venerdì 4 marzo 2016

Da quanto tempo non soffro! Temo di non poter soffrire più

- 21 marzo 1908

Anch'io sono a letto da due giorni e sarò costretto in casa per molti altri, prigioniero del Tempo... La vostra poesia! Che bella, che bella cosa, Amalia mia! Ho provato per Voi ammirazione devozione invidia orgoglio: orgoglio giovanile che mi fa sorridere un poco... Oimé! Che cosa sono mai gl’inganni del senso miserabile e le follie dei nostri nervi ventenni quando si ha in fondo alla propria via una meta come la vostra, come la mia? Come la mia, sì, perdonate: anch'io in questi tempi mi sento fecondo di tutte le energie e armato di tutte le speranze. Amalia, sento, vi giuro che arriveremo presto e che noi daremo al mondo e che il mondo darà a noi ciò che ci è dovuto: e un giorno, incontrandoci, saremo orgogliosi di aver sostato, in un tempo di follia lontano, l’uno sul cammino dell’altro. Da un legame come il nostro deve balzare qualche cosa di più degno che non la sentimentalità meschina dei piccoli amanti. Per questo è necessario non vederci più. Non ci vedremo più per molto tempo, Amalia mia buona, per molti mesi, per qualche anno forse. Perché voglio che sia così. E mi sarà facile. Io lascio Torino a giorni, passerò la primavera nel Canavese, l’estate in montagna, l’autunno al Meleto (non verrete a visitarmi) l’inverno e la primavera in Liguria... e non sarò torinese dichiarato che fra due anni. Non vorrei rivedervi che allora. Saremo ancora giovani e ci vorremo ancora bene. Anche più bene, perché esausti dalle nuove delusioni del frattempo, e forse, guardandoci gli occhi e la bocca rabbrivideremo ancora. O non rabbrivideremo più e Voi sarete di altri. Io non soffrirò. Da quanto tempo non soffro! Temo di non poter soffrire più: sento scendere sulla mia anima una calma inquetante, sento distendersi i muscoli facciali nella serena compostezza d’una maschera placida... Ho l’anima un po’ sgomenta di questo, ve lo confesso... Qualunque sia la sorte che ci prepara il destino saremo amici sempre, grandi amici necessari l’un l’altro come due viatori che seguono lo stesso cammino e si tengono per mano. Rieccovi "le Seduzioni": molto inutilmente: sono mie ormai, le so a memoria. Ma non temete: nessuno ne udrà più una parola: vi giuro intanto che nessuno seppe che ne avessi il manoscritto; il verso che vi fu riferito è l’unico sfuggitomi distrattamente con Vallini che lo ripeté a Vugliano, ansioso della primizia. (...) E da vicino, da lontano io accompagnerò sempre con fraterno interesse le cose vostre, amica mia: non per galanteria fatua, ma per ammirazione profonda, dimenticando che siete giovine e bella. Addio, Amalia, senza molta tristezza. Di lungi vi scriverò ancora quando avrò qualche bella notizia della mia poesia. E voi anche. Ma non parleremo della nostra passione e del nostro passato. La passione è un ingombro al cammino, e ciò che è stato è come se non fosse stato... In alto i cuori Amica mia valorosa! Addio! E un franco lontano arrivederci. O anche (è bene pensarci) non arrivederci più!
GUIDO


(Guido Gozzano, Lettera ad Amalia Guglielminetti)

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