mercoledì 1 ottobre 2025

Su questa terra

Su questa terra c'è ciò che merita la vita:
il ricorrere di aprile,
l'aroma del pane fresco all'alba,
le opinioni di una donna sugli uomini,
gli scritti di Eschilo,
il primo amore, l'erba su una pietra,
madri in piedi sulle note di un flauto,
e la paura dal ricordo degli invasori.

Su questa terra c'è ciò che merita la vita:
la fine di settembre,
una donna che saluta la quarantina con tutte le sue bellezze,
l'ora d'aria in prigione,
delle nuvole che imitano uno stormo di creature,
gli applausi di un popolo
per chi ascende alla morte sorridendo,
e la paura degli oppressori per le canzoni.


Su questa terra c'è ciò che merita la vita,
su questa Terra, la Signora della terra,
madre degli inizi e madre delle fini.
Si chiamava Palestina.
Continua a chiamarsi Palestina.
Mia Signora:
merito, perché sei la mia Signora,
merito anch’io la vita.


(Mahmoud Darwish)

Luna congelata

Con questa solitudine
infida
e tranquilla

con questa solitudine
di crepe consacrate
di ululati lontani
di mostri di silenzio
di forti ricordi
di luna congelata
di notte per gli altri
di occhi spalancati

con questa solitudine
inutile
e vuota

si può
a volte
capire l'amore.


(Mario Benedetti)

Ma il dolce viso...

Ma il dolce viso che s'inombra, gli occhi
sbiancati, la parola che vacilla
e sprofonda nel cuore, e quel fuggire
lungo, sparso, di tutto il sangue; il punto
in cui non c'è che una vita, la vita
col suo morire e ricrearsi eterno:
quello è pur nostro bene, palpitante
amicizia dei sensi, fuggitiva
luce di gioia, nostra disperatamente
breve ora d'immortalità.


(Diego Valeri)

Destarmi accanto a te

Destarmi accanto a te, nella prima
luce, e vederti dormire, 
così bianca, così fragile e fina
da sentirmi volontà di morire.

Baciare le tue palpebre molli,
bianche farfalle che volano via,
scoprendo due fiori divini
di nerazzurra malinconia.

Baciare il tuo viso mattutino
ancora bagnato di sonno, 
il tuo viso esiguo di bambino,
tutto bianco e tenero e biondo.

Baciare su le tue labbra il profumo
della tua profonda primavera, 
e tutta respirarti, con l'oscuro
mio cuore, bianca anima leggera.


(Diego Valeri)

Ma ora voglio tornare sulle alte rupi

Mio caro Tullio, grazie. Delle sue parole da Firenze, del libro di poesie. È stato così bello che, ritornando dal sole e dal mare e dalla rossa terra del Carso, io trovassi qui un po' della Sua anima, in attesa della mia, rinnovata lassù, sulla spianata dell'Acropoli. Rinnovata, ricostruita: o meglio, ritemprata nella volontà nuova di ricostruirsi. Quando lei venne qui, a marzo, io stavo vivendo giorni torbidi e tristi, perduta per le vie dure della realtà che non amo. Lei forse non se ne accorse: ma io mi sentivo così arida e atona, così diversa da quella lontana sera d'ottobre, in cui Lei venne per la prima volta nella mia casa chiusa - ricorda? Allora Lei ebbe poi a scrivermi che nella mia stanza era stato come se fossimo soli in cima a un'alta rupe, ed anche a me era parso che fosse proprio così, quella sera, tanto pure e vive erano le nostre anime, tanto concreto e nitido era il senso delle cose irreali a cui ci volgevamo, come un lembo di cielo nel sole. 
Ma poi io scesi molto in basso e traversai tanta palude: e mentre pensavo a nuovi problemi di cui ignoravo fin lì l'esistenza (la società, la politica, l'individualismo ed il collettivismo) perdevo il mio vero essere, il tono e l'equilibrio della mia personalità: crollato il regno dei sogni e delle poesie, dimenticato il mondo dove si parla di sempre e di mai, dove si commisura all'eterno il valore di ogni atto compiuto, io allentavo il freno della mia volontà, non m'impedivo il male, chiudevo gli occhi al domani, dicendo che esiste solo l'oggi ed il bene presente... Ho traversato tanta palude, Tullio. Forse bisognava che questo accadesse, perché io capissi, sentissi in me stessa, nel mio spirito e nella carne la tragedia dell'esser uomini, la sacra tragedia di vivere. Ma ora voglio tornare sulle alte rupi, dissetare alle sorgenti la bocca in cui è rimasto tanto amaro: la mia nuova salita spirituale è cominciata davanti alle dune di Tripoli, e poi accanto al marmo diafano dell'Eretteo: continua ora, come se in un mattino ancora incerto io camminassi fra i rododendri, con questi Suoi versi tra le mani, mio caro e fedele amico. (...)

