
Oh Dino, con quanta forza ho sentito, fino in fondo al mio essere, il pulsare dei tuoi sogni. Vedi: ogni volta che tu mi apri così un lembo della tua anima più nuda, tu svegli tutta la giovinezza che dorme in me, sotto la coltre delle fantasie oziose, degli egoismi inutili. Ed ecco: io sono di nuovo la ragazzetta di diciassette anni, dalle lunghe gambe nervose, dagli occhi chiari e dai polmoni capaci, che fuggiva sola, con il suo sacco ed un paio di enormi scarpe chiodate, verso le rocce il vento il silenzio delle Dolomiti di Brenta: per ore, accoccolata su un masso, spiava il nascere dell'acqua dalla bocca annerita del nevaio; s'insanguinava le dita per staccare dalla pietra zolle di sassifraghe rosa; e d'un balzo, affidata alla forza dei ginocchi sulla colata fragorosa delle ghiaie, piombava a valle, sui pascoli cosparsi di rocce bianche come enormi cimiteri abbandonati - Fragranza amara dei rododendri sotto il sole - intrico di corolle fragili e di rami duri fino alla cintola - nuotare nel folto verde e rosa. Poi, a sera, i rami lunghi morbidi frangiati dei làrici che la chiamavano verso casa, verso un lume nella penombra viola... Ah, l'aria della mia adolescenza, Dino: così limpida, aromatica, fulgente di bianchezze inverosimili, come un piccolo triangolo di vela disperatamente gonfio e teso di vento. Ed ecco: tutto questo che credevo sopito, spento per sempre, mi rinasce vicino a te, si riapre, si riscopre come un cielo lontanissimo, perduto in fondo a cumuli di nubi. Per questo ti dico: non temere, non temere che la vita ti sciupi questa tua purezza, questa tua meravigliosa forza di ascesa e di sogno. Come potrebbe soffocarla in sé se tu sai destarla così vivamente negli altri?
(...) tu mi conosci abbastanza bene per sapere - ormai - che il tuo sogno di un angolo di terra, di un modestissimo focolare, di una vita che torna alla sua origine è anche il mio sogno. Sai: ieri un sacerdote che conosciamo e che era qui da noi guardava i miei albi di fotografie e a un certo punto mi disse: "Ma lei ha tutto, ha visto tutto, ha goduto tutto: che cosa può desiderare ancora nella vita?". Che cosa posso ancora desiderare? - Avrei voluto rispondergli -: Ma precisamente il contrario di quel tutto: spogliarmi di tutto il superfluo, dimenticare i volti ben rasi, le labbra dipinte, gli alberghi di lusso, rinunciare alle comodità di cui - grazie a Dio - non mi sono mai fatta delle schiavitù, andare dalla povera gente, imparare il dialetto, ricominciare. Senza cavalli, senza auto, senza troppi vestiti, senza troppe posate, ma che cosa m'importerà - in nome del cielo - di avere soltanto due grembiuli (uno addosso e l'altro al fosso - dice il proverbio delle nostre campagne) pur che alla sera mi sia dato aspettare un volto caro e mettere sul fuoco una minestra che non sia soltanto per me e rammendare delle calze che non siano soltanto le mie, ma che siano magari le calze piccine e le magline e i corpetti di un topolino nostro? Dinin, vedi, e quando la mia vita di donna sarà equilibrata, completa, allora anch'io scriverò. Ho tante cosa da dire, io pure. Sarò passata attraverso tante vite, saprò la pena di tante creature, la gioia di tante strade. Allora (come mi ha detto anche Banfi, un giorno) quando sarò veramente una donna, placata, serena, forte, potrò dire delle buone cose.
(Antonia Pozzi; lettera a Dino Formaggio - 1937)