-Torino, 7 giugno 1907
Concedetemi, cortese Amico, ch'io venga a disturbare la vostra solitudine per dirvi grazie di tutto il bene che pensate di me. Temo anzi che troppo bene Voi pensiate, molto più ch'io non meriti; ma giova lasciarsi blandire da una qualche gentile voce di lusinga. Il lettore ideale è quello che sente, che quasi s'impossessa dell'anima di chi scrive, e Voi siete di questi, come lo fu prima Dino Mantovani, come lo fu privatamente Ada Negri (...) Ma quanto son cari quelli che intendono! Mi giungono quasi ogni giorno brani di critica, sparsi qua e là pei molti giornalucoli della penisola, i quali mi farebbero piangere se... non mi facessero ridere. Gente che vede nella poesia versi e rime allineati in bell'ordine come soldati a una rivista, da passarsi in rassegna... E guai se un bottoncino della tunica luccica meno di un altro! (...) Ieri ho passato il pomeriggio alle corse annoiandomi mortalmente; oggi sento rialzarmi gli spiriti discorrendo con Voi. Mi duole che alla 'Cultura' non si sia mai conversato un poco assieme. La fatalità ha sempre voluto che i giovani ch'io intuivo più intelligenti e colti mi rimanessero sempre là dentro, quasi sconosciuti. Io ricordo di avervi notato la prima volta anni sono al 'Vittorio' durante un concerto di Kubelik. Potrei ingannarmi ma dovevate essere Voi: vestivate di color avana e portavate i capelli alquanto lunghi. Dopo, v’incontrai alla 'Cultura' e, scusate, mi diveniste antipatico. Una sera dell'inverno scorso, specialmente, avete irritato alquanto i miei nervi, che per disgrazia, sono piuttosto sensibili. Parlavate con una Signorina e con un giovane, di poesia, di letterati e di libri con un tono di voce così alto e noncurante di me che leggevo in disparte, da sembrarmi quasi un’ostentazione e una provocazione. Questa mi parve ancora accrescersi quando Voi porgeste loro un manoscritto chiedendo un giudizio sui versi vostri e spiando avido sulle loro fisionomie l’effetto della lettura. Siccome io sono orgogliosa ebbi la presunzione di pensare, allora, ch'io sarei stata a Voi miglior giudice, ma mi alzai di scatto ed uscii lasciandovi a discorrere in pace. Cercai più tardi nel vostro libro quei versi e compresi ch'essi erano quelli intitolati 'Il Responso'. Avevate descritto così bene l’Amica vostra, il levriere, il pugnale, e forse quei due a cui parlavate v’avevano compreso assai meno di me che non dovevo udire. (...) Io v’auguro che il mare e la montagna vi risanino, poiché, se un giovane poeta alquanto infermo è una persona tanto interessante, meglio giova districarsi dai languori romantici e viver bene la vita un poco paganamente. Anche per me, vedete, sorella di Gaspara - tanto che Ada Negri crede a un caso di metempsicosi - anche per me dovrebbe giungere la bella serenità, la buona guarigione che alla mia antica sorella furono ignote. Ed io le aspetto, sapete. Non vorrei rassomigliare in tutto e per tutto, in vita ed in morte alla infelice amante del conte di Collalto. Voi credete con tutti ch'io l’abbia avuta tanto famigliare, tanto vicina quella povera veneziana. Invece no: la conosco, le voglio bene in qualche suo verso, ma quell'aria di famiglia - diciamo così - io l’ho presa da un altro più antico antenato, da messer Francesco Petrarca. Un anno durante le vacanze estive, io ho passato mesi e mesi in campagna sola con lui, ripassando verso per verso tutto il Canzoniere per cercarvi il colore degli occhi di madonna Laura. (...) Se troverete nella vostra solitudine qualche momento di tedio, ingannatelo bene o male scrivendomi: vi conosco poco ma vi ritengo un amico spirituale e mi sembrate una conoscenza antica, tanto antica da averne dimenticato l’origine.
(Amalia Guglielminetti, Lettera a Guido Gozzano)
Nessun commento:
Posta un commento