Sua Antonia Pozzi


(Antonia Pozzi; lettera a Tullio Gadenz - 1934)

domenica 21 settembre 2025

Spuntarono lacrime negli occhi della soave creatura

Spuntarono lacrime negli occhi della soave creatura mentre queste parole venivano pronunciate; e quando una di quelle lacrime cadde sul fiore verso il quale ella si chinava, brillando entro il calice e rendendo il fiore ancor più bello, parve che il tenero cuore di lei si accomunasse spontaneamente a quanto vi è di più meraviglioso nella natura.


(Charles Dickens; "Oliver Twist")

...ed è la voce dell'umanità che risuona in noi

L'immagine primordiale o archetipo è una figura, demone, uomo o processo, che si ripete nel corso della storia, ogniqualvolta la fantasia creatrice si esercita liberamente. Essa è in prima linea una figura mitologica. Esaminandola da presso, notiamo che essa è in certo qual modo la risultante d'innumerevoli esperienze tipiche di tutte le generazioni passate. Si potrebbero scorgere in essa i residui psichici d'innumerevoli avvenimenti dello stesso tipo. Essa rappresenta una media di milioni di esperienze individuali e dà un'immagine della vita psichica, suddivisa e proiettata nelle forme multiple del pandemonium mitologico. Ma anche le figure mitologiche sono di per sé stesse già dei prodotti elaborati della fantasia creatrice; esse attendono di essere tradotte in un linguaggio concettuale, di cui per ora non abbiamo che dei penosi inizi. Quei concetti, che in maggior parte sono ancora da creare, potrebbero procurarci una conoscenza astratta e scientifica dei processi dell'inconscio, processi che costituiscono la radice delle immagini primordiali. In ciascuna di queste immagini è racchiuso un frammento di psicologia e di destino umano, un frammento dei dolori e delle gioie che si sono succedute infinite volte, secondo un ritmo su per giù sempre uguale, nelle schiere dei nostri antenati. Sembra quasi che nell'anima si sia formato come il letto di un fiume, in cui la vita che prima tentennava nell'incertezza e si spandeva su superfici vaste, ma poco profonde, all'improvviso riesca a fluire con forza, se si è avverato quel particolare concatenarsi di circostanze, che contribuì sempre alla produzione delle immagini primordiali.
Il momento in cui appare la situazione mitologica è sempre contrassegnato da una particolare intensità emotiva, come se in noi fossero toccate corde che ordinariamente non risuonano mai, o come se si scatenassero potenze di cui non supponevamo l'esistenza. La lotta per l'adattamento è assai penosa, poiché abbiamo sempre a che fare con condizioni individuali, cioè, con condizioni atipiche. Perciò non deve stupirci il fatto che, nel momento preciso in cui giungiamo a una situazione tipica, proviamo un improvviso sentimento di liberazione, sentimento del tutto speciale; né deve stupirci di sentirci come trasportati o afferrati da una specie di potenza sovrumana. In tali momenti non siamo più degli esseri particolari, noi siamo la specie, ed è la voce dell'umanità che risuona in noi.


(Carl Gustav Jung; "Psicologia e poesia")

Tonnelle nord-ouest au Parc de Marquayrol

Pasturo, 25 agosto 1935

(...) dovrei andar via, vedere molta gente e molto mondo, sola e responsabile di me.


(Antonia Pozzi; Pasturo - 1935)

giovedì 18 settembre 2025

Mi ricordo di un discorso che mi facesti in treno...

Mio caro Vittorio, ti ringrazio con tutto il cuore della tua buona lettera. Forse, da un mese a questa parte, è stata l'unica gioia vera; mi è parso di ritrovarti di colpo e ho risentito tutto quello che  è ancora la tua amicizia per me, come quel giorno, sulle scale di casa mia, mentre l'Alba era di sopra e non capiva niente, e io piangevo per le tue poesie - meglio: per quel che mi facevano sentire le tue poesie in confronto dell'irrimediabile esteriorità di tutti gli altri miei rapporti - ti ricordi?
(...) Mi ricordo di un discorso che mi facesti in treno, quella famosa domenica dell'inutile gita a Monate: il tuo tormento era proprio questo, il senso di non saper vivere, di aver nelle vene un sangue fittizio e degli arabeschi davanti agli occhi invece che delle creature reali. Sono contenta, tanto tanto contenta di quello che mi scrivi ora. Soprattutto perché è una gioia immensa sentire che al mondo ci sono ancora degli esseri - come te - capaci di freschezza, di fiducia, di rinascita. Guai - io credo - anche per la poesia, se questa facoltà di valicare di quando in quando il distacco, di riaffondare e perdersi nella vita, venisse a mancare! Cristallizzarsi in una posizione unica è rinunciare per sempre alla spinta, al moto: questo nasce solo dall'oscillìo fra due poli contrari. Anche il fuoco non nasce da un sasso solo, ma da due sassi percossi insieme. E quindi è un bene se per un po' di tempo dimentichi di aver scritto poesie: quelle che scriverai domani avranno in sé tutta la forza della vita a cui ti abbandoni oggi.


