martedì 11 agosto 2015

Come fare per dirle che di molti suoi sonetti sono innamorato?

-Genova, 5 giugno 1907

Le giuro, cara Signorina, che non conosco nella letteratura muliebre italiana, presente e passata, opera di poesia paragonabile alla sua. (...) Organica è tutta l'opera sua: a qualunque pagina si apra il volumetto, si sente il profumo dello stesso giardino; il giardino dove Lei procede conducendo per mano la teoria delle compagne. E il lettore ha l’impressione di essere per qualche istante ammesso in un giardino claustrale: ad ogni svolto di sentiero, fra i cespi di gigli e gli archi de’ rosai, una nuova coorte di vergini si fa innanzi cantando una nuova sorta di martirio o di speranza. Ella compie nel suo libro, Egregia Guglielminetti, quasi un vergiliato, e conduce il lettore attraverso i gironi di quell'inferno luminoso che si chiama verginità. (...) L’avrà notato anche Lei. Ci si commuove di più, si è quasi più indulgenti di benevolenza pietosa alle vicende di un adulterio che non alle fortune di un idillio verginale. La letteratura vuole così: e la letteratura è quella che foggia la vita. Ora il suo grido, Amica, era necessario per risollevare le figure delle vergini amanti; ed era necessario un temperamento come il suo, educato all'arte severamente, per poter innalzare un canto degno ed efficace. (...) La sua voce si distingue fra tutte; è di un timbro diverso, nuovissimo: e tutti si fermeranno incuriositi perplessi dapprima, riconoscenti ammirati poi. (...) Ma come fare per dirle che i suoi versi mi sono piaciuti? Si dice così anche quando non è vero. Come fare per dirle che di molti suoi sonetti sono innamorato? Lei non sa, Egregia, che cosa significhi per me l’essere innamorato d'una poesia? Significa questo: averne la presenza nel cervello, con una dolcezza quasi importuna, sentirne pulsare il ritmo di continuo nelle cose più diverse e più bizzarre: nel mare, nel treno, nel ticchettio dell’orologio, nel soffiare del vento fra i palmizi, nel contare le goccie di creosoto, nel tinnire delle posate, nel gridio de’ bimbi... Proprio! E molti dei suoi sonetti mi perseguitano. Mi balza alla mente una quartina, due: mi abbandono a quella dolcezza: la memoria ad un tratto s’arresta e il piacere del sogno si stronca a metà. Facciamo un esperimento? Ecco: il suo libro è chiuso, sulla tovaglia (Le scrivo sul tavolo da pranzo, sotto la veranda), un sonetto mi balza improvviso del quale non so il titolo. Questo:

Piangere piano piano con la faccia
contro la vostra spalla vorrei bene
quasi una bimba che non più sostiene
il segreto che l'arde o che l'agghiaccia,
e restare così...

Poi non ricordo più nulla sino al verso

dolce allor mi sarebbe all'improvviso
ritrovare il mio spirito sereno,
rialzarmi e fuggir, squillando un riso.

Poi - ecco - riapro il volume, cerco il sonetto, lo trovo: «un desiderio» e la lettura me ne dà una delizia indicibile, perché tutto il mio spirito è pronto a riceverlo. Mi sono bene spiegato?


(Guido Gozzano, Lettera ad Amalia Guglielminetti)

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