(…) sotto la soglia della coscienza era tutto un fermento di vita. Fin dal principio avevo concepito il mio confronto con l'inconscio come un esperimento scientifico, che ero io a dirigere, il cui esito interessava la mia vita. Oggi potrei dire, egualmente bene, che si trattava di un esperimento che facevo su me stesso. Una delle più grandi difficoltà stava nel dominare i miei sentimenti negativi: mi abbandonavo volontariamente a emozioni che in realtà non potevo approvare, e scrivevo fantasie che spesso mi sembravano senza senso, e suscitavano in me resistenze. Perché, finché non ne intendiamo il significato, tali fantasie sono un diabolico miscuglio di sublime e di ridicolo. Sottopormi a esse mi era penoso, ma era il destino a esigerlo. Solo con uno sforzo supremo alla fine riuscii ad evadere dal labirinto. Per poter cogliere le fantasie che mi sollecitavano dal "sottosuolo", dovevo, per così dire, sprofondarmi in esse: cosa che provocava in me non solo una violenta opposizione, ma una vera paura. Temevo di perdere il controllo di me stesso e di divenire preda dell'inconscio e, quale psichiatra, sapevo fin troppo bene che cosa ciò volesse dire. Comunque, dopo lunghe esitazioni, mi resi conto che non c'era altro modo di venirne a capo. Dovevo accettare la sorte, e dovevo tuttavia osare impadronirmi di quelle immagini, poiché altrimenti correvo il rischio che fossero esse a impadronirsi di me.
(Carl Gustav Jung; "Ricordi, sogni, riflessioni")
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