Di sopra, nel candido cubicolo asettico e abbacinante della stanza da bagno, odoroso di carne tiepida e di dentifricio, il rituale che prescrive di lavarsi determinate parti del corpo mi ha fatto chinare meccanicamente sul lavandino in adorazione dello sfavillio del cromo, con la luce alterna, accecante che andava e veniva dai rubinetti. Caldo e freddo, pulizia derivante da lisce e profumate saponette verdi; capelli come sottili segni curvilinei a matita sullo smalto; le medicine multicolori, i pesanti vasi di vetro, le boccette in grado di curare i sintomi del raffreddore o di farti dormire in meno di un'ora. E poi a letto, nella stessa aria potenzialmente feconda, profumata di lavanda, tendine di pizzo e caldo odore felino, come di muschio, in attesa di assorbirti... Una sbiadita aspettativa ovunque. E tu sei la mobile epitome di tutto questo. Per te, con te, in te. Dio, possibile che sia tutto qui? Rimbalzare lungo un corridoio riecheggiante di singhiozzi e risate? Di autovenerazione e di autoripugnanza? Di gloria e di disgusto?
(Sylvia Plath - Luglio 1950)
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