domenica 27 settembre 2015

S.Giuliano d'Albaro, 10 giugno 1907, notte

(...) da molto tempo sapevo di esservi antipatico: forse prima ancora che lo sapeste Voi... (...) io ho un intuito rapido e infallibile per presentire il giudizio delle donne a mio riguardo.  Aggiungete che una sera mi avete, anche, fatta una cosa cattiva. D’incarico della direzione, io giravo per la 'Cultura', invitando i soci ad apporre le firme per un acquisto. Venne il turno vostro e di vostra sorella; mi avvicinai urbanamente; urbanamente mi scusai di distogliervi dalla lettura, vi porsi la penna: Voi apponeste la firma. Poi, come io mi credetti in dovere di dirvi il mio nome, Voi scattaste in piedi con un tale atteggiamento di sorpresa sdegnata che non seppi e non saprei definire: un atteggiamento che mi ricorda la fierezza ribelle di certi vostri sonetti. E - più cattiva - faceste questo, per non tendermi le mani: ne tratteneste una dietro le spalle, a far volteggiare la sedia, e imprigionaste l’altra, accerchiandola tre volte nel boa, un gran boa di piuma nera, mi pare. Vi ero antipatico: non mi stupisco. Tutte le donne mi trovano così prima di conoscermi. (Non parliamo degli uomini: mi detestano e li detesto; non ho amici. E anche i miei amici più cari sono fra le donne). Tutte mi trovano così; ma poi mi vogliono bene. Mi vorrete bene anche Voi. E Voi? Credete di essermi molto simpatica Voi? Avete invece, agli occhi miei, delle qualità allontananti. Prima di tutto siete bella. E precisamente di quella bellezza che piace a me. Vi ho veduta poco, ma osservata molto: siete proprio bella (vi giuro che ho dispetto, quasi, di doverne così stupidamente convenire!). Vi ho studiata molto. Non ho mai potuto capire, ad esempio, se, sotto i grandi caschi piumati, alla Rembrandt, che voi prediligete, i vostri capelli siano spartiti alla foggia antica o no; ma ho benissimo impresse le ondulature che hanno alle tempia e la mollezza con che si raccolgono in nodo, dietro la nuca. Ho presente anche questo: che avete bei denti e una bella bocca, piuttosto grande e fresca e attirante come poche, e che avete due begli occhi (anche di questo devo convenire, e quasi con dispetto) due occhi d’una dolcezza servile: gli occhi di colei che s'inchina al despota Signore e gli tende i polsi febbrili e li vede cerchiare di catene, quasi godendone; avete anche il profilo che piace a me, vestite come piace a me e camminate come piace a me - con l’eleganza un po' stracca e un po' trasognata della nostra massima attrice... Vedete che c'era di che rifuggire la vostra conoscenza. (...) Una volta... ma no! non posso dirvi: guai se io m’abbandono alla sincerità fraterna: divento villano… Volete assolutamente sapere? E sia! Ma badate che non mi prendo responsabilità e vi ricostruisco il dialogo testualmente. Una volta, l’anno scorso, noi - Vallini Bassi Vugliano ed altri -  eravamo nella sala dei giornali, voi - sola - in quella delle riviste, in piedi, eretta, sfogliando col braccio proteso le rassegne sul tavolo. E fra di noi si dicevano più o meno queste cose:
– È bella.
– Sì, è bella!
– Ma scrive.
– E non male.
(...)
– Che peccato!
– Che cosa?
– Che sia Signorina.
– E che sia per bene.
– Che peccato: è proprio bella!
– Fosse almeno analfabeta.
– Ma scrive!
– Detestabili le donne che scrivono! Se scrivono male ci irritano.
– Se scrivono bene ci umiliano.
– Tacete! È qui che viene!
E voi, Amica mia, passaste fra di noi, altera dignitosa tranquilla. Ma certo sentiste sul vostro passaggio qualche cosa che vi spiacque; come un’ostilità - (no: un’ostilità è troppo) - ma una freddezza indefinibile; e sentiste ancora nell'aria un non so che di avverso, d'ironicamente piccolo e volgare (come piccoli e volgari siamo tutti noi uomini, nell'intimo. Tutti: non vi fate illusione). Vi ho dialogato questo ricordo, amica mia, per definire quel non definibile senso che ci separava e che voi sentivate e che io sentivo: era l’ambiente, l’ironia volgare dell’ambiente. Ora invece lontani - io seriamente ammalato ed esiliato dalla città per due, tre anni: forse più - possiamo benissimo essere amici. Voi mi avete parlato di corrisponderci. Immaginate! Ma voglio essere leale fin dagl'inizii, come si usa fra i mercatanti: io non sono un amico spirituale: sono tutt'al più un mediocre interlocutore cerebrale... Non credo nella psiche e ho un profondo disprezzo per la mia e per la vostra anima, alle quali non attribuisco maggior valore dell’energia che muove un lombrico e della clorofilla che colorisce uno stelo d’erba: e lo stesso vostro canto, così sdegnoso pur nella passione, così alto e puro e casto non è che il grido del vostro pudore convulso, contratto sotto la sferza dell’istinto, dell'istinto che provvede all'eternità della specie... Accettate per amico un uomo che vi dice questo? Badate che il mio modo di pensare mi condurrà qualche volta a scrivervi cose di una rudezza tale da confinare con la sconvenienza... Sarete tanto superiore da perdonarmi? E cominciate a perdonarmi la prolissità di questa lettera - siamo al terzo foglio, mi pare! - Quest’oggi, come sovente, furono qui i miei amici di Genova, giornalisti e poeti tutte anime fraterne e malate del nostro stesso male, mia buona Amica. Si fu in barca, al solito, si dissero dei versi, al solito, e si fece anche, delizia inconsueta, una scorpacciata di banane e di nespole. Ci lasciammo andare alla deriva tutto il giorno, fino al crepuscolo, sopra un mare color di niente, tanto che pareva di volare. (...) Amica mia, sono esausto! Ho logorata la vostra bontà, ho logorata la mia energia, e ho logorato anche il pennino! Non rileggo il fascicolo: temo di avervi dette cose brutte. Fate voi: vagliate e perdonate. Vi bacio la mano, come s'usa, e poi ve la stringo forte forte, come piace a me.

Gozzano vostro


(Guido Gozzano, Lettera ad Amalia Guglielminetti)

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