Molto lontano! Vi scrivo sulla spiaggia, seduto sulla gettata dove d’estate s’allineano le cabine. Vi scrivo col foglio disteso sulla cartella da lavoro e la cartella sulle ginocchia... Come sto bene! Sono felice! Non desidero niente, non desidero Voi, non desidero mia Madre, non desidero amici... Mi lascio vivere... È così dolce! Ho la vostra effige pensosa (grazie!) racchiusa fra le pagine del libro che sto leggendo: "la sensitiva" di P. B. Shelley. Rileggo tutte le cose del giovine grande; e nessun posto è più degno, per tale lettura, di questa spiaggia dirupata e dantesca, con dinnanzi il mare, lo stesso mare dove il cor dei cuori cessò di battere... Che mare spaventoso! Tale doveva essere in quel giorno memorabile. Vedo le onde venire di lontano, dall'ultimo orizzonte, avvicinarsi, avvicinarsi sempre più, ripiegarsi, incoronarsi di spuma, rompersi ribollendo... Ogni dieci, giunge un’onda più audace delle altre e devo ritirarmi e salvare dal risucchio il mio libro e le mie carte. E c’è un buon odore di salmastro di alga, di sodio che respiro a pieno torace... Voglio guarire! La vita è ancora bella, per chi ha la scaltrezza di non prendervi parte, di salvarsi in tempo. Per questo io benedico il mio male che mi impone questo esiglio della persona e dell’anima. Ricevo nella mia solitudine, due volte al giorno, la posta e scendo a leggerla sulla spiaggia: mi distendo e distendo il fascio delle lettere delle cartoline dei giornali sulla ghiaia: ed è per me, uno strano senso il leggere sotto questo cielo aperto, dinnanzi a questo mare senza confini, le parole scritte o stampate dagli uomini... Sono felice! Genova è vicina molto: ho quasi ogni giorno visite. Qualche volta, anche, mi lascio sedurre: indosso un abito decente, metto un solino candido, e vado in città. Ma ritorno alla sera, senza rimpianti, al mio povero eremo peschereccio... A giorni si apre il Teatro Massimo: Carlo Felice, con la stagione d’opera e allora sarò più assiduo. Ho sete di musica! E a Torino, che si fa di bello? Scrivetemi, Amalia, ma cose frivole, e non parlatemi, se potete, della vostra anima triste: non saprei consolarvi, non vi capirei, forse, nemmeno, in questa mia grande serenità. (...) E chi vedete? E la vostra testa in rame prosegue? E... l’artefice vi opprime sempre con la sua lagnela e coi suoi molto nietzschiani consigli? Quei giorni, a Torino, quando me ne parlavate, ebbi per qualche tempo, l’idea, la speranza, quasi, che voi vi prendeste di lui... Di lui, o di un altro, sarete certamente, al mio ritorno: un cuore avido come il vostro non può restare troppo a lungo solo. Se l’Atteso verrà, e verrà certamente, mi scriverete e mi descriverete ogni cosa, non è vero? ogni novità che potrà succedere nel laberinto della vostra anima. Sarà un grande piacere, per me; starei quasi per dire (capitemi) un curioso spettaccolo (sic): pari a quello che può dare una reazione chimica all'occhio dello studioso!!! Ho ricevuta una troppo buona lettera dell’Ada Negri, alla quale ho risposto come ho potuto. Ella mi ha allora degnato d’una sua bella poesia, dedicandomela. Ed io davvero sono commosso e lusingato dell’interesse che dimostra la Grande Sorella alle piccole cose mie. E nella lettera parlava, con affetto, di voi, paragonandovi ad un’orchidea delicata. È così, veramente, ed io penso con terrore se voi foste costretta a vivere, anche per qualche giorno soltanto, in questa miserrima residenza! Il mare è divino: ma l’albergo è bestiale. Squallido, trascurato, abbandonato a servi inetti, con una scala a chiocciola che fa rabbrividire e camere che mancano di tutto. Ma io sono felice! E non lo cederei per un primariissimo hôtel! Ci vuole, però, un’anima francescana e un carattere byroneggiante come il mio per sopportare pazientemente, in tanta umiltà. (...) Ah! come mi duole la mano! Sono stanco di scrivere in posa tanto disagevole. Depongo la matita e vi porgo la destra dolente per una stretta affettuosissima.
Nessun commento:
Posta un commento