sabato 26 ottobre 2024

Spirerò nobil sensi a' rozzi petti

Spirerò nobil sensi a' rozzi petti, 
raddolcirò de le lor lingue il suono; 
perché, ovunque 'i mi sia, io sono Amore, 
ne' pastori non men che ne gli eroi, 
e la disagguaglianza de' soggetti
come a me piace agguaglio; e questa è pure 
suprema gloria e gran miracol mio: 
render simili a le più dotte cetre 
le rustiche sampogne


(Torquato Tasso; "Aminta") 

...una vita così lieve, di gesti lenti

(...) nei musei sono tante fanciulle (...) Si trovano davanti a quegli arazzi e si lasciano un po' andare. Hanno sempre sentito che questo è esistito, una vita così lieve, di gesti lenti, mai spiegati per intero, e ricordano oscuramente come per un periodo persino credettero che sarebbe stata la loro vita. Ma poi tirano fuori in fretta un quaderno e cominciano a disegnare non importa cosa, uno dei fiori o un piccolo animale felice. Non ha importanza, è stato detto loro, se è una cosa o l'altra. E davvero non ha importanza.


(Rainer Maria Rilke; "I quaderni di Malte Laurids Brigge")

...dentro di me è a casa sua

Qui riconosco tutto, perciò entra subito in me: dentro di me è a casa sua.


(Rainer Maria Rilke; "I quaderni di Malte Laurids Brigge")

Immaginavo questo, mentre disegnavo

Quanto piccolo a quel tempo dovessi ancora essere lo vedo nel fatto che, per arrivare bene al tavolo su cui disegnavo, stavo inginocchiato sulla sedia. Era sera, d'inverno, se non sbaglio, nell'appartamento di città. Il tavolo si trovava nella mia camera, tra le finestre, e nella stanza non c'era altra lampada se non quella che illuminava i miei fogli e il libro di Mademoiselle; Mademoiselle, infatti, mi sedeva vicino, appena dietro, e leggeva. Quando leggeva era molto lontana, non so se fosse nel libro; poteva leggere per ore voltando raramente le pagine, e avevo l'impressione che sotto il suo sguardo le pagine diventassero sempre più piene, quasi vi vedesse parole in più, certe precise parole che non c'erano e di cui aveva bisogno. Immaginavo questo, mentre disegnavo. Disegnavo adagio, senza un'intenzione molto precisa, e quando non sapevo andare avanti, guardavo l'insieme con il capo piegato un po' a destra: in questo modo mi accorgevo sempre rapidamente di quanto ancora mancava. Erano ufficiali a cavallo che entravano nella battaglia o che ci si trovavano in mezzo, cosa, questa, molto più semplice, perché bastava fare quasi soltanto il fumo che avvolgeva tutto. Maman, veramente, sosteneva sempre che erano isole quelle che coloravo; isole con grandi alberi e un castello e una scalinata e fiori sulla balaustra che si specchiavano nell'acqua. Ma credo che lo inventasse o che debba essere stato più tardi.
Sta di fatto che quella sera disegnavo un cavaliere, un unico, ben evidente cavaliere, su un cavallo curiosamente bardato. Diventava così variopinto che dovevo cambiare spesso matita, ma soprattutto era il rosso, cui di continuo ricorrevo, ad essere preso in considerazione. Ne avevo appunto ancora bisogno: quando (mi sembra di vederlo) rotolò obliquamente fino all'orlo del foglio illuminato, prima che potessi impedirlo cadde davanti a me e scomparve. Mi occorreva proprio subito, ed era molto sgradevole cercarlo a gattoni. Maldestro com'ero, arrivai in basso solo dopo manovre d'ogni genere; le gambe mi parevano troppo lunghe, non potevo tirarle fuori di sotto il corpo; le membra, stando inginocchiato troppo a lungo, s'erano intorpidite, non sapevo più che cosa appartenesse a me e cosa alla seggiola. Alla fine, però, fui in basso, un po' frastornato, e mi trovai su una pelliccia che da sotto il tavolo arrivava sino al muro. Ma a questo punto si presentò una nuova difficoltà. Regolati sulla luce di sopra e ancora entusiasti dei colori sul foglio bianco, i miei occhi non riuscivano a distinguere nulla sotto il tavolo, dove il nero mi parve così compatto che avevo paura di urtarvi. Mi rimisi dunque alla mia sensibilità e in ginocchio, appoggiato sulla mano sinistra, presi a pettinare con la destra il tappeto fresco, dai lunghi peli, che sentivo tanto amichevole; della matita, però, nessuna traccia. Pensai che stavo perdendo molto tempo ed ero sul punto di chiamare Mademoiselle, pregandola di reggermi la lampada, quando mi accorsi che ai miei occhi, involontariamente aguzzati, il buio diventava sempre più trasparente. Potevo già distinguere sul fondo la parete, che terminava con uno zoccolo chiaro; mi orientavo attraverso le gambe del tavolo; riconoscevo soprattutto la mia mano che, con le dita divaricate, si muoveva là tutta sola, come un animale acquatico, e cercava sul fondo. La guardavo, ricordo, quasi curioso; mi pareva sapesse cose che non le avevo insegnato, mentre testava là sotto in modo tanto arbitrario, con movimenti che non le avevo mai notato. La seguivo mentre avanzava, m'interessava, ero pronto a tutto. Ma come sarei dovuto essere preparato al fatto che a un tratto dalla parete le venne incontro un'altra mano, più grande, d'una magrezza insolita, quale non avevo mai veduto. Quella veniva avanti dall'altra parte cercando allo stesso modo, e le due mani aperte avanzavano cieche una contro l'altra. La mia curiosità non si era ancora esaurita, ma d'improvviso finì e ci fu solo raccapriccio. Sentii che una delle mani m'apparteneva, e che in quel momento si abbandonava a qualcosa d'irreparabile. Con tutto il diritto che avevo su di essa la trattenni e la ritirai adagio, distesa, mentre con gli occhi non lasciavo l'altra, che continuava a cercare. Capii che non avrebbe smesso, non so dire come mi risollevai. Mi accasciai sulla seggiola, i denti mi battevano, e avevo sul viso così poco sangue che credetti mi si fosse sbiancato l'azzurro degli occhi. Mademoiselle - volli dire e non potei, ma lei si spaventò da sola, buttò via il libro, si inginocchiò vicino alla sedia e gridò il mio nome; forse mi scosse. Ma io ero pienamente cosciente. Inghiottii più volte: perché volevo raccontarle la cosa. 
Ma come? mi concentrai in modo indescrivibile, ma la cosa non si poteva esprimere in modo che uno la capisse. Se per quell'evento, c'erano parole, ero troppo piccolo per trovarle. E d'un tratto mi assalì la paura che, scavalcata la mia età, potessero d'un tratto presentarsi, quelle parole, e il fatto di doverle allora dire mi parve più terribile di tutto. Rivivere la realtà di là sotto, mutata, dal principio alla fine; udirmi mentre l'ammettevo, non avevo più forza di farlo. 
Naturalmente è una fantasia pensare adesso che allora già sentissi qualcosa di nuovo entrare nella mia vita, proprio nella mia, una cosa con cui sarei dovuto andare da solo, per sempre. Mi vedo disteso, sveglio nel mio lettino con le sponde, in qualche modo prevedere vagamente che la mia vita sarebbe stata così: piena di cose strane, che sono destinate a uno solo, e che non si lasciano dire. Certo è che a poco a poco crebbe in me un triste e pesante orgoglio. Mi figuravo come sarei andato per il mondo, l'animo pieno di vita segreta, taciturno.


