domenica 31 gennaio 2016

Il vostro silenzio mi è come un’ombra intorno all’anima

- Torino, 19 dicembre 1907

Amico oblioso,
come vi sento lontano! Mi dimenticate: non so chi, non so cosa me ne avverte. E non mi mandate il perdono vostro e quello del mare. Se sapeste come mi odio in certi momenti! Che pianto trattengo in gola quando parlo di Voi, quando sento parlare di Voi. Temo che verrete a volermi male, un giorno. Il vostro silenzio mi è come un’ombra intorno all'anima. Come una di quelle ombre che sembrano cortine calate sul mistero, che fanno tutto temere e nulla svelano, paurosamente enigmatiche. Mi dimenticate, lo sento. So che una donna è presso di Voi, e la imagino: fine, un poco languida d’abbandoni e di sguardi, esile ed alta, e stanca di qualche occulto peso di tristezza. Non ne sono gelosa, ne sono invidiosa. Vorrei che mi parlaste di lei, non molto, solo con una frase che me la rischiarasse. È Vallini che mi ha svelato l’esistenza dell’Incognita forse con qualche intenzione scrutatrice nello sguardo che ho sostenuto bene. (...) E Voi, caro Amico, non vogliatemi male perché io vi voglio bene. È dunque un gran male voler bene a qualcuno se bisogna soffrirne così, esserne tanto puniti. Vorrei vedervi in effigie almeno, perché vi ricordo troppo come v’ho veduto l’ultima volta, turbato sconvolto con occhi non vostri, con denti serrati fra le pallide labbra socchiuse. Vorrei riavervi fraterno, con quella espressione vostra che varia fra uno stupore di sogno e una profondità d’indagine, strana e turbatrice. Quante cose vi direi se foste qui; cose chiuse e segrete e mie che mi costerebbero chi sa che sforzo di sincerità. Tanto a Voi potrei mostrare ogni mia miseria ché saprei deporre, docile, il mio orgoglio nelle vostre mani e lasciarmi guidare dalla direzione del vostro sguardo.  Ma non vi siete ed è meglio, forse. (...) Il pianto degli altri non mi commuove più, troppo lo conosco in me stessa e per me stessa. Mi sento sperduta, sapete, e stanca in certe ore da morir di languore. Non ho più un’anima fraterna, anche la mia mi è nemica. Ho paura del domani come d’un artiglio pronto, disteso in atto d’afferrarmi per trascinarmi dove non so, perché non so, come non so. Ditemi Voi, Guido, qualche cosa buona, qualche parola di tenerezza, mentitela se non la sentite cercatela se non l’avete ma datemi un poco di questa dolcezza.
Addio.


(Amalia Guglielminetti, Lettera a Guido Gozzano)

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