Ne la sera dei fuochi de la festa d'estate,
ne la luce deliziosa e bianca,
quando i nostri orecchi riposavano appena nel silenzio
e i nostri occhi erano stanchi de le girandole di fuoco,
de le stelle multicolori che avevano lasciato un odore pirico,
una vaga gravezza rossa nell'aria,
e il camminare accanto ci aveva illanguiditi
esaltandoci di una nostra troppo diversa bellezza,
lei fine e bruna, pura negli occhi e nel viso,
perduto il barbaglio della collana dal collo ignudo,
camminava ora a tratti inesperta stingendo il ventaglio.
Fu attratta verso la baracca:
la sua vestaglia bianca a fini strappi azzurri ondeggiò nella luce diffusa,
ed io seguii il suo pallore segnato sulla sua fronte
dalla frangia notturna dei suoi capelli.
Entrammo. Dei visi bruni di autocrati,
rasserenati dalla fanciullezza e dalla festa,
si volsero verso di noi, profondamente limpidi nella luce.
E guardammo le vedute. Tutto era di un'irrealtà spettrale.
C'erano dei panorami scheletrici di città.
Dei morti bizzarri guardavano il cielo in pose legnose.
Una odalisca di gomma respirava sommessamente
e volgeva attorno gli occhi d'idolo.
E l'odore acuto della segatura che felpava i passi
e il sussurrio delle signorine del paese attonite di quel mistero.
"È così Parigi? Ecco Londra. La battaglia di Muckden."
Noi guardavamo intorno: doveva essere tardi.
Tutte quelle cose viste per gli occhi magnetici delle lenti
in quella luce di sogno!
Immobile presso a me io la sentivo divenire lontana e straniera
mentre il suo fascino si approfondiva
sotto la frangia notturna dei suoi capelli.
Si mosse. Ed io sentii con una punta d'amarezza tosto consolata
che mai più le sarei stato vicino.
La seguii dunque come si segue un sogno che si ama vano:
così eravamo divenuti a un tratto lontani e stranieri
dopo lo strepito della festa,
davanti al panorama scheletrico del mondo.
(Dino Campana)
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