Allora rimanevo seduta con la mia bambola in grembo finché il fuoco non si affievoliva, guardandomi intorno di quando in quando per assicurarmi che non ci fosse niente di peggio di me nella stanza buia; e quando le braci si facevano di un rosso smorto, mi spogliavo in fretta, sciogliendo nodi e lacci come riuscivo, e cercavo riparo dal freddo e dal buio nel mio lettino. In quel lettino portavo sempre la mia bambola; gli esseri umani devono pur amare qualcosa, e, in mancanza di oggetti più degni di affetto, riuscii a provare il piacere di amare e curare una figura sbiadita, misera come uno spaventapasseri in miniatura. Mi turba ora ricordare con quale assurda sincerità amavo quel giocattolo, che per un verso immaginavo vivo e capace di sensazioni. Non riuscivo a dormire finché non era avvolta nella mia camicia da notte; e quando era stesa lì, al sicuro e al caldo, ero in qualche modo contenta, credendola contenta allo stesso modo.
(Charlotte Brontë; "Jane Eyre")
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