(Rainer Maria Rilke; "I quaderni di Malte Laurids Brigge")

...così avevano combattuto i suoi avi dimenticati

Non fu faticoso per lui imparare a combattere lacerando e azzannando al modo dei lupi, perché così avevano combattuto i suoi avi dimenticati. Essi ravvivavano in lui l'antica vita, e le antiche astuzie da loro lasciate in eredità all'esistenza erano le sue stesse astuzie. Apparivano in lui senza sforzo e senza meraviglia, come se fossero sempre state sue; e quando nelle lunghe notti gelate levava il muso alle stelle gettando lunghi ululati al modo dei lupi, erano i suoi antenati morti e ridotti in polvere, che levavano il muso alle stelle e ululavano nei secoli attraverso di lui. Quel grido modulato era il loro grido con cui avevano espresso la loro pena e tutto ciò che potevano suggerire loro la quiete, il freddo e la notte.


(Jack London; "Il richiamo della foresta")

martedì 22 ottobre 2024

Trecento poeti non esistono

- Bibliothèque Nationale 

Siedo e leggo un poeta. Nella sala c'è molta gente, ma non si avverte. Sono nei libri. A volte si muovono tra le pagine come persone che dormono e si rigirano tra due sogni. Ah, come è buono stare in mezzo a uomini che leggono. Perché non sono sempre così? Puoi avvicinarti a uno e sfiorarlo: non sente nulla. E se nell'alzarti urti appena un vicino e ti scusi, lui accenna col capo dalla parte in cui sente la tua voce, il suo viso si volge verso di te e non ti vede, e i suoi capelli sono come i capelli di un uomo che dorme. Come fa bene questo. Ed io siedo e ho un poeta. Che destino. Nella sala sono ora forse trecento persone, ma è impossibile che ognuna di esse abbia un poeta. (Sa Iddio che cos'hanno). Trecento poeti non esistono.


