì 3 dicembre 2015
Quadro
a quest’acqua bambina
che corre a passettini d’argento
dietro tutte le barche.
L’ombra del promontorio,
sul bianco mare,
- bassa nota rauca
in questa sviolinata crepuscolare -
ha il colore abbrunato di un rimorso;
ma, sulla punta,
- nitido come uno squillo battagliero -
l'ansito del faro palpita,
anelando al largo.
(Antonia Pozzi - 12 giugno 1929)
Nevai
Io fui nel giorno alto che vive
oltre gli abeti,
io camminai su campi e monti
di luce -
Traversai laghi morti - ed un segreto
canto mi sussurravano le onde
prigioniere -
passai su bianche rive, chiamando
a nome le genziane
sopite -
Io sognai nella neve di un’immensa
città di fiori
sepolta -
io fui sui monti
come un irto fiore -
e guardavo le rocce,
gli alti scogli
per i mari del vento -
e cantavo fra me di una remota
estate, che coi suoi amari
rododendri
m’avvampava nel sangue -
(Antonia Pozzi - 1 febbraio 1934)
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