(Antonia Pozzi; lettera a Vittorio Sereni - 1935)

L'opera d'arte è come un sogno

L'opera d'arte è come un sogno che, nonostante sia manifesto, non si autointerpreta, e che non ha mai un significato solo. Nessun sogno dice "devi" oppure: "questa è la verità"; esso presenta un'immagine come la natura fa crescere una pianta; siamo noi che dobbiamo trarne le conseguenze. Se sogniamo un sogno pauroso vuol dire che abbiamo troppa o troppo poca paura; se sogniamo di un saggio, vuol dire che siamo troppo studiosi o che invece abbiamo bisogno di un maestro. In modo sottile i due significati s'identificano; ce ne accorgiamo soltanto quando lasciamo che l'opera d'arte agisca su di noi come ha agito sul poeta. Per comprenderne il significato, bisogna lasciarsi plasmare da lei come essa ha plasmato il poeta. Allora comprendiamo anche quale sia stata la sua esperienza primigenia: egli ha toccato quella profondità psichica salutare e liberatrice nella quale ancora nessuna coscienza singola si è isolata, per seguire la via degli errori e del dolore, dove tutti ancora sono presi nello stesso ritmo, dove il sentire e l'agire del singolo si ripercuotono ancora sull'umanità intera.


(Carl Gustav Jung; "Psicologia e poesia")

...i suoni sconosciuti spaventano

(...) "Bambino mio!" disse l'anziano gentiluomo, protendendosi al di sopra della scrivania. Oliver trasalì al suono di queste parole. E si può giustificarlo per questo, poiché quelle parole erano state pronunciate con bontà, e i suoni sconosciuti spaventano. Oliver tremò violentemente e scoppiò in lacrime.


(Charles Dickens; "Oliver Twist")

domenica 31 agosto 2025

Fuori sta già venendo sera

(...) ...ti scrivo dal mio vecchio tavolo, dalla mia vecchia cara stanza. Fuori sta già venendo sera. Guardo dalla finestra bassa e larga le cime dei pini contro il cielo pallido: erano tre, qui davanti, fino all'anno passato; ma poi uno si ammalò e gli dovemmo tagliare tutta la punta. Adesso, a vederlo così monco, fa malinconia.
Dunque sono qui, dopo tanti mesi d'inverno, dopo tanta vita. Qui, a questo tavolo che io chiamo il mio porto. (...) Quando dico che qui sono le mie radici non faccio solo un'immagine poetica. Perché ad ogni ritorno fra questi muri, fra queste cose fedeli e uguali, di volta in volta ho deposto e chiarificato a me stessa i miei pensieri, i miei sentimenti più veri. E queste pareti se ne sono fatte custodi, così che, quando rientro qui, tutto il mio passato, tutto quello che sono stata, per cui sono - oggi - quella che sono, mi balza incontro ed io ritrovo la più completa me stessa. Qui non sono solo raccolte tangibilmente tutte le immagini delle persone care, dei luoghi amati e non più veduti, delle cose d'arte predilette, ma l'aria stessa è come se conservasse l'eco delle voci, l'ombra dei volti, il senso delle ore vissute.
Ho tanta voglia che anche tu venga qui. Sempre, tutte le persone a cui ho voluto più bene, ho desiderato che venissero qui; perché vederle qui è come una consacrazione, una benedizione dell'affetto che mi lega a loro e mi sembra che poi non potrò mai veramente perderle, che qui potrò sempre ritrovarle vive, anche quando saranno lontane e mi avranno dimenticata.
Oggi ho fatto una brave passeggiata fino a un bosco vicino. Fa ancora freddo, gli alberi sono completamente nudi. Ma nei prati ci sono moltissimi fiori: le viole, le primule, i giacinti, l'erica rossa sotto i castani. Le miosotidi sono piccole e chiuse: in maggio diventano alte, i prati sono tutti azzurri. Quando verrai, ci saranno più fiori che erba. A pensare che tu vedrai questo mio paese, queste cose umili, tutto mi sembra così angusto, misero, brullo: vorrei raccomandare alle cose di farsi il meno brutte possibile, all'aria d'essere dolce, al sole d'essere chiaro, sapendo che tu vieni. 
Stamattina un uomo del paese, un vecchio, s'è fermato al cancello: ha voluto che portassi alla mamma un pezzo del ramo d'ulivo che aveva preso in chiesa. Mi ha tanto commosso. Qui non c'è che gente taciturna, rozza: ma io penso che se un giorno resterò sola e verrò a vivere qui, il saluto di questi vecchi baffuti, di queste donne sdentate, il sorriso dei bambini sudici che mi vengono nelle gambe, mi consolerà molto...


(Antonia Pozzi; lettera a Remo Cantoni - 1935)