- Domenica, tardissimo, 22 giugno 1908
Amico buono,
stavo mettendomi a letto quando mi venne il desiderio di rileggere ancora la vostra lettera e subito dopo letta quella di rispondervi ora. Dev'essere mezzanotte, io sono in vestaglia ed ho già sciolti i capelli, e vi scrivo così in un sans-gène che non mi permetterei in presenza vostra. Ma non mi vedete! - Io sarei venuta a trovarvi uno dei passati giorni ma aspettavo una lettera da Voi per decidere il quando e il come. Così indugiandomi ho lasciato sfuggire il tempo migliore. V’avrei veduto tanto volentieri e parlato di tante cose! O forse invece avrei taciuto, ma ci saremmo compresi ugualmente. Invece vi scrivo che vi sono molto molto affezionata, che vi sento in me come un amico caro, come il più caro degli amici. Però come suonano vane e fredde le parole, come meglio vorrei tenere una mano vostra nelle mie e non dirvi niente, guardare solo la piega molle che hanno su la fronte i vostri capelli. Non vi dolete e non vi rammaricate, Guido, di ciò che fu; quello avrebbe dovuto essere un giorno; meglio allora che più tardi. Io sento che la verità è questa e non ho rimpianto né rimorso. Vorrei avervi amato di più per quanto ne siete degno e quella parte di tenerezza appassionata che mi fece talora vibrare presso di Voi è stata bene spesa. Vorrei poter dire egual cosa di tutta la mia vita interiore. Ora mi siete amico; più profondamente amico per la tempra di fuoco in cui siamo passati, e di cui forse è bene ed è bello sorridere con qualche malinconia, non inasprircene con rimorso. Io passo un periodo un poco irritante di piccole illusioni deluse e di piccole collere senza sfogo. (...) Sono tornata da Milano tediata e irascibile come sempre dopo una assenza, e non faccio, caro Guido, non faccio assolutamente niente. Vergogna! m’avete scritto e con centomila e una ragioni. Non ho distrazioni soverchie, non ho occupazioni gravi, ma sono pigra, pigra, pigra. E molto anche indifferente, gelida a tutto ciò che riguarda la nostra arte, senza più amore per i bei ritmi e i bei suoni, senza più desideri orgogliosi di fama. Esco a passeggio ogni giorno e m’attardo per le vie, nel sole tepido, scioccamente, senza pensieri, con la mente svanita e col passo indolente di chi va senza meta. (...) Mi piacerebbe distrarmi, correre il mondo, essere corteggiata, far del male, vivere intensamente per sete di movimento, di lotta, non per desiderio di amore. Anche qui per gradi. A Roma ho avuto quel tale incontro, - ricordate qualche mia confidenza? - ma il "coup de foudre" atteso non è avvenuto. Invece di fulmine è caduta una pioggerella rinfrescante - fin troppo! - Jaufré non è morto e Melisenda è tornata a Tripoli. Ah! la vita, che bella farsa! (...) Ada Negri mi incaricò per Voi di saluti in una sua lettera che dimenticai di mandarvi (i saluti). È stata inferma e a Milano non poté ricevermi tanto era ancora debole. M’avvedo di scrivervi orribilmente, e smetto. Forse mi piglia a tradimento il sonno. Addio dunque, Amico mio; non andate in America senza salutarmi. A proposito: volete una dama di compagnia? M’offrirei così volentieri! E sarei saggia, gentile, servizievole, di bella presenza e istruita quanto basta per leggervi dei versi. Accettate? Addio ancora, pensatemi sempre come mi dite e vogliatemi quel bene che non merito. Io vi sento vicino al cuore, nel posto più fraterno. Scrivetemi il vostro indirizzo di Ronco.
AMALIA
(Amalia Guglielminetti, Lettera a Guido Gozzano)
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