domenica 26 aprile 2015

Sono bruciato vivo, ma resto invincibile

Talvolta, dopo aver ricevuto qualche tua lettera, ho l'impressione di essere con te e mi trovo in tale disposizione d'animo che non mi sembra di risponderti per scritto, ma a voce. Orbene, del quesito che mi poni parlerò con te, per così dire, come in un colloquio: esaminiamo assieme di che si tratta. Mi chiedi se ogni bene sia augurabile. "Se è un bene" tu dici "sopportare coraggiosamente la tortura e subire da eroe il supplizio del fuoco e soffrire con rassegnazione una malattia, ne consegue che codeste iatture siano augurabili, però fra queste non ne vedo alcuna che meriti di essere desiderata. Per lo meno fino a questo momento non conosco nessuno che abbia sciolto un voto per essere stato straziato dai colpi di frusta o contorto dalla gotta o 'allungato' sul cavalletto". Considera queste cose, caro Lucilio, con occhio critico e ti renderai conto che in esse c'è qualcosa di desiderabile. Vorrei proprio fare a meno della tortura, ma se dovrò affrontarla, mi augurerò di comportarmi in mezzo ai tormenti come un uomo forte, di nobile sentire, coraggioso.
(...) Quando un uomo soffre coraggiosamente i tormenti, mette in pratica tutte le virtù. Forse quella più a portata di mano e la più evidente è la capacità di resistenza, ma qui opera la fortezza d'animo, di cui la capacità di resistere, la sopportazione perseverante e l'accettazione del dolore sono ramificazioni; qui opera la lungimiranza, senza la quale non si prende alcuna decisione, ed essa ti induce a sopportare con il massimo coraggio possibile ciò che non puoi evitare; qui opera la costanza che non può essere abbattuta dalle sue posizioni e non rinuncia ai suoi ideali, nonostante ogni coercizione; qui opera l'indivisibile corteggio delle virtù, in grazia del quale ogni nobile azione è compiuta da una virtù sola, ma per deliberazione dell'assemblea. Orbene, ciò che ha l'approvazione di tutte le virtù è desiderabile, anche se sembra messo in atto da una sola. E allora? Credi che siano auspicabili soltanto quei beni che ci provengono dal piacere e dallo svago, che si ricevono a porte inghirlandate? Ve ne sono alcuni che hanno un volto austero e ci sono voti la cui realizzazione viene celebrata non da una folla di persone che si congratulano, ma che assumono un atteggiamento di adorazione e di profondo rispetto. Non credi che Regolo abbia desiderato in un simile contesto raggiungere Cartagine? Entra nello stato d'animo di questo eroe e scostati un poco dalle opinioni del volgo. Cogli nella misura che tu devi l'aspetto di codesta virtù meravigliosa e sommamente grande, che dobbiamo onorare non con l'incenso e corone, ma con sudore e sangue. Considera Marco Catone mentre accosta a quel suo petto sacrosanto le mani incontaminate e allarga le ferite assestate poco profondamente. Quale delle seguenti espressioni gli rivolgeresti: "Vorrei che tutto fosse come tu vuoi", o "Ne sono addolorato", oppure "Consegue questa tua azione il massimo successo"? A questo punto mi viene in mente il nostro Dementrio, che definisce "mare morto" una vita senza preoccupazioni e senza alcun attacco dalla Fortuna. Non avere nulla che ti desti dal torpore, che ti stimoli, nulla per cui tu possa mettere alla prova la saldezza del tuo animo con la forza delle sue minacce e dei suoi assalti, ma restare inerte in un riposo che da nulla è scosso, non è tranquillità, è bonaccia. Attalo, lo stoico, soleva dire: "Preferiamo che la Fortuna mi abbia nel suo accampamento piuttosto che tra le mollezze. Subisco la tortura, ma coraggiosamente: questo è vero bene". Ascolta Epicuro, dirà anche: "Questo è piacevole". Io, però, a una cosa così nobile e austera non darò mai un nome sdolcinato. Sono bruciato vivo, ma resto invincibile: perché ciò non dovrebbe essere desiderabile? Non in quanto il fuoco mi arde, ma perché non mi vince. Nulla si può anteporre alla virtù, nulla è più bello, e buono e auspicabile è tutto ciò che si porta avanti per suo volere. Stammi bene.


(Seneca; "Lettere a Lucilio")

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