(Rainer Maria Rilke; "I quaderni di Malte Laurids Brigge")

Il mondo non è tutto tuo?

La terra è ancora calda di te, gli uccelli lasciano ancora spazio alla tua voce. La rugiada è un'altra, ma le stelle sono ancora le stelle delle tue notti. Il mondo non è tutto tuo? Quante volte non l'hai incendiato con il tuo amore, non l'hai veduto fiammeggiare e incenerire, per sostituirlo segretamente con un altro, mentre tutti dormivano. Ti sentivi così in armonia con Dio, nel chiedergli ogni mattina una nuova terra, perché vi avessero posto tutti quelli che lui aveva creato. Ti sembrava meschino risparmiarla e ripararla: la consumavi e tendevi le mani per avere sempre più mondo. Perché il tuo amore era all'altezza di tutto.
Come è possibile che tutti non parlino ancora del tuo amore? Che cosa, da allora, è avvenuto che fosse più meraviglioso? Che altro può occuparli? Tu stessa conoscevi il valore del tuo amore, lo gridasti al tuo più grande poeta perché lo rendesse umano; era infatti ancora un elemento. Ma il poeta, scrivendoti, ne ha dissuaso gli uomini. Tutti hanno letto quelle risposte e credono più ad esse, perché trovano il poeta più intelligibile della natura. Ma un giorno, forse, si vedrà che qui fu il limite della sua grandezza. Quell'amante gli venne imposta, e lui non la resse. Cosa vuol dire, che non abbia potuto corrispondere? Un amore simile non ha bisogno d'essere corrisposto, ha in sé l'appello e la risposta; si esaudisce da sé. Ma il poeta avrebbe dovuto umiliarsi davanti ad esso in tutta la sua imponenza, e scrivere con due mani quello che esso dettava, come Giovanni a Pathmos, in ginocchio. Non c'era alternativa di fronte a quella voce "che adempiva all'ufficio degli angeli"; che era venuta per avvolgerlo e rapirlo nell'eterno.


(Rainer Maria Rilke; "I quaderni di Malte Laurids Brigge")

The harvest moon

Forse, se tu gustassi anco una volta

Forse, se tu gustassi anco una volta 
la millesima parte de le gioie 
che gusta un cor amato riamando, 
diresti, ripentita, sospirando: 
"Perduto è tutto il tempo
che in amar non si spende."


(Torquato Tasso; "Aminta")

domenica 20 ottobre 2024

...esisteva soltanto la mia solitudine

(...) sapevo che fuori tutto continuava con la stessa indifferenza, che anche fuori esisteva soltanto la mia solitudine. La solitudine che m'ero addossato, d'una grandezza sproporzionata al mio cuore.


(Rainer Maria Rilke; "I quaderni di Malte Laurids Brigge")

Doveva essere una di quelle ore mattutine

Doveva essere una di quelle ore mattutine nuove e riposanti come ce ne sono in luglio, in cui si manifesta dappertutto come una gioia irriflessa. Da milioni di minimi, insopprimibili movimenti, si forma, a mosaico, l'esistenza più convinta; le cose vibrano sciolte nell'aria, compenetrate le une alle altre, e la loro freschezza schiarisce l'ombra e dà al sole una luce lieve, spirituale. Allora nel giardino non ci sono più elementi essenziali; tutto è dappertutto, e bisognerebbe essere in tutto, per non perdere nulla.


(Rainer Maria Rilke; "I quaderni di Malte Laurids Brigge")

Lo aprii: era vuoto

Ancora ricordo con precisione come un giorno, tanto tempo fa, trovai in casa un astuccio da gioielli: largo due mani, a forma di ventaglio, di marrocchino verde scuro, con una ghirlanda di fiori impressa tutt'intorno. Lo aprii: era vuoto. Questo posso dirlo adesso, dopo tanto tempo. Ma allora, quando l'ebbi aperto, vidi solo di cosa era fatto quel vuoto: di velluto, di una piccola prominenza di velluto chiaro, non più fresco; del solco per il gioiello che vi si perdeva, vuoto, più chiaro, quanto un'ombra di malinconia.


(Rainer Maria Rilke; "I quaderni di Malte Laurids Brigge")

...l'effetto di un esercizio costante e doloroso

Se riesci a credermi capace di sentimenti, certo puoi immaginare che ho sofferto ora. La compostezza con cui mi sono indotta a considerare la questione, la consolazione che mi sforzo di ammettere, sono l'effetto di un esercizio costante e doloroso (...)


(Jane Austen; "Ragione e sentimento")