sabato 4 aprile 2015

Elogio funebre di Franz Kafka

Nel sanatorio di Kierling presso Klosterneuburg nei dintorni di Vienna è morto l'altro giorno il dott. Franz Kafka, scrittore di lingua tedesca vissuto a Praga. Qui lo conoscevano in pochi perché era un individuo solitario, un uomo sapiente, spaventato dal mondo. Da anni era affetto da una malattia polmonare e, sebbene la curasse, tuttavia consapevolmente la nutriva e incoraggiava col pensiero. Quando l'animo e il cervello non riescono più a tollerare il peso, scrisse una volta in una lettera, i polmoni se ne addossano la metà, affinché esso per lo meno sia meglio distribuito. Così fu anche per la sua malattia. Essa gli conferiva una delicatezza quasi stupefacente, un raffinamento d'ingegno del tutto alieno da compromessi; ma lui, l'uomo, aveva scaricato sulla malattia tutta la propria angoscia intellettuale. Era timido, timoroso, delicato e buono, ma i suoi libri sono crudeli e dolorosi. Nel mondo scorgeva invisibili demoni, che straziano e distruggono l'essere umano indifeso. Era troppo perspicace, troppo saggio per poter vivere, troppo debole per lottare, debole come lo sono le creature nobili, belle, che non sono capaci di accettare la lotta contro la loro paura dell'incomprensione, della mancanza di bontà, della menzogna intellettuale, poiché sin dal principio sono coscienti della loro fragilità e nella sconfitta umiliano l'avversario. Conosceva gli uomini, come solo un essere di grande sensibilità nervosa è in grado di conoscerli, un essere solitario, che da un unico sguardo, quasi profeticamente, comprende l'altro. Conosceva il mondo in modo insolito e profondo, era lui stesso un mondo straordinario e profondo. Scrisse i libri più significativi della letteratura tedesca contemporanea; in essi si esprime la lotta dell'attuale generazione, e tuttavia non sono mai tendenziosi. Sono pervasi dall'ironia asciutta e dal sensibile stupore di un uomo che aveva compreso a tal punto il mondo da non poterlo sopportare e che doveva morire se non voleva come gli altri rifugiarsi nei compromessi o nei più nobili equivoci della ragione o dell'inconscio.
(...) Tutti i suoi libri descrivono l'orrore di misteriose incomprensioni, di colpe immeritate diffuse fra gli uomini. La sua coscienza di uomo e artista era a tal punto affinata da consentirgli di penetrare anche laddove gli altri, sordi, ritenevano di essere al sicuro.


(Max Brod)

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