lunedì 4 novembre 2013

Ho un gran bisogno di calma e di raccoglimento

(...) Io ho preferito rimanere a casa; ho un gran bisogno di calma e di raccoglimento: non so se la zia Luisa ti abbia detto che dispiacerone mi sia capitato addosso, d’improvviso, qualche settimana fa. Non te lo vorrei neppure raccontare, perché sono sicura che immantinente tu mi cominci a fare l’olio, e allora gli occhiali ti si appannano e ti scivolano sul naso; ma sono ancora tanto triste e non ho altro sfogo che raccontare il mio dolore a chi lo sa capire; che parlare di quello che è stato, di quello che è, di quello che vorrà essere; che parlare un po’ del mio Maestro che mi hanno portato via! Pensa che una mattina apro il giornale e, nella lista dei trasferimenti dei professori, il primo nome, dico il primo, che mi salta all’occhio è quello del professor “Cervi Antonio Maria, da Milano a Roma”. É stato atroce: non ho saputo che piangere, e piangere, e piangere per due giorni che sono finora i più bui ch’io abbia avuti nella mia vita. Ho imparato che cosa sia il dolore. Tu non immagini che cosa fosse lui per me. Io avevo avuto la fortuna di incontrarlo nell’età inquieta in cui tutto il nostro essere sboccia e anela alla vita, in cui ogni influenza esterna lascia nell’anima una traccia indelebile, in cui ci torturiamo ricercando l’inizio della nostra via e l’indirizzo del nostro cammino nel mondo. Egli era, o meglio, è, uno spirito come pochi, come nessuno se ne può trovare. Una gran fiamma dietro una grata di nervi; un’anima purissima anelante a sempre maggior purezza, destinata purtroppo a inaridirsi sola, in una sete inesauribile di sapere, di perfezione, di luce; uno studioso dalla cultura sterminata, dalla memoria prodigiosa, dalla volontà ferrea che gli faceva passare la vita nella penombra delle biblioteche, chino sulle più ardue pagine di filosofia; un insegnante tutto ardore ed entusiasmo per la scuola, tutto affetto fraterno per gli scolari; un povero figliolo che, a vent’anni, si è veduto morire sul Grappa il fratello maggiore, e poco dopo il padre, e si è trovato solo in pensione, che porta anche con la neve il soprabito di primavera con le tasche rotte, e che pure era sempre allegro con noi come un bambino e ci elettrizzava tutti con il suo fuoco inesauribile… Con la parola e con l’esempio egli mi ha dato uno scopo e una fede; mi ha insegnato a guardare più in alto e più lontano; mi ha additato la via per diventare più buona. Anche nel dolore di vedermi tolta così bruscamente la sua guida immediata, ricorro per conforto ai suoi insegnamenti; so che il dovere che mi resta è uno solo: studiare; e non tradire il suo consiglio; ed anelare, sempre, con tutta l’anima, a quella "luce" ch’egli mi ha insegnato a cercare...


(Antonia Pozzi; Lettera alla nonna Nena - 21 agosto 1928)

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