Quando avrai letto Sestio, dirai: "è vivo, vigoroso, libero, si trova su un piano più alto di quello umano: quando mi allontano da lui sono pieno di enorme fiducia". Quale sia il mio atteggiamento mentale, quando lo leggo, te lo dirò con franchezza: mi viene voglia di sfidare ogni evento, mi compiaccio di esclamare: "Perché indugi, Fortuna? Fatti sotto, vedi, sono preparato". Assumo l'animo di colui che cerca dove possa dar prova di sé, dove possa mostrare il proprio valore: "Fà voti che tra greggi imbelli gli si offra un cinghiale schiumante o che dal monte discenda un fulvo leone". Mi piace avere qualcosa da vincere, qualcosa che metta alla prova la mia capacità di resistenza. Sestio, infatti, ha anche questa dote egregia: ti mostrerà la grandezza della vita beata e non ti toglierà la speranza di conseguirla: saprai che pur trovandosi a un'altezza sublime, è tuttavia accessibile a chi sa volere. Questo medesimo vantaggio ti sarà assicurato dalla virtù nella sua essenza: che tu possa ammirarla e, in ogni modo, sperare di possederla. Almeno per quanto mi riguarda, molto tempo suole togliermi la contemplazione stessa della saggezza: la guardo con i medesimi occhi estasiati con cui altre volte contemplo l'universo, questo universo che spesso vedo come se fossi uno spettatore del tutto nuovo. E così avverto un sentimento di venerazione per i beni trovati dalla saggezza e per i loro scopritori: è bello accostarsi a questa sorta di retaggio di molti predecessori. Codesti beni acquisiti per me, sono il prodotto di un lungo travaglio. (...) I farmaci dell'animo furono trovati dagli antichi, ma come o quando si applichino, è compito nostro cercare. Molto hanno fatto i nostri antenati, ma non tutto; comunque bisogna tributare a loro un profondo rispetto e venerarli con lo stesso rituale degli dei. Perché non dovrei avere anche le immagini di uomini grandi come incitamento dell'animo e non dovrei celebrarne i natali? Perché non dovrei citare sempre i loro nomi a titolo di onore? La stessa venerazione che devo ai miei maestri, la devo a quegli insigni maestri del genere umano, da cui fluirono i principi di un bene così prezioso. Ogni volta che vedo un console o un pretore, eseguirò tutti quegli atti con cui si suole tributare onore a una carica onorifica: smonterò da cavallo, mi scoprirò il capo, gli cederò il passaggio per via. E allora? Non accoglierò nel mio animo senza estremo rispetto Marco Catone, l'uno e l'altro, e Lelio il Saggio e Socrate con Platone e Zenone e Cleante? Quanto a me, ho venerazione per loro e appena sento pronunciare nomi così grandi, mi alzo sempre in piedi. Stammi bene.
(Seneca; "Lettere a Lucilio")
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