mercoledì 26 giugno 2013

Io credo in questi propositi alati

(...)
In me c'è
chi accarezza la vita dovunque vada,
indietro o in avanti, su nicchie
appartate e su chi mi è inferiore
chinandomi, nessuna persona, nessun
oggetto trascurando, assorbendo tutto
per me e per il mio canto. Buoi che
scuotete il giogo, la catena, o vi
fermate all'ombra delle foglie, cosa
esprimete nei vostri occhi? Più, mi
sembra, di tutti i giornali che ho letto
nella mia vita. Il mio passo atterrisce
l'anatra e il suo maschio durante la
mia lontana passeggiata che dura un
giorno, e si alzano insieme,
lentamente volano in cerchio. Io credo
in questi propositi alati, e riconosco  
che rosso giallo bianco agiscono in
me, e considero intenzionali verde e
viola e il ciuffo coronato, e non dico la
tartaruga indegna perché non
è qualcos'altro, e la ghiandaia nei
boschi non ha mai studiato la scala,
eppure gorgheggia bene per me, e
l'aspetto della puledra baia mi fa
vergognare della mia sciocchezza.


(Walt Whitman)

Dev'esserci qualcosa di insolitamente sacro

Dev'esserci qualcosa di insolitamente sacro nel sale,
se è contenuto
nelle nostre lacrime e nel mare.


(Kahlil Gibran)

domenica 23 giugno 2013

Sii buona con te stessa

Oggi mamma mi ha scritto una lettera di massime utili; dapprima scettica come sempre, ho letto quel che ha colpito nel segno: "Se ti paragoni agli altri, rischi di diventare vanitosa o amara - perché ci saranno sempre persone più o meno importanti di te... Al di là di una sana disciplina, sii buona con te stessa. Sei anche tu una creatura dell'universo come gli alberi e le stelle; hai tutto il diritto di essere qui". Queste parole si sono rivolte pacificamente al mio cuore, come a commentare, gentilmente, la mia vita, i miei giorni.


(Sylvia Plath)

Lettera a un demone

Ieri notte ho provato la sensazione di cui ho letto senza trarne profitto: il flusso di paura nauseante, da annientare l'anima, nel mio sangue, che invertiva il suo corso per rispondere alla sfida della lotta. Non riuscivo a dormire, malgrado fossi stanca, e stavo distesa a sentire il dolore sfiorarmi i nervi e la voce interiore gemere: oh, non riesci a insegnare, non riesci a fare niente. Non riesci a scrivere, a pensare. E giacevo sotto il gelido flusso negativo del rifiuto, a pensare che quella voce era solo mia, parte di me, e che stava cercando di possedermi per poi abbandonarmi in preda alle mie visioni peggiori: avevo avuto la possibilità di combatterla e vincerla giorno per giorno, ma avevo fallito. Non posso ignorare questo io omicida: esiste. Lo subodoro, lo sento, ma non lo chiamerò con il mio nome. Lo svergognerò. Quando dirà: non dormirai, non sai insegnare, andrò avanti lo stesso e gli romperò il naso.
(...) Ho un buon io, che ama i cieli, le colline, le idee, i piatti appetitosi, i colori brillanti. Il mio demone vorrebbe ucciderlo imponendogli di diventare perfetto e spingendolo a darsela a gambe levate se non ci dovesse riuscire. Mi ostinerò a fare del mio meglio, con coscienza, non importa quello che diranno gli altri. Posso imparare a insegnare meglio. Ma solo a forza di tentativi ed errori. La vita è tutta dolorosi tentativi ed errori. Io ho questo demone che vorrebbe vedermi scappare urlando se fossi sul punto di cedere, di fallire. Vuole farmi pensare di essere tanto brava da dover essere perfetta. O niente. Al contrario, io sono qualcosa: una persona che si stanca, che deve combattere la timidezza, che ha moltissimi problemi nell'affrontare il prossimo con disinvoltura. Se supererò quest'anno, ricacciando il demone a calci quando spunta fuori, rendendomi conto che sarò stanca dopo una giornata di lavoro e dopo aver corretto tesine e che è una stanchezza naturale, non qualcosa di cui farneticare nel panico, sarò in grado di guadagnare un centimetro alla volta nella vita, invece di scappare a gambe levate appena fa un po' male. Il demone vorrebbe umiliarmi, spedirmi a piangere in ginocchio davanti al preside del college, al mio direttore di dipartimento, a tutti: guardatemi, povera me, non ce la posso fare. Parlare agli altri delle mie paure le ingigantisce. Esibirò una facciata tranquilla e lo combatterò dietro le mura del mio io, ma non gli offrirò l'investitura sociale di un'apparizione pubblica, con me che intanto scappo per poi arrendermi. Mi manterrò intatta. Ogni giorno registrerò un ostinato passo avanti o un momento significativo. Devo scacciare l'dea insinuante della bestia impaurita dentro di me, elaborato simbolo di fuga, e affrontare le giornate con forza mettendole in riga. Il demone della negazione mi tenterà un giorno dopo l'altro e lo combatterò come qualcosa al di fuori del mio io essenziale, che lotterò per salvare. Ogni giorno mi porterà un nuovo stimolo, sia esso il piacere semplice di osservare il corpicino scattante e peloso di uno scoiattolo, o il contatto nel profondo con l'aria e il colore, o la lettura e la visione di un oggetto sotto una nuova luce; una bella spiegazione o cinque minuti in classe per riscattarne quarantacinque brutti. Combattere attimo per attimo per uscirne. Via da sotto quella nuvola nera che annienterebbe tutto il mio essere con la sua pretesa di perfezione. Io sosterrò la mia piccola smagliatura personale, prendendo la vita con graduale disinvoltura, caparbia all'inizio ma via via più felice. La prima vittoria è stata accettare questo lavoro; la seconda prendere e tuffarmici prima che il mio demone potesse dire di no, perché non ero abbastanza brava; la terza, andare in classe dopo una notte insonne e disperata; la quarta, l'aver affrontato ieri notte il demone, e avergli sputato in un occhio. Basta cedere alla disperazione, lamentarsi, lagnarsi: al dolore si finisce per abituarsi. E fa male. Questo mese finisce il mio primo quarto di secolo, vissuto all'ombra della paura: paura che mi venisse a mancare una qualche perfezione astratta. Ho spesso lottato, lottato e conquistato, non la perfezione, ma l'accettazione del mio diritto di vivere nei miei termini umani, imperfetti. Adesso è ora che mi costruisca dentro, che mi dia spina dorsale, anche se fallisco. Superare quest'anno, non importa se malamente, sarà la mia vittoria più grande. Se svenissi, restassi paralizzata o implorassi balbettando Mr. Hill perché non ce la faccio, probabilmente me la caverei; ma dopo come potrei guardarmi in faccia, vivere? Scrivere e comportarmi come una donna intelligente? Il trauma sarebbe peggiore, anche se la fuga mi appare dolcissima.


