domenica 6 settembre 2015

Vedere, sentire, ricordare, dimenticare

Alcuni mesi sono trascorsi dalle ultime cose che ho scritto. Ho attraversato un sonno dell'intelletto Grazie al quale la mia vita è stata la vita di un altro. Ho avuto frequentemente una sensazione di felicità traslata. Non sono esistito, sono stato un altro, ho vissuto senza pensare. Oggi, all'improvviso, sono tornato a ciò che sono o sogno di essere. È stato un momento di grande stanchezza, dopo un lavoro senza particolare importanza. Ho poggiato la testa contro le mie mani, con i gomiti appoggiati all'alto tavolo inclinato. E, ad occhi chiusi, mi sono ritrovato. In un falso sonno lontano ho ricordato tutto quanto ero stato, ed è con nitidezza della vista di un paesaggio che mi si è alzata all'improvviso, prima o dopo tutto, la parte larga del vecchio podere di campagna, dove a metà della visione, l'aia era vuota. Ho sentito subito l'inutilità della vita. Vedere, sentire, ricordare, dimenticare: tutto questo mi si è confuso in un vago dolore ai gomiti, con il mormorio incerto della strada vicina e i piccoli rumori del lavoro tranquillo nell'ufficio calmo. Quando ho appoggiato le mani sul tavolo inclinato e ad esso ho rivolto lo sguardo che doveva essere di una stanchezza piena di mondi morti, la prima cosa che ho visto, nel vedere, è stata una grossa mosca (quel lieve ronzio che non era dell'ufficio!) posata sul calamaio. L'ho contemplata dal fondo dell'abisso, anonimo e sveglio. Aveva dei toni verdi di un azzurro nero con un luccichio ributtante ma non brutto. Una vita! Chissà se per ignote forze supreme (dèi o demoni della Verità nella cui ombra erriamo), anch'io non sarò la mosca luccicante che si posa un attimo davanti a loro? Un pensiero facile? Un'osservazione già vecchia? Una filosofia senza sostanza? Forse; ma io non ho pensato: ho sentito. È stato carnalmente, direttamente, con orrore profondo e ho fatto il risibile paragone. Sono stato mosca quando mi sono paragonato a una mosca. Mi sono sentito mosca quando ho creduto di sentirlo. E mi sono sentito un'anima di mosca, ho dormito da mosca, mi sono rinchiuso come mosca. E il più grande orrore è che nello stesso tempo mi sono sentito io. Senza volere ho alzato gli occhi verso il soffitto, nel caso non scendesse su di me un righello supremo per schiacciarmi, come io potrei schiacciare quel moscone col mio righello. Per fortuna, quando ho abbassato gli occhi, la mosca senza fare rumore era sparita. Involontariamente l'ufficio era di nuovo privo di filosofia.


(Fernando Pessoa; "Il libro dell'inquietudine")

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