giovedì 26 settembre 2024

Vuoi, rosa, essere l'ardente compagna

Vuoi, rosa, essere l'ardente compagna
delle nostre passioni di ora?
O è forse il ricordo che più ti conquista 
quando una gioia riaffiora?

Spesso ti ho vista, gioiosa e secca, 
- ogni petalo un sudario - 
dentro scrigni odorosi, accanto ad una ciocca,
o dentro un libro amato da rileggere soli.

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Préfère-tu, rose, être l'ardente compagne 
de nos transports présents?
Est-ce le souvenir qui davantage te gagne 
lorsqu'un bonheur se reprend?

Tant de fois je t'ai vue, heureuse et sèche,
- chaque pétale un linceul - 
dans un coffret odorant, à côté d'une mèche,
ou dans un livre aimé qu'on relira seul.


(Rainer Maria Rilke; "Le rose")

mercoledì 25 settembre 2024

Il solitario vive in un deserto sconfinato di terrificante bellezza

Il solitario vive in un deserto sconfinato di terrificante bellezza. Guarda la totalità e il significato interiore. La molteplicità delle cose esistenti gli è odiosa quando gli è vicina. La guarda da lontano nella sua totalità. Perciò gli appare inondata di argenteo splendore, di pace e bellezza. Ciò che gli è vicino dev'essere semplice e ingenuo, perché la molteplicità e la complessità delle cose quando sono vicine lacerano e infrangono l'argenteo splendore. Intorno a lui non deve aleggiare caligine dell'aria, né foschia o nebbia alcuna, altrimenti non può osservare la molteplicità delle cose nella totalità. Per questo il solitario ama sopra ogni cosa il deserto, ove tutto ciò che è prossimo è semplice e nulla di torbido o sfocato si frappone tra lui e le cose lontane.


(Carl Gustav Jung; "Il libro rosso")

A poco a poco nacque nel mio petto

A poco a poco nacque nel mio petto, 
non so da qual radice, 
com'erba suol che per se stessa germini,
un incognito affetto
che mi fea desiare 
d'esser sempre presente 
a la mia bella Silvia; 
e bevea da' suoi lumi
un'estranea dolcezza,
che lasciava nel fine 
un non so che d'amaro; 
sospirava sovente, e non sapeva 
la cagion de' sospiri
Così fui prima amante ch'intendessi 
che cosa fosse amore.


(Torquato Tasso; "Aminta")

giovedì 5 settembre 2024

In un ovale di grazia indescrivibile mettete degli occhi scuri

Il volto, meraviglioso, era oggetto di una civetteria speciale. Era tutto piccolino e sua madre, come direbbe de Musset, sembrava averlo fatto con particolare cura.
In un ovale di grazia indescrivibile mettete degli occhi scuri disegnati da sopracciglia che formano un arco così puro da sembrare dipinto; velate gli occhi con lunghe ciglia che, quando si abbassano, ombreggiano il colore rosato delle guance; tratteggiate un naso sottile, dritto, simpatico, con le narici leggermente dilatate da un'ardente aspirazione alla vita sensuale; disegnate una bocca regolare le cui labbra si aprono con grazia su denti bianchi come latte; colorate la pelle di quel velluto che ricopre le pesche che nessuna mano ha mai toccato, e avrete l'insieme di quell'incantevole volto.
I capelli neri come il carbone, ondulati in modo naturale o meno, si aprivano sulla fronte in due grandi frange che si perdevano dietro la testa, mostrando un lembo delle orecchie dove brillavano due diamanti il cui valore era tra i quattro e i cinquemila franchi ciascuno.
Come la sua vita ardente lasciasse al viso di Marguerite l'espressione verginale, addirittura infantile che lo caratterizzava, è qualcosa che siamo costretti a constatare senza però capirlo.


(Alexandre Dumas; "La signora delle camelie")

Voi sapete cosa significhi amare una donna

Sarebbe complicato esporvi i particolari della nostra nuova vita. Era fatta di una serie di puerilità, incantevoli per noi, ma insignificanti per coloro ai quali le descrivessi. Voi sapete cosa significhi amare una donna, sapete come le giornate diventino brevi e con quale amorosa pigrizia ci si lasci scivolare verso l'indomani. Voi non ignorate l'oblio di ogni cosa che nasce da un amore violento, fiducioso e reciproco. Qualsiasi essere nel creato che non sia la donna amata sembra inutile. Si rimpiange di aver già buttato parti del proprio cuore ad altre donne e non si concepisce neppure la possibilità di stringere una mano diversa da quella tenuta fra le nostre. Il cervello non tollera lavoro né ricordo, insomma niente di ciò che potrebbe distrarlo dall'unico pensiero che gli torna in mente di continuo. Ogni giorno si scopre nella propria amante un nuovo incanto, una voluttà sconosciuta.
La vita non è più che il ripetuto appagamento di un continuo desiderio, l'anima non è più che la vestale incaricata di alimentare il fuoco sacro dell'amore.
Giunta la notte, andavamo spesso a sederci nel boschetto che dominava la casa. Laggiù ascoltavamo le gioiose melodie della sera, entrambi pensando all'avvicinarsi dell'ora che ci avrebbe lasciati, fino all'indomani, l'uno nelle braccia dell'altra. A volte restavamo a letto tutto il giorno, senza nemmeno permettere al sole di entrare in camera. Le tende erano ermeticamente chiuse e, per un momento, il mondo di fuori per noi si fermava. Solo a Nanine era concesso di aprire la porta, ma unicamente per portarci i pasti; mangiavamo senza alzarci, interrompendoci di continuo con risa e scherzi. A questo seguiva un breve sonno, perché, immergendoci nel nostro amore, eravamo come due sommozzatori ostinati che ritornano in superficie solo per riprendere fiato.


(Alexandre Dumas; "La signora delle camelie")

Marguerite assisteva a tutte le prime

 Marguerite assisteva a tutte le prime e trascorreva ogni sera a teatro o al ballo. A ogni commedia nuova si era certi di vederla, insieme a tre cose che non l'abbandonavano mai e che occupavano sempre il parapetto del palco in platea: l'occhialino, un sacchettino di caramelle e un mazzolino di camelie. Per venticinque giorni al mese le camelie erano bianche, e per cinque erano rosse; non si è mai conosciuta la ragione di tale varietà di colore che io segnalo senza poterla spiegare e che gli abituali frequentatori dei teatri dove essa si recava più di frequente e i suoi amici avevano notato come me. Non si era mai vista Marguerite con fiori diversi dalle camelie. Ecco il motivo per il quale la signora Barjon, la sua fioraia, aveva finito per chiamarla la Signora delle Camelie, e il soprannome le era rimasto.


(Alexandre Dumas; "La signora delle camelie")

Finestra su Saint-German-des-Prés

...non sta a noi cambiare noi stessi?

Ma ora che tanto sta cambiando, non sta a noi cambiare noi stessi? Non potremmo provare a evolverci appena, addossandoci lentamente, a poco a poco, la nostra parte di lavoro nell'amore? Di esso ci è stata risparmiata ogni fatica, e così ci è scivolato tra le distrazioni, come a volte nel cassetto dei giocattoli d'un bambino cade un pezzo di trina autentica che prima piace, poi non piace più, e infine rimane tra gli oggetti rotti e disfatti, peggiore di ogni altro. Guastati dal piacere superficiale, come tutti i dilettanti, abbiamo fama di maestri. Ma che accadrebbe se disprezzassimo i nostri successi, se cominciassimo a imparare dal principio il lavoro dell'amore, che altri ha sempre fatto per noi? Se ce ne andassimo e diventassimo apprendisti, ora che cambiano tante cose?


(Rainer Maria Rilke; "I quaderni di Malte Laurids Brigge")

giovedì 20 giugno 2024

Ecco giorni in cui tutto intorno mi è luce

Cosa non può una piccola luna. Ecco giorni in cui tutto intorno mi è luce, leggero, appena accennato nell'aria luminosa, e tuttavia nitido. Quello che è più vicino ha già una tonalità remota, è sottratto o soltanto indicato, non offerto;  quanto ha rapporto con lo spazio: il fiume, i ponti, le vie lunghe e le piazze che si spendono prodighe, tutto questo lo spazio l'ha preso dietro di sé, è dipinto su di esso come su seta. Non è possibile dire, allora, cosa può essere una carrozza verdechiaro sul Pont-Neuf o un rosso infrenabile o anche soltanto un manifesto sul muro spartifuoco d'un gruppo di case grigioperla. Tutto è semplificato, ridotto a pochi piani chiari e precisi come il viso in un ritratto di Manet. E nulla è minuscolo o superfluo. I bouquinistes aprono sul quai i loro cassoni e il giallo fresco o consunto dei libri, il bruno violaceo delle legature, il verde più grande di una cartella: tutto è giusto, ha valore, partecipa e forma molteplicità in cui nulla manca.


(Rainer Maria Rilke; "I quaderni di Malte Laurids Brigge")

Sedevo là come dissolto

Dovevo avere allora dodici, al più tredici anni. Mio padre m'aveva portato a Urnekloster. Non so cosa lo inducesse a visitare suo suocero. Erano anni che i due non si vedevano, dalla morte della mamma, e mio padre non era ancora mai stato nel vecchio castello in cui il conte Brahe s'era ritirato soltanto tardi. In seguito non ho più rivisto la dimora singolare che, con la morte del nonno, passò in mano di estranei. Come la ritrovo nel mio ricordo infantilmente elaborato, non è un edificio nella sua interezza; dentro di me è tutto diviso: là una stanza, qua una stanza e qui un tratto di corridoio che non unisce queste due stanze ma s'è conservato per sé, come un frammento. In questo modo tutto è sparpagliato dentro di me - le camere, le scale che si adagiavano con tanta lentezza, altre scale strette, a spirale, nel cui buio si avanzava come il sangue nelle vene; le camere delle torri, i balconi sospesi in alto, le altane inattese in cui si finiva, spinti da una porticina: tutto ciò è ancora dentro di me e non cesserà mai di essere dentro di me. È come se l'immagine di questa casa fosse caduta in me da un'altezza incalcolabile e fosse andata in frantumi sul mio fondo.
Conservata integra nel mio cuore, mi pare, è soltanto la sala in cui eravamo soliti raccoglierci per cena, ogni sera alle sette. Non vidi mai la stanza di giorno, non ricordo neppure se aveva finestre e dove queste davano; ogni volta che la famiglia entrava, le candele bruciavano su candelabri massicci; e dopo qualche minuto si perdeva cognizione del tempo e di tutto quello che s'era visto fuori. Quell'ambiente alto, credo a volta, era più forte di tutto; con la sua altezza che s'abbuiava, con i suoi angoli mai del tutto rischiarati, vuotava d'ogni immagine, senza dare niente da sostituire. Sedevo là come dissolto: privo di volontà, di coscienza, di piacere, di difesa. Ero come uno spazio vuoto. Ricordo che quello stato di annientamento mi provocò sulle prime quasi una nausea, una specie di mal di mare che superai solo allungando una gamba fino a raggiungere col piede il ginocchio di mio padre, seduto di fronte a me. Solo più tardi mi colpì il fatto che egli comprendesse o almeno tollerasse quel comportamento singolare, sebbene i nostri rapporti fossero quasi freddi, tali da non giustificare un simile comportamento. Era pertanto quel leggero contatto a darmi la forza d'arrivare in fondo ai lunghi pranzi. E dopo alcune settimane di sopportazione convulsa, con la capacità di adattamento quasi illimitata dei ragazzi, m'ero così abituato al carattere inquietante di quelle riunioni, che non mi costava più sforzo alcuno restare a tavola due ore; il tempo trascorreva, anzi, in modo relativamente rapido, perché mi occupavo a osservare i presenti.


(Rainer Maria Rilke; "I quaderni di Malte Laurids Brigge")

sabato 1 giugno 2024

...mi sentivo interiormente calmo e rassicurato

Finché riuscivo a tradurre le emozioni in immagini, e cioè a trovare le immagini che in esse si nascondevano, mi sentivo interiormente calmo e rassicurato. Se mi fossi fermato alle emozioni, allora forse sarei stato distrutto dai contenuti dell'inconscio. Forse avrei anche potuto scrollarmele di dosso, ma in tal caso sarei caduto inesorabilmente in una nevrosi, e alla fine i contenuti mi avrebbero distrutto ugualmente. Il mio esperimento m'insegnò quanto possa essere di aiuto - da un punto di vista terapeutico - scoprire le particolari immagini che si nascondono dietro le emozioni.


(Carl Gustav Jung; "Ricordi, sogni, riflessioni")

...quel divino stato d'innocenza che era meglio non disturbare

Ritenevo che, finché conoscevo così poco delle cose reali, non fosse il caso di riflettere su di esse: chiunque poteva fantasticare, ma la vera conoscenza era tutt'altra questione. I miei genitori mi permisero di abbonarmi a un periodico scientifico che leggevo con appassionato interesse. Mi misi alla ricerca, per farne collezione, di tutti i fossili che fosse possibile trovare sulle nostre montagne del Giura, e di tutti i minerali possibili, e anche di insetti e di ossa di mammouth e umane (le ossa di mammouth le trovai nelle cave di ghiaia della pianura renana, le ossa umane in una tomba comune, presso Hüningen, del 1811). Anche le piante mi interessavano, ma non scientificamente. Ero attratto da esse per un motivo che mi sfuggiva, e col sentimento che non dovessero essere estirpate e seccate: erano esseri viventi che avevano significato solo finché crescevano e fiorivano, un significato nascosto, segreto, uno dei pensieri di Dio. Dovevano essere considerate con reverenziale timore e contemplate con filosofica meraviglia. Ciò che poteva dirne la biologia era interessante, ma non era l'essenziale: che cosa poi fosse l'essenziale, non me lo sapevo spiegare. Per esempio, in che rapporto erano le piante con la religione cristiana o con la negazione della volontà. Ecco qualcosa che non riuscivo a penetrare; ma certamente esse partecipavano di quel divino stato d'innocenza che era meglio non disturbare.


(Carl Gustav Jung; "Ricordi, sogni, riflessioni")