domenica 2 agosto 2015

Le cicale

-Socrate: Di tempo ne abbiamo, mi pare. E mi sembra che le cicale, che cantano sopra le nostre teste in questa grande calura, conversando tra loro, diano un'occhiata anche a noi. Se vedessero che anche noi due, come la maggior parte degli altri, a mezzogiorno non conversiamo, ma sonnecchiamo per pigrizia di spirito sotto l'incantesimo delle loro voci, giustamente ci deriderebbero, considerandoci schiavi arrivati presso questo loro luogo per dormire, come pecore che riposano il pomeriggio vicino a una fonte. Ma se invece ci vedranno conversare, e passare vicino a loro come davanti alle Sirene, senza rimanere incantati, allora ci apprezzeranno e magari ci accorderanno quello che gli dei hanno concesso loro di donare agli uomini.

-Fedro: E qual è questo dono? Non mi pare di averne mai sentito parlare.

-Socrate: Non è davvero da uomo amico delle Muse non saperne niente! Si racconta che le cicale un tempo erano uomini, nati prima della nascita delle Muse. Quando poi le Muse nacquero e apparve il canto, alcuni degli uomini di allora furono talmente colpiti dal piacere che, per cantare, non si curavano più né di mangiare né di bere, e senza accorgersene morivano. Nacque da loro, in seguito, la specie delle cicale, che dalle Muse ricevette il dono di non aver bisogno di alcun cibo dopo la nascita, bensì di mettersi subito a cantare senza mangiare né bere, fino alla morte. Dopo la morte esse andranno presso le Muse a riferire loro chi quaggiù le onori, e quale tra loro. A Tersicore riferiscono di coloro che l'hanno onorata nei cori, rendendoglieli più cari; a Erato di chi le ha reso onore nei canti erotici, e così alle altre, secondo le forme di omaggio proprie a ciascuna. A Calliope, la più anziana, e alla successiva, Urania, recano notizia di chi ha trascorso la vita nella filosofia, onorando la musica che è loro propria; poiché, tra tutte le Muse, sono queste che si occupano del cielo e dei discorsi divini e umani, e che possiedono la voce più bella. Di conseguenza molte sono le ragioni per cui a mezzogiorno bisogna parlare e non dormire.


(Platone; "Fedro")

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