(Sylvia Plath - 1°Ottobre 1957)

lunedì 10 giugno 2013

Nascondere, tacere, celare

Nascondere, tacere, celare
sentimenti, sogni.
Nel fondo lasciare che sorgano, tramontino,
come chiare stelle della notte:
osservare, ammirare, tacere.
Un cuore come potrà dire,
un altro capire,
capire di che vivi.
Pensiero espresso è già menzogna,
fonte sommossa è già intorbidita.
Gustarne e tacere.
In se stesso solo vivere
un mondo intero,
pensieri magici, misteriosi:
i rumori di fuori assordano,
i raggi del giorno accecano.
Ascoltare il canto e tacere.



(Fëdor I. Tjutčev)

Un tempo gli alberi avevano occhi

Un tempo gli alberi avevano occhi,
posso giurarlo,
so di certo
che vedevo quando ero albero,
ricordo che mi stupivano
le strane ali degli uccelli
che mi sfrecciavano davanti,
ma se gli uccelli sospettassero
i miei occhi,
questo non lo ricordo più.
Invano ora cerco gli occhi degli alberi.
Forse non li vedo
perché albero non sono più,
o forse sono scivolati lungo le radici
nella terra,
o forse,
chissà,
solo a me m'era parso
e gli alberi sono ciechi da sempre...
Ma allora perché
quando mi avvicino
sento che
mi seguono con gli sguardi,
in un modo che conosco,
perché, quando stormiscono e occhieggiano
con le loro mille palpebre,
ho voglia di gridare -
Che cosa avete visto?...

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Cândva arborii aveau ochi,
Pot să jur,
Ştiu sigur
Că vedeam când eram arbore,
Îmi amintesc că mă mirau
Ciudatele aripi ale păsărilor
Care-mi treceau pe dinainte,
Dar dacă păsările bănuiau
Ochii mei,
Asta nu îmi mai aduc aminte.
Caut zadarnic ochii arborilor acum.
Poate nu-i văd
Pentru că arbore nu mai sunt,
Sau poate-au coborât pe rădăcini
În pământ,
Sau poate,
Cine ştie,
Mi s-a părut numai mie
Şi arborii sunt orbi dintru-nceput...
Dar atunci de ce
Când trec de ei aproape
Simt cum
Mă urmăresc cu privirile,
Într-un fel cunoscut,
De ce, când foşnesc şi clipesc
Din miile lor de pleoape,
Îmi vine să strig -
Ce-aţi văzut?...


(Ana Blandiana)

martedì 4 giugno 2013

Esistono procedimenti magici

Esistono procedimenti magici che aboliscono le distanze di spazio e tempo: le emozioni.


(Simone de Beauvoir)

In queste cadenze fragili

In queste cadenze fragili
che sono i nostri giorni meravigliosi
fatti di pochissime cose
di piccoli conventi di sospiro
questi giorni meravigliosi
dove io nego la presenza anche di Dio
per non sentirmi obbligata ad amarlo.
In questi giorni io vedo il sole
ovunque
ma non posso vedere lui
che è l'unico candore della mia vita.
E poi dietro lui
c'è un altro uomo
più grande,
più severo,
più possente,
un uomo che mi indica
la guarigione dell'anima.
Ma non credo che la mia anima sia malata
se riesce ancora a piangere,
a sorridere,
a varcare le soglie di questa casa.
Gesù,
sei certamente un poderoso mantello,
sei una spiaggia illimitata,
sei un prato che non ha mai agonie,
sei un fiore che si risveglia ogni mattino,
sei un canto,
sei il mio stesso sguardo.
Molti mi guardano negli occhi
e rimangono estatici
perché capiscono che io ti ho visto,
che ti ho sentito,
o che perlomeno qualche volta
ti ho anche tradito.


(Alda Merini)